La scrittrice Mary B. Tolusso ha pubblicato nel 2009 "L’imbalsamatrice", per la casa editrice romana Gaffi, e alcune raccolte poetiche. Vincitrice nel 2004 del Premio Pasolini, nel 2012 ha vinto il Premio Fogazzaro, nella sezione poesia, con “Il freddo e il crudele”.
Abbiamo oggi il piacere di intervistare la scrittrice, tornata in libreria a maggio 2018 con il romanzo "L’esercizio del distacco", edito da Bollati Boringhieri.
- Se una persona non sapesse che è un libro, il bellissimo titolo "L’esercizio del distacco" farebbe pensare a pratiche orientali o un’opera di uno psichiatra che scrive come distaccarsi dai genitori?
In realtà no, niente di esotico, anzi. Direi che è un libro tutto occidentale, più incline appunto al distacco affettivo. Tuttavia non credo che la pratica, l’esercizio di un distacco non coinvolga i sentimenti ai più alti livelli. È come dice Romain Gary, è bene abbandonare un rapporto al suo apice, un atto controproducente ma più assoluto, lasciarsi quando tutto è appiattito è dozzinale. Naturalmente stiamo parlando di letteratura. Ma è anche vero che le persone che abbandoniamo quando ne siamo ancora coinvolti non ci lasciano mai.
- Come è nato il libro?
Una notte di alcuni anni fa. Mi sono svegliata un po’ di soprassalto pensando che per reggere l’idea della morte ci pensiamo immortali, ma se fossimo veramente immortali riusciremmo a reggere l’idea dell’eternità? Secondo me no, al contrario dovremmo crederci mortali. Così è nato il romanzo, i miei protagonisti per sopravvivere a una vita più lunga infatti – e non tutti ce la fanno – devono esercitare “distacco” dall’idea del tempo, in qualche modo si congelano, vengono formati all’imperturbabilità. Ma la cosa non regge per chi ha voglia di quegli stati assoluti che solo la mortalità garantisce, figuriamoci per degli adolescenti.
- Perché lei è così reticente?
Per semplici questioni tecniche. È un romanzo che acquisisce più senso compiuto nella spiegazione finale. Fino a che non si comprende che tipo di collegio è, quali sono le difficoltà dei protagonisti, c’è più suspense. Si intuisce che c’è qualcosa di strano, tuttavia pare un istituto come tanti. La reticenza si sposa anche con il tipo di educazione della protagonista, più fredda che espansiva.
- Sappiamo il nome di Sofia quasi a fine romanzo e che è ambientato a Trieste.
È un vezzo copiato da Proust. Anche nella Recherche il narratore viene nominato solo una volta. Pure nel mio precedente romanzo, L’imbalsamatrice, la voce narrante era senza nome fino alla parte finale, dove si rivela. Trieste invece è presente dall’inizio, riconoscibile, ma mai nominata. Volevo dilatarla e sottrarla dal tempo, quasi fosse un confine collettivo.
- David, Emma, Sofia e Ivan sono consapevoli di essere speciali, nel senso che sanno di essere ricchi, di frequentare un collegio esclusivo. Sono curiosi, ma non hanno perso un candore ancora da bambino, non sono cattivi. Penso ai quattro ragazzi del college di Dio di illusioni di Donna Tartt. È d’accordo sul candore?
Sono speciali perché sono adolescenti, per cui tutto accade per la prima volta. Sono d’accordo anche per il candore perché non conoscono il mondo esterno, sono estremamente protetti, sono a contatto solo con persone della loro estrazione, per cui anche l’indifferenza di Sofia verso le questioni sociali, non è menefreghismo, casomai è inesperienza. C’è chi ha visto in questo tipo di struttura degli elementi reazionari, in realtà è il contrario e dirò di più: volevo fare un romanzo che parlasse dei confini mentali, della diffidenza verso la diversità proprio focalizzandomi su un ambiente reazionario che, in questa occasione, diventa vittima della sua stessa formazione. E in ogni caso, diciamolo, Nemecskec è un personaggio meraviglioso, ma c’è del tragico anche nei quartieri alti.
- Ultima domanda: una piccola lista di libri recenti che le sono piaciuti, italiani e stranieri
Leggo una quantità sterminata di libri anche per lavoro. Infine me ne piacciono pochissimi, per me conta più la scrittura della storia, anzi la storia mi interessa relativamente, la trama si evidenzia esclusivamente nella scrittura. Limitandomi agli ultimi mesi tra gli italiani direi "Uomini e cani" (Adelphi) di Omar di Monopoli, la riedizione di "Parigi o cara" (Adelphi) di Alberto Arbasino, "Lealtà" (Einaudi) di Letizia Pezzali, "La morte si fa social" (Bollati Boringhieri) di Davide Sisto, "Le consapevolezze ultime" (Einaudi) di Aldo Busi e ho trovato interessante anche "Tutto il resto è provvisorio" (Bompiani) di Guido Barbujani.
Tra gli stranieri "Addio Gary Cooper" (Neri Pozza) di Romain Gary, "Le parole nell’aria" (Bollati Boringhieri) di Bernie McGill, "Purity" (Einaudi) di Jonathan Franzen e "Gli esclusi" (La nave di Teseo) di Elfriede Jelinek.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Intervista a Mary B. Tolusso, in libreria con "L’esercizio del distacco"
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