Gianluca Pirozzi è nato a Napoli e ha vissuto in Italia e all’estero per lungo tempo. È autore di racconti, più volte premiati nell’ambito di rassegne letterarie nazionali e inclusi in diverse antologie; ha pubblicato la sua prima raccolta Storie liquide nel 2010, il romanzo Nell’altro nel 2012 e Nomi di donna (2016), quest’ultimo, selezionato dalla critica nel Premio Mario Luzi (2016), è uscito recentemente in Spagna col titolo Nombres de mujer. Come un delfino è il suo ultimo romanzo, appena giunto in libreria.
Abbiamo rivolto all’autore qualche domanda su questo ultimo lavoro che pare, rubando un’espressione a Paul Valery il quale parla di “occhio, mano e anima” come dei tre ingredienti indispensabili al lavoro dell’artigiano, aver coniugato perfettamente proprio tali tre elementi, ottenendo come risultato una narrazione potente e delicata, propria dei romanzi classici per eccellenza.
- In tempi di autofiction quanto c’è di biografico nel romanzo e quanto di inventato? Perché il titolo Come un delfino?
È un romanzo autobiografico, ma in una accezione che vorrei precisare e, rispetto alla quale, intendo in qualche modo anche dissociarmi. Nello scrivere Come un delfino non mi sono rifatto al modello di romanzo autobiografico che è diventato (o ritornato) di moda negli ultimi anni, cioè un genere che, non solo io, chiamo letteratura-intrattenimento o letteratura-reportage. Secondo questo modello, il romanzo e la storia rappresentano un pretesto per parlare di altre cose: cronaca, politica, filosofia e altro. Sotto forma di romanzo autobiografico il lettore ha tra le mani un macrotesto in cui convergono frammenti di interviste, stralci giornalistici, notizie desunte dalla rete e altro. Io ho voluto, invece, che sin dall’inizio, sin dal prologo al romanzo, il lettore potesse cominciare a leggere non capendo esattamente che cosa stesse leggendo, cioè se avesse tra le mani un’autobiografia o un romanzo.
Per questo il protagonista del mio romanzo si chiama Vanni – abbreviativo di Giovanni che è una parte del mio nome. Per questo ancora l’io narrante parla in prima persona; per questo Vanni fa quasi il mio stesso mestiere. E poi: Vanni è nato Napoli, ha un padre scultore come me, una madre che fa un lavoro per molti versi simile a quello che fa mia madre. Ed ancora Vanni va a vivere in molte città, abitando case simili a quelle nelle quali ho vissuto anch’io, ha intorno a sé oggetti, arredi, libri, che sono stati o che sono ancora anche intorno a me… Vanni, infine, ha compiuto una scelta affettiva e familiare che sono simili alle mie. Però, e dico però, Come un delfino è e resta un romanzo: a leggere con attenzione, il lettore scoprirà che Vanni non ha la stessa biografia di Gianluca: Vanni ha un fratello che non io ho mai avuto, Vanni ha altro e fa molto altro ancora che è pura invenzione.
A questo punto, credo che possa esser più facile ricorrere a un’immagine per descrivere il mio Come un delfino: l’immagine è quella di un remo immerso in mare e osservato da fuori. Ciò che vede il lettore dalla superficie, è il tratto di un remo ma è deviato dai riflessi e dalla consistenza dell’acqua, perciò la forma di quel remo e la sua traiettoria sono differenti da quella parte dello stesso remo che non è immerso in acqua. Voglio dire che tra il pezzo di legno del remo tenuto in mano e quello che prosegue nell’acqua si racchiude il senso della differenza tra realtà e finzione, tra l’autobiografia dell’autore e la vita di Vanni raccontata con lo strumento autobiografico. E, in tal senso, posso affermare che Come un delfino è un’autobiografia di fatti non accaduti o non completamente accaduti.
Riguardo alla seconda parte della domanda e, cioè, sul perché del titolo: c’è una motivazione che sta più in superficie ed è puramente aneddotica. Un anno fa, questo romanzo non si chiamava ancora… nel senso che aveva alcuni titoli per me ancora provvisori. Ero al mare, rileggevo alcuni capitoli, mia figlia giocava accanto a me nella sabbia, ha interrotto per un attimo i suoi giochi e mi ha domandato che cosa stessi facendo. Le ho spiegato che stavo rileggendo una storia che avevo scritto. Lei mi ha domandato come si chiamasse questa storia… ma i bambini sono diretti e amano la chiarezza, io in quel momento ho esitato e ho ammesso che non sapevo esattamente come si chiamasse la storia. Lei, allora, mi ha guardato e mi ha detto: “Secondo me devi chiamarla come un delfino”… io non ho compreso e le ho domandato se dovessi chiamarlo delfino, ma lei pronta mi ha risposto “No, papà: proprio Come un delfino”. E così è stato. Il libro è dedicato a lei e il titolo che aveva dato aveva il suo preciso perché che fino a quel momento mi era rimasto per molti versi inespresso: la vita del protagonista, Vanni, è una vita vissuta in uno stato di apnea, di assenza di aria, intesa come stato di felicità e, proprio come un delfino, Vanni sa che l’aria gli è necessaria per vivere e mentre trascorre il suo tempo nell’acqua, sa però che deve risalire in superficie e può riprendere aria per respirare, per vivere, ma dopo quel salto lui dovrà ridiscendere.
- Qual è il vero rapporto di Vanni con il padre? Invece con la madre e la nonna? E Maso, il fratello più giovane?
