Considerato uno dei migliori scrittori britannici del secondo dopoguerra, Graham Swift, classe 1949, ha da poco pubblicato in Italia il suo ultimo libro, “Un giorno di festa. Una storia d’amore”, per Neri Pozza, con traduzione di Luca Briasco.
Si tratta di una storia di trasformazione e di ambizione, di rinascita e di rivincita, la cui relativa brevità – 139 pagine – non limita, anzi ne esalta, le qualità stilistiche: una ricercatezza celata da un’apparente sobrietà e una lingua che si distingue per la sua musicalità.
Abbiamo incontrato l’autore, a Milano per presentare il romanzo alla stampa e ai lettori.
-* Comincio con la stessa domanda che, nel romanzo, viene fatta spesso alla protagonista: “Quando ha deciso di diventare scrittore, e come è accaduto”?
Non c’è stato un momento particolare nella mia vita a cui possa fare riferimento e dire: “E’ stato allora che ho deciso di diventare scrittore”. Più ci penso e più mi convinco che è stato proprio nella primissima fase della mia vita: io non ho una formazione letteraria, nessuno della mia famiglia era uno scrittore o si occupava di letteratura; nessuno mi ha spinto in questa direzione: è qualcosa che è venuto da me. Forse è proprio leggendo i libri da bambino: come tutti gli altri bambini, avvertivo la magia di quello che ci poteva essere in un libro. A differenza però degli altri bambini, ho pensato:
“Perché non diventare io quello che crea questa magia all’interno dei libri?”.
E questo in un momento della mia vita in cui non sapevo assolutamente che cosa volesse dire scrivere, che cosa comportasse la letteratura: era una sorta di piccolo sogno che è persistito in me e che, come vediamo, si è realizzato. Quindi, possiamo dire che “mi sono creato io scrittore”.
-* Pensa che sia necessario, per diventare uno scrittore di successo, avere doti innate o è sufficiente lavorare con determinazione?
Questa frase “è uno scrittore innato”, un “racconta-storie nato” non mi convince. Non penso che qualcuno nasca “qualche cosa”. Ci deve essere il desiderio di diventare qualche cosa, ci vuole tanta determinazione, tanto lavoro, e alla fine si diventa quello che si desidera diventare. Nel mio caso ho nutrito questo desiderio fin da piccolo, ma ci sono voluto tanti anni prima che riuscissi a completare un libro, prima che riuscissi a pubblicare qualche cosa. Perciò, si può "diventare" qualche cosa, ma non "nascere" qualche cosa.
-* Per venire al suo nuovo romanzo, il sottotitolo “Una storia d’amore” mi ha un poco fuorviata, visto che non si tratta di una storia d’amore tradizionale…
Ritengo che ci sia “tanta” storia d’amore in questo libro. Tra l’altro, si tratta della prima volta che assegno un sottotitolo ad una mia opera ed è stato scelto per due ragioni. La prima perché, come dicevo, ritengo che ci sia tanta storia d’amore e, soprattutto, c’è qualcuno che realizza il proprio scopo individuale nella vita, ovvero diventare scrittore – parlavamo prima del desiderio di diventare scrittore…
In questo caso, la protagonista realizza il suo sogno e per me questa è già una storia d’amore, è un libro romantico.
La seconda ragione del fatto che ho assegnato questo sottotitolo è che la parola romance in altre lingue, come il francese, l’italiano, il tedesco, assomiglia alla parola romanzo. In inglese no, ma in queste lingue, sì. Il mio obiettivo era far capire che, da un lato, c’è la storia d’amore, quindi la fiaba, ma dall’altro c’è un vero e proprio romanzo: un romanzo sulla narrativa, sul modo di raccontare le storie.
-* La struttura, che definirei “a spirale”, nel senso che si ritorna sempre ad un momento particolare – il 30 marzo 1924 – per allargarsi poi nel tempo, nel futuro, è molto originale: si tratta di una sua idea o si è ispirato a qualche altro autore?
