Bruno Pedretti, scrittore e saggista, nato a Bienno (Brescia) nel 1953, vive da molti anni a Milano e attualmente insegna all’Accademia di architettura dell’Università della Svizzera italiana a Mendrisio. Autore di saggi su temi di arte, architettura ed estetica, in ambito letterario ha pubblicato i romanzi Patmos (Marinotti 2008) e La sinfonia delle cose mute (Mondadori 2012), oltre alla prima versione di Charlotte. La morte e la fanciulla (Giuntina 1998).
È tornato da poco in libreria “Charlotte. La morte e la fanciulla” (Skira 2015), struggente romanzo biografico sulla figura di Charlotte Salomon (1917-1943), redatto dall’autore
“In ricordo di Caterina e Giovanni, i miei genitori, e alla memoria di Charlotte e dei suoi simili in destino”.
La giovane artista di origine ebraica che ci osserva in una suggestiva fotografia in bianco e nero pubblicata all’inizio del volume nacque a Berlino il 17 aprile 1917 da una famiglia benestante e morì nel campo di concentramento di Auschwitz il 10 ottobre 1943 a soli ventisei anni, incinta di quattro mesi. Un dramma esistenziale intenso quello di Charlotte, segnata irrimediabilmente nell’anima dai molti suicidi avvenuti nella sua famiglia, un cuore sensibile che nella sua breve vita seppe trovare rifugio nella musica e nella pittura. Attraverso Vita? o Teatro? “grande opera autobiografica” pittorica (circa ottocento immagini), ma anche teatrale e musicale della Salomon, Pedretti indica al lettore la via per comprendere il significato di un’esistenza travagliata che si scontrò con la distruttività della Shoah. Ma la follia nazista non è stata capace di sterminare l’eccezionale personalità di Charlotte il cui passaggio sulla terra ha lasciato un segno indelebile.
“Vita? La loro non è mai stata vita! Erano morte prima di nascere. Sono rimaste appese per pochi o molti anni all’albero, ma erano nate già bacate. Le donne del tuo ramo materno sono tutte e tre morte suicide!”
Così il nonno di Charlotte, come leggiamo nel romanzo, rivelò alla nipote il marchio tragico che aveva segnato la sua famiglia, ancora ignaro del destino che attendeva la giovane artista ad Auschwitz.
- Quando ha scoperto la vita di Charlotte Salomon?
La mia scoperta di Charlotte risale al lontano Natale1992, quando ne fu allestita una mostra al Beaubourg di Parigi. Venire a conoscenza della sua vita e soprattutto vederla narrata in una straordinaria sequenza di tempere dipinte da lei stessa, fu per me uno choc. Tanto che mi sentii costretto a scriverne, come se anch’io dovessi farmi carico delle pene e ripercorre la lotta artistica di cui era stata protagonista quella straordinaria giovane.
- Desidera raccontarci brevemente i particolari più significativi della biografia della “giovane profuga ebrea berlinese”?
Considero Charlotte Salomon emblema luminoso di un mondo e di un periodo di estrema importanza: la Germania del primo Novecento. È come se la sua vicenda biografica e il suo eccezionale talento artistico ne rivelassero i profondi caratteri culturali, ma insieme purtroppo al naufragio finale di quella civiltà nei campi di sterminio. È come se la sua personalità ci presentasse i grandi “fiori” di quella cultura, il cui gambo affondava però in un humus esistenziale tragico: lo stesso che doveva travolgere molti suoi congiunti, soprattutto donne, con il suicidio.
- Il testo ha subito modifiche sostanziali rispetto alla prima edizione?
Il romanzo è rimasto sostanzialmente invariato. Credo se mai che sia migliorato nella resa narrativa, che ho cercato di rendere più fluida ed essenziale. Unica vera modifica è che, nella nuova edizione Skira, le 20 immagini che ho tratto dalla grande opera autobiografica di Charlotte, Vita? o Teatro?, adesso sono intercalate nel testo. In questo modo si fa più evidente lo stretto rapporto del mio racconto letterario con il racconto visivo di Charlotte.
- Chi era Franziska Grunwald, la madre di Charlotte che amava cantare a sua figlia il lied di Franz Schubert La morte e la fanciulla?
La madre risulta una figura di estrema sensibilità. Musicista, per quanto non professionista (come fu invece la matrigna Paula Lindberg), Franziska ci accompagna nei meandri della malinconia come sofferenza dell’animo. Charlotte, depositaria di uno spirito che pure rivela molte volte una grande carica vitale, sarà costretta a dare una risposta, attraverso la sua arte, anche alla lezione esistenziale della madre.
- Sette suicidi nel corso di tre generazioni. Quanto influì questa trama familiare di morte nella personalità di Charlotte?
Charlotte scoprì tardivamente la terribile catena suicidaria in particolare delle sue donne di famiglia (prima la giovane zia di cui aveva ereditato il nome, poi la madre, infine la nonna). Successe quando era profuga nel Sud della Francia agli inizi degli anni Quaranta. E fu proprio a seguito di questa scoperta che decise di mettere mano alla sua opera autobiografica, che si compone di quasi 800 tempere e circa 1300 fogli: un lascito d’inaudita potenza espressiva e qualità artistica.
- La Salomon con Vita? o Teatro? cercò di riscattare se stessa e l’abominio dal quale era circondata?
Non ci sono dubbi che per lei l’arte sia diventata strumento di elaborazione della sofferenza psichica e di riscatto esistenziale. Intuendo gli scenari cupi che si addensavano sulla sua vita, la sua autobiografia pittorica, una sorta di “opera d’arte totale”, è così diventata un’autentica forma di redenzione sua e del mondo che rappresenta.
- In un momento come quello che stiamo vivendo tra gli attentati di Parigi e Copenaghen e le minacce integraliste dello Stato Islamico, quanto è importante ricordare l’emblematica parabola umana di Charlotte Salomon?
È importante ricordarla perché ci ricorda che l’insopprimibilità del male è sempre in agguato.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Intervista a Bruno Pedretti, autore di “Charlotte. La morte e la fanciulla”
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