Il rapporto tra Vanni ed Ettore, suo padre, e tra Vanni e Laura, sua madre, è il rapporto che si instaura in virtù del sapersi accudito, amato o meno da parte del figlio e della capacità di accudire da parte del genitore. Dico forse una cosa che diamo troppo spesso per scontata: il bisogno di amore è un bisogno del tutto naturale ed è molto importante, poiché racchiude in sé molti altri bisogni che sono fondamentali per l’individuo, come il bisogno di sicurezza (fisica, morale, familiare, stabilità, etc.), di appartenenza (amicizia, affetto, intimità̀ sessuale e psicologica), di stima (riconoscimento, rispetto e stima reciproca, essere “speciale” ed importante per qualcuno ecc.). Tuttavia, rappresentando e raccogliendo in sé molteplici fattori emotivi e psicologici di grande importanza, il bisogno di amore è anche il più esposto a prestarsi a manifestazioni che in psicologia sono definite disfunzionali, cioè sono indotte da alcune comuni paure: paura dell’abbandono, paura del rifiuto, paura di essere costretti nella relazione, perdendo la propria libertà, paura dello stesso potere sovversivo dell’amore e del confronto con l’altro. Diciamo che ho costruito il personaggio di Vanni come un bambino il cui bisogno di accudimento non è realizzato né dalla madre, né dal padre. È lo stesso per Maso, il fratello minore di Vanni che, in quanto maggiore, assume su di sé anche il compito di difesa e di protezione del fratello. In questo nucleo familiare è, invece, la nonna, Iole, che realizza pienamente la figura accudente e che diviene anche strumento di conoscenza, aiuta Vanni ad aprirsi al mondo e lo fa in un modo festoso, giocoso, utilizzando strumenti, come la lingua (la nonna parla ai nipoti in francese), che diventano a loro volta elementi essenziali e indispensabili ad appagare il bisogno di amore di Vanni e di suo fratello Maso.
Sulla copertina di Come un delfino ci sono delle frasi. Una è la fugace conquista della felicità. Già è un risultato o credi che la felicità o la ricerca della stessa sono fondamentali?Siamo abituati a declinare la felicità nel momento della sua assenza e, dunque, spesso a rimpiangerla come condizione del passato, o a desiderarla come una situazione futura, che, talvolta, è immaginata come una meta non più raggiungibile. Io credo, invece, che ciascuno di noi debba sforzarsi di riconoscere la fugacità della felicità ma anche la sua possibilità proprio nel momento in cui essa è davanti a noi, nell’istante in cui vi siamo immersi. In questo senso, Come un delfino rispecchia anche la mia visione positiva nei confronti della vita, anche quando essa può esser segnata da perdite strazianti e dolorose come quelle subite dal protagonista. Perciò, ho costruito un personaggio che non si riconosce affatto nell’idea che chi subisca un danno sia necessariamente obbligato alla sofferenza, alla scaltrezza o, addirittura, a produrre a sua volta il danno nella consapevolezza di essere un “sopravvissuto”. Il mio Vanni, proprio in quanto ha subito un danno, cerca l’amore e non rinuncia ad aprirsi agli altri e alla vita. Vi è un dialogo nel romanzo tra Vanni e Amandine in cui due si dicono che quella che stanno vivendo in quel preciso momento è la felicità e di quanto sia importante l’atto di riconoscerla anche perché, appena questa svanirà, sarà più facile aggrapparsi alla sua idea per provare a continuare ad andare avanti.
- La nascita di Tea che vive con i due padri è molto emozionante. Lo dai per diritto acquisito o sai che potrebbe cambiare tutto in peggio, laddove ci fossero delle condizioni politiche e sociali diverse e avverse?
La vita di Tea, la figlia di Vanni e Tiago, come quella di tutte le bambine e i bambini che hanno due genitori dello stesso sesso e che vivono in questo Paese non è ancora uguale a quella dei loro coetanei, perché questo non è ancora un Paese in cui non vengano garantiti gli stessi diritti a tutti i minori. L’Italia non è ancora una nazione in cui ogni famiglia, comunque sia fatta, trovi rispetto e supporto: i valori come inclusione, rispetto delle differenze, condivisione e laicità sono ancora lontani dall’essere pienamente realizzati e tutelati. E questo fa sì che i bambini delle coppie omogenitoriali in Italia siano più esposti rispetto agli altri minori di fronte alle difficoltà che inevitabilmente la vita può porre: non ci sono tuttora in Italia strumenti idonei a proteggerli in caso di un ricovero ospedaliero, di una separazione complicata, di un lutto e altre situazioni impreviste che però fanno parte della vita di tutti. Ecco perché dico che in Italia c’è ancora bisogno di pari diritti e vi è urgenza di colmare questo vuoto legislativo.
- A parte il tuo bellissimo romanzo, quali altri libri recenti ti senti di consigliare ai nostri lettori?
Sono soprattutto riletture, tra gli autori stranieri: Alice Munro, Michael Cunningham, Jeffrey Eugenides, Jonathan Safran Foer, Julio Cortazar; tra gli italiani, dopo Giorgio Bassani, ho riletto la magnifica Elsa Morante e poi ho fatto un’ingorda scorpacciata dei romanzi di Antonella Cilento, Melania G. Mazzucco, Romana Petri, Valeria Viganò e, ultimamente, i romanzi dell’italo-cubana Alba De Céspedes, (nella collana de I Meridiani curata, tra gli altri, da Monica Cristina Storini)… poi, è già qualche anno che provo grande stimolo nel leggere le biografie di artisti e scrittori del ‘900: recente quelle meravigliose dedicate a Giorgio Morandi e Louise Bourgeois e Natalia Ginzburg raccontata ne La Corsara da Sandra Petrignani.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Intervista a Gianluca Pirozzi, in libreria con "Come un delfino"
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