Cosimo Calamini nato a Firenze nel 1975, vive e lavora a Roma come sceneggiatore cinematografico di serie TV e di documentari di creazione. È autore anche di documentari storici per Rai Storia, History Channel e Rai 3. Con Garzanti ha pubblicato i romanzi Poco più di niente e Le querce non fanno limoni. Da pochi giorni è uscito Il mare lontano da noi (Garzanti 2014) sensibile favola moderna con al centro la figura di una donna, Serena, emblema di una generazione “precaria” che non intende arrendersi.
“... non è così facile tornare indietro, ogni volta che mettiamo in moto un ingranaggio tanto complesso, non lo possiamo fermare con uno schiocco delle dita. Ci illudiamo che sia così, ci dà sicurezza”.
- “L’angoscia è la vertigine della libertà”. Cosimo per quale motivo ha posto come esergo del volume la frase del filosofo danese Soren Kierkegaard?
Il dubbio e la scelta sono due concetti al centro del pensiero Kierkegaardiano. Il dubbio e la scelta sono due parole portanti, che attraversano sottotraccia tutto il romanzo. Uno dei titoli iniziali che avevo pensato per il libro era: "Io sono un’incertezza". Perché questa, alla fine, è la storia di una grande scelta e quindi di una grande incertezza, di un dubbio, quello che accompagna la protagonista fino alla fine e che solo all’ultimo rigo si scioglierà.
Ritengo l’incertezza una delle parole chiave del nostro tempo: è uno stato d’animo che dalla sfera esistenziale si è spostato a quella sociale. Tutti bisogna farci i conti.
- Che cosa rappresentano per Serena, la ricercatrice di storia, quei venti minuti “anarchici” trascorsi in macchina da Lanuvio ad Anagnina?
Serena è una donna desiderosa di inseguire la formula magica che permette di conciliare carriera e maternità. Convinta che inseguire solo l’una o l’altra non produca risultati soddisfacenti. Ci sono tante donne che nutrono questo desiderio, un obiettivo a mio parere tanto nobile quanto difficile, soprattutto se si appartiene al ceto medio-basso.
Molte donne si trasformano in una specie di computer che deve tenere in mente almeno cinque pensieri contemporaneamente: legati al lavoro, ai figli, alle questioni domestiche, alle amiche, alla famiglia, etc. Quei venti minuti rappresentano l’unico momento della giornata dedicato a sé stessa. È un po’ poco, ma ci sono dei periodi della vita in cui ci si deve accontentare. Serena sta vivendo uno di questi periodi.
- Attraverso le vicende di Serena e Fabrizio ha voluto raccontare i dubbi esistenziali e lavorativi di un’intera generazione?
La generazione di Serena e Fabrizio è la mia: una generazione di mezzo, rimasta schiacciata tra un secolo importante che è finito e un millennio che inizia. Siamo dei pionieri in un certo senso: su di noi vengono sperimentate nuove forme di lavoro, di organizzazione della società.
Come tutti i prototipi possiamo funzionare benissimo o avere guasti irreversibili. Tutto ciò crea ansia e incertezza ma può essere anche un pungolo, una scommessa stimolante da intraprendere.
- “Ho lavorato in particolare negli archivi di stato di Washington e in quella di svariate associazioni di italoamericani, dove erano conservati documenti e lettere che riguardavano una delle operazioni americane per indirizzare a distanza l’esito delle elezioni italiane del 1948”. Il romanzo è anche l’occasione per rievocare un episodio dimenticato della nostra storia recente. Ce ne vuole parlare?
La racconto come se scrivessi un documentario storico:
Italia 1948. Il paese è spaccato in due: da un lato i democristiani guidati da De Gasperi e appoggiati dagli americani; dall’altro il fronte popolare con i suoi leader Nenni e Togliatti. Dopo Yalta, il paese è finito nell’ "area" americana, ma siamo agli albori della guerra fredda e per i Russi estendere la propria sfera d’influenza nel mediterraneo sarebbe importante. Gli Stati Uniti non lo possono permettere e usano tutti i mezzi – ufficiali e ufficiosi – a loro disposizione. Tra questi c’è una forma di propaganda occulta chiamata operazione "Lettere dall’America". In accordo con la chiesa cattolica americana, vengono stampate lettere precompilate che molti italo-americani spediranno ai propri parenti in Italia. Il succo di ogni lettera è sempre il medesimo: vota come dice il papa, ovvero democristiano.
La tesi di dottorato di Serena, la protagonista del romanzo, verte su questo argomento.
- Il Suo stile è stato definito “Tagliente e anticonvenzionale”. Concorda?
Non lo so. Posso solo dire che ritengo la ricerca dell’originalità – nei temi e nel linguaggio - un dovere per uno scrittore.
- Nella Sua veste di sceneggiatore, ha mai pensato che il più delle volte la realtà, il vivere quotidiano superi qualsiasi finzione cinematografica?
Ho una formazione documentaristica, ogni mio romanzo nasce da un documentario che ho visto o a cui ho lavorato; ritengo fondamentale quella che i documentaristi chiamano l’esperienza sul campo, ovvero vivere in mezzo alle persone che poi saranno l’anima della "storia" che si andrà a raccontare. Insomma la realtà è un’importante fonte d’ispirazione.
Una storia che affonda le radici nella realtà, se uno la sa interpretare e raccontare, a mio avviso, è sempre più bella di una totalmente inventata.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Intervista a Cosimo Calamini, autore de “Il mare lontano da noi”
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