Michele Catozzi, ingegnere informatico, giornalista, scrittore, personalità eclettica. Con Muro di nebbia è arrivato alla quarta indagine del commissario Aldani dopo Acqua morta, Laguna nera e Marea tossica, quattro storie ambientate nelle acque della laguna di Venezia, anch’essa protagonista delle vicende. Suoi racconti compaiono in antologie tra cui le più recenti Delitti di Dio (Alter Ego, 2019), Natale a Venezia (Neos, 2020), The Book of Venice (Comma Press, 2021). Con lo pseudonimo Mark Ellero ha scritto il cyber thriller Netcrash, pubblicato anche in inglese. Nato a Mestre, vissuto a lungo a Treviso dove si è occupato di editoria e giornalismo, vive a Pesaro con la famiglia: ha tre figli come il commissario Aldani.
- Quarta indagine per il commissario Aldani. In che cosa è cambiato il tuo personaggio dall’inizio di questa avventura e in che cosa invece è rimasto immutato? E tu, come autore, in che cosa pensi di essere cambiato?
Forse non spetta a me dirlo, ma ho l’impressione che Aldani sia rimasto abbastanza fedele a se stesso, semmai è diventato un po’ più burbero del solito. D’altra parte Muro di nebbia affronta un tema difficile, la caccia a un serial killer, e credo sia giustificato l’atteggiamento scontroso e irascibile