Letizia Triches torna in libreria con il suo nuovo libro, edito da Newton Compton, Delitto a Villa Fedora. In occasione della presentazione del suo ultimo volume presso la libreria Koob di Roma, le abbiamo posto alcune domande.
- Letizia Triches viene ormai definita dalla critica “la maestra del giallo italiano”: ma lei si riconosce interamente in questa definizione della sua opera narrativa?
Mi riconosco soltanto nel fatto che sono un’autrice di gialli. Classici dal punto di vista della struttura e italiani perché l’ambientazione nasce da un luogo che conosco bene. E questo luogo è sempre una città d’arte. Intendo il giallo come una sorta di gioco inquietante, quello con una vittima e con un carnefice. Amo giocare con il lettore. Lo sfido, lo spingo a un interscambio di ruoli. Perché tutti possono recitare un ruolo, anche chi legge. Mi piace prendere il lettore nella rete, trascinarlo in fondo insieme a me, verso un ventaglio di possibilità molteplici. Il gioco si fa sempre più difficile, ma l’idea di base è semplice. L’abilità sta nel sollecitare chi legge a guardare altrove, nel fargli ricercare soluzioni diverse, mentre la verità è lì, sotto i suoi occhi.
- Quanto incide la sua professione di insegnante e la sua competenza di storica dell’arte nella ispirazione dei suoi romanzi?
Di sicuro non si crea dal nulla. Vietato barare. Niente trucchi. Quindi credo che le mie precedenti professioni abbiano avuto un peso su ciò che scrivo oggi. Ammetto che, sia come docente che come storica dell’arte, ho operato in modo un po’ anomalo. Non riuscivo a disgiungere la biografia degli artisti dalle loro opere. Per me le opere sono brandelli di esistenza umana e perciò esse stesse esseri viventi. Per questo, anche come scrittrice, scavo nella vita e nell’anima dei miei personaggi. La trama investigativa è un pretesto per farlo e l’intreccio è funzionale alla loro psicologia e ai loro rapporti reciproci.
- A quali caratteristiche attribuisce in maggior misura il successo crescente che il pubblico riserva a ogni uscita dei suoi libri?
Forse il fatto che i miei romanzi siano stati definiti noir domestici potrebbe essere uno dei motivi per spiegare il gradimento del pubblico. Non mi interessa descrivere il mondo della criminalità, preferisco muovermi in quel contesto che molti definiscono normale. Punto lo sguardo sulle dinamiche familiari, in cui ciascuno di noi potrebbe riconoscere qualcosa di sé. Con una predilezione per la casa, dove tutto può accadere. Utilizzo una descrizione puntigliosa dell’ambiente, delle località, dei personaggi. Analizzo l’orrore quotidiano di tante piccole violenze poco visibili e dimesse. La pulsione omicida che riesce a dissimularsi in un litigio privo di importanza. Mi servo del genere giallo come espediente per analizzare le radici del male impiantate nella nostra mente. Sono ossessionata dalla ricerca della verità e dai moventi che si nascondono dietro i comportamenti. La domanda essenziale è: «Perché un essere umano arriva al punto di uccidere un suo simile?».
- Napoli, Firenze, Venezia, Catania, Roma. Possiamo affermare che lei stia costruendo una nuova e inedita geografia della recente narrativa italiana di genere?
Si potrebbe pensare che il fatto di ambientare ogni nuova storia in una città diversa costituisca una sorta di necessità da parte mia. Come se scegliessi deliberatamente un luogo e poi, condizionata da ciò, parlarne, dando vita a una specie di geografia narrativa. Non è questo che accade. In realtà io scelgo dei luoghi che già conosco e dove ho avuto delle esperienze alle quali, magari, non pensavo più. Quando accade, quella città si trasforma in detonatore, provoca un’esplosione che porta a galla ricordi di cui non avevo più coscienza. Posso solo aggiungere che, in questo momento, l’immagine di Roma si è talmente radicata dentro di me che sono obbligata a scriverne. È il solo modo che ho per liberarmene e per andare avanti.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Intervista a Letizia Triches, in libreria con "Delitto a Villa Fedora”
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