Davide Nota è nato nel 1981 a Cassano d’Adda, in provincia di Milano. Da sempre residente ad Ascoli Piceno, si è laureato in Lettere moderne a Perugia nel 2007. Nel 2011 ha fondato la casa editrice Sigismundus. Ha pubblicato i libri di poesia “Battesimo” (LietoColle, 2005), “Il non potere” (Zona, 2007) e “La rimozione” (Sigismundus, 2011), ora raccolti in unico volume rivisto e corretto sotto il titolo “Il non potere” (2014), e il libro di racconti “Gli orfani” (Oèdipus, 2016). Vive e lavora tra le Marche e Roma.
- Entro quali orizzonti, familiari e ambientali, è avvenuta la tua formazione culturale?
Ho passato lʼinfanzia tra libri di avventura e fantasia, in una casa per lo più satura di volumi di storia e filosofia politica. Nella prima adolescenza, grazie a un magico insegnante di nome Tonino DʼIsidoro, ho amato Kafka, Edgar Allan Poe e Baudelaire, i primi custodi di un regno sotterraneo che avevo sete di scoprire. Qui inizia il labirinto e ogni labirinto conduce a una caverna. Così è arrivata infatti la poesia di Rimbaud, e lʼiniziazione ha raggiunto il suo vertice, vale a dire la vocazione e la trasfigurazione solitaria da adolescente a poeta.
Yeats, Ezra Pound, Trakl, Rilke, Keats, Joyce, sono a seguire. Così gli italiani: Foscolo, Pascoli, Corazzini, Campana, Roversi. Cito giusto i più determinanti in una formazione. Ma le influenze sono sempre frutto di una sovrapposizione di elementi discontinui. Dislivelli. Pasolini, Carmelo Bene, Burroughs, mi hanno abitato, sono rimasti. Umberto Saba e Jim Morrison, Don De Lillo e Céline, una raccolta di frammenti orfici, curata da Reale, e la poesia dei provenzali, fino alla scuola siciliana (Jacopo da Lentini!). Amelia Rosselli e Philip K. Dick oggi mi chiamano. Mi stanno parlando. Amo leggere opere di filosofia estetica, teologia e in maniera occasionale scienza e nuova fisica (divulgativa). Ma ormai non le considero più separazioni di genere, tutto mi appare come espressione e visione.
Ad ogni modo il polittico originario, la pala dʼaltare (rimanendo nella nostra metafora sacra) rimane così incisa: Poe, Baudelaire, Rimbaud, Kafka (con Rimbaud in alto, a corona).
- Quali sono i poeti e gli scrittori che senti più vicini alla tua sensibilità, quelli a cui ritieni di dovere particolare gratitudine?
Devo gran parte della mia formazione a Gianni DʼElia, maestro di stile, di metro e di coscienza estetica e filosofica. Grazie a lui sono stato accolto nella Libreria Palmaverde di Roberto Roversi. Se DʼElia è infatti il maestro, Roversi è lʼantenato. Quando talvolta nella mia scrittura si incontra la figura ambigua dell’antenato (che quasi sempre parla, pronuncia parole, rivela) penso a unʼanima grande e antica che in parte ha il carattere di Roberto Roversi e in parte quello di mia nonna Maria Alboini, seconda elementare e una vasta saggezza. Lei mi ha insegnato a parlare con le piante attraverso il tatto, ad occhi chiusi, sotto il sole. Tra i viventi ascolto inoltre con profonda partecipazione lʼopera di Eugenio De Signoribus.
- Quando e come hai deciso di fondare la casa editrice “Sigismundus” e perché l’hai chiamata così? Ci puoi illustrare brevemente la sua attività?
Sigismundus era unʼiscrizione latina che appariva sulla porta in travertino del piccolo negozio alimentari di mia nonna, nel centro di Ascoli Piceno. Un saluto, dunque, alla sua luminosa assenza. Unʼeredità spirituale, forse. Un continuare il cammino. La Sigismundus è una piccola officina editoriale di poesia, prosa dʼarte e pensiero estetico attraverso cui nel 2011 ho trasformato in un piccolo mestiere artigianale lʼattività che già svolgevo da anni con la rivista di poesia e realtà “La Gru”, vale a dire curare e diffondere una certa idea di poesia, che non abbia paura di essere filosofica né di essere sentimentale, che non si inchiodi alle estetiche egemoni di ricerca museale o di lirica domenicale e pensi piuttosto a spalancarsi come la rosa dei Sonetti a Orfeo di Rilke al sole feroce del giorno quanto allo sgomento orrore delle notti.
- Quali sono le tue pubblicazioni e a cosa stai lavorando attualmente? Ti senti più attratto dalla produzione in versi o in prosa?
Ho pubblicato tre capitoli di poesia dal titolo Battesimo (2005), Il non potere (2007) e La rimozione (2011), ora gratuitamente consultabili dal mio blog (dadonota.wordpress.com). Recentemente per Oèdipus è uscito un libro di racconti, Gli orfani (2016). Dal 2015 sto lavorando invece a Endimione, un poema pluristilistico e che amo definire porno-teologico, in cui si alternano capitoli di prosa lirica, con personaggi, dialoghi e scene incisi nellʼordito semantico piuttosto fitto, e sezioni di poesia. Credo mi occuperà per anni. Ne consegue che non faccio alcuna distinzione fra i generi. In entrambi i casi si tratta di scrittura ritmica, di ispirazione musicale.
- Cosa pensi del mondo letterario italiano? Ritieni ci sia possibilità per le voci più giovani e originali di emergere e a quali condizioni?
Oggi temo non vi sia possibilità per nessuno se non di attraversare il deserto storico trasportando con sé qualche vecchio baule tarlato. Forse piuttosto è questa la grande possibilità. Non essere invischiati in trame non nostre, in ambienti che ci deformano, in forme di stima ricattatorie. Dopo la traversata apriremo i bauli e vedremo quali saranno i tesori.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Intervista a Davide Nota: editore, poeta, narratore
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