Questa è una struttura che viene da me, non mi sono ispirato ad alcun autore. Partirei dalla fine: Jane diventa – lo capiamo dal resto del libro – una signora molto anziana, perché vive fino a quasi cento anni, e una scrittrice. E per me sarebbe stato possibile partire, per raccontare la sua storia, da quando, in modo retrospettivo, guarda al suo passato. Ma era una cosa che non volevo assolutamente fare. Quello che volevo fare era invece concentrarmi su questa giornata davvero speciale: il romanzo deve essere ricco di immediatezza, quindi dare moltissimi dettagli su questa giornata, descritta quasi al minuto. Però, piano piano, abbiamo anche dei flash su quello che sarà il suo futuro. Il romanzo si apre, per così dire, con questa struttura che lei ha definito a spirale, ritornando sempre a questa giornata, pur avendo anche un’idea di quello che succederà. Ma il fatto di ritornare continuamente a questa giornata, fa sì che noi continuiamo a vedere Jane, la protagonista, bella, giovane, in una radiosa giornata primaverile… E’ proprio questo ciò che volevo fare: creare un libro gioioso e far capire come, in fondo, la gioventù ci accompagni anche mentre invecchiamo: pur essendo vecchi, dentro di noi, rimangono i giovani che siamo stati.
-* Può approfondire questo concetto di "immediatezza" in un romanzo?
Parlavo del concetto di “immediatezza”: secondo me, ciò che di grande un romanzo può realizzare è far sentire al lettore – far credere al lettore – che ciò che sta succedendo, sta succedendo "ora".
In questo caso, parliamo del 1924, ma la cosa importante è questa: anche se si parla di romanzo moderno o di romanzo storico, un grande romanzo fa sì che tutto sembri avvenire nel momento in cui si legge, fa sì che il lettore senta che sta avvenendo in quello stesso momento.
E anche nel rileggere il libro, di nuovo avere la percezione che tutto stia succedendo in quel momento.
-* La voce narrante è alla terza persona, ma esprime il vissuto di Jane, la quale, scopriamo, diventerà una scrittrice: in quale misura lei mette in scena se stesso attraverso questa voce?
Indubbiamente il romanzo è scritto alla terza persona, però il narratore non è Jane. Spero che la voce narrante sia così intima che venga avvertita dal lettore come appartenente a lei. Sono sempre stato un forte sostenitore del narratore in prima persona, perché ritenevo che “io” fosse la persona che meglio potesse creare un’intimità con il personaggio. Nei miei libri più recenti, ho cominciato ad usare la terza persona, ma sempre con questo desiderio di creare un’intimità molto vicina al personaggio. Così, Jane non è me, ma io sono molto vicino a Jane e, certamente, alcune delle cose che Jane afferma circa le storie, la finzione, lo scrivere, sono cose che condivido: Ma rimaniamo due personaggi distinti.
-* Non so che cosa lei pensi delle definizioni di “romanzo breve” piuttosto che “racconto lungo”, ma trovo che, pur essendo un testo completo, ci sono parti che avrebbe potuto sviluppare, come il periodo che Jane ha trascorso ad Oxford o il suo matrimonio con Donald: come mai ha optato per questa “lunghezza”?
Io spero che il mio romanzo sia nello stesso tempo breve e lungo o, potrei dire, piccolo e grande. Quello di cui sono certo è che è completo, è sufficiente. Anche nella sua brevità, deve avere la capacità, l’intensità, la profondità, la portata – potrei dire “l’abbraccio” – su tutta la realtà che descrive. Perché quello che deve fare un buon romanzo – che abbia centocinquanta pagine o mille – è proprio coprire tutta la realtà.
Non c’è mai stato alcun dubbio sulla sua lunghezza, anzi ho lavorato per accorciarlo. Non penso fosse necessario fornire ulteriori dettagli su quei periodi che lei citava, perché li ho lasciati alla fantasia del lettore e la mia intenzione era concentrarmi su questa giornata di cui ho fornito, minuto per minuto, la descrizione. La sensazione che volevo creare nel lettore, alla fine di questo romanzo, era che la storia, una volta terminata, fosse completa.
Oltre a questo, volevo suscitare il sentimento del perché noi leggiamo queste storie, del perché noi abbiamo bisogno di queste storie di finzione. Entrambe queste sensazioni insieme.
In questo senso, la fine del mio romanzo è anche un invito a leggerlo di nuovo, alla luce di quello che si sa.
Posso garantire che c’è di più, basta rileggere il romanzo. Avrebbe potuto essere un romanzo più lungo, ma rileggetelo: vi troverete tutto ciò che vi serve.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Graham Swift racconta in un’intervista “Un giorno di festa. Una storia d’amore”
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