Santi numi di Jacopo Masini (Exòrma Edizioni, 2021) è una raccolta di vite di santi ma… immaginari.
Per scoprire meglio i meccanismi narrativi e creativi all’origine di un’opera tanto originale e sfaccettata, ci siamo confrontati direttamente con l’autore.
- Jacopo Masini, partiamo dall’inizio: come ci si documenta per creare un simile compendio di vite di Santi immaginarie o riadattate, a cosa si attinge?
Non saprei dare una risposta precisa, onestamente. Nel senso che, a parte una risposta ovvia, e cioè che bisogna leggere agiografie, vite di santi ed eremiti, il Vecchio e il Nuovo Testamento, non mi viene in mente altro. Nel mio caso, per una serie di motivi che hanno a che fare con la mia storia personale e le mie curiosità, anche dal punto di vista narrativo, ho sempre letto e riletto vite di santi, profeti e personaggi biblici. È una specie di patrimonio personale che, secondo me, coincide con un patrimonio collettivo, cioè con la mitologia nella quale siamo immersi negli ultimi duemila anni circa.
- Probabilmente l’agiografia è una fra le forme di letteratura rimaste più vicine alla loro forma tradizionale, nei secoli, e oggi è una pratica che diremmo quasi scomparsa. Da dove ha tratto spunto per rivoluzionarla con queste modalità?
Sì, sono d’accordo. È una forma letteraria tendenzialmente breve che ha ispirato anche la novella, dal punto di vista storico. Lo spunto mi è venuto da una considerazione molto semplice, e cioè il fatto che accettiamo – e prendiamo per veri – certi racconti agiografici soprattutto perché sono lontani da noi nel tempo. Essendo passati secoli, tendiamo ad assecondare quei racconti. Sospendiamo facilmente la nostra incredulità. La mia domanda è stata: ma se Maria fosse una giovane donna di Parma vissuta negli anni ‘80? Se san Francesco fosse vissuto nella bassa negli stessi anni? Cosa penseremmo di loro, delle cose che ci raccontano gli siano accadute?
- Si mette a punto tutto questo materiale, si organizzano le idee e le storie... E poi chi lo leggerà? Come se lo immagina il lettore ideale di un libro come questo?
Me lo immagino come qualcuno che abbia voglia di cimentarsi con storie che somigliano a quelle raccontate a voce. E che accetti di trovare la tragedia o la malinconia dentro al comico.
- Alcune delle storie che lei racconta, intervallate a diversi elementi storicamente attestati, o comunque riconducibili a eventi verosimili, sono l’evidente frutto di una fantasia dai tratti surreali e taglienti... O c’è del vero anche in queste?
Diciamo che alcune storie che potrebbero sembrare frutto della mia fantasia probabilmente non lo sono affatto. Una parte della mia famiglia ha origini contadine e in campagna, nelle stalle, nei caseifici, succedevano cose che adesso troviamo assurde. Ma le stesse cose sono accadute a santi e sante, stando alle agiografie. Ad esempio, San Nicola, che poi è diventato San Niklaus, Santa Klaus e infine Babbo Natale, salvò dei ragazzini conservati in salamoia all’interno di grandi anfore e per questo divenne protettore dei bambini. Non me lo sono mica inventato io.
- Alla base della sua operazione di recupero e riscrittura c’è la modernizzazione di certi episodi, nel tentativo di riavvicinarli al nostro immaginario collettivo. Eppure, l’Emilia padana degli anni Settanta che fa da sfondo al volume non è già anche lei proiettata in un passato dal quale ci stiamo allontanando?
Sì, certamente. E, in più, credo appartenga all’ultima epoca pre-digitale, per così dire, quando ci si poteva perdere senza essere ritrovati grazie a un gps, o non era così facile fare foto o girare video di santi, miracoli e miracolati, dunque le leggende potevano ancora correre e prosperare.
- C’è qualche vicenda che avrebbe volentieri lasciato esattamente per com’era in origine, per via della sua carica evocativa, o magari per l’assurda combinazione di certe caratteristiche?
Direi quasi tutte le storie a cui mi sono ispirato. Soprattutto Giona, Salomè e Giuditta, che però ho seguito passo passo nel mio racconto. Non mi sono allontanato troppo dall’originale, nella struttura e nella successione dei fatti.
- E che meccanismi antropologici, sociologici o politici (in senso lato) particolarmente interessanti o inaspettati ha osservato, mentre si dedicava alla stesura?
Non saprei rispondere. La cosa che mi ha colpito, però, e che ho cercato di riportare nel mio racconto su Salomè, è una cosa che scrisse René Girard a proposito di quell’episodio. E cioè che Salomè, essendo una bambina, nel racconto evangelico non sa cosa chiedere, quando Erode si offre di darle tutto ciò che vuole. Quindi chiede alla madre cosa chiedere e la riposta "La testa del Battista" (che si opponeva alle nozze tra lei e Erode) viene interpretata da Salomè alla lettera, tanto che fa portare la testa su un vassoio. Quel vassoio è il simbolo del suo desiderio mimetico.
- Per concludere: cosa può ancora prendere il posto, nell’orizzonte creativo di uno scrittore di vite di Santi trasfigurati, dopo avere portato a termine il progetto?
Ho già in mente alcune cose. Ad esempio, un libro solo di ringraziamenti, una versione particolare dell’Amleto e un libro sulle fini del mondo. Non la fine. Le fini.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Intervista a Jacopo Masini, in libreria con "Santi Numi"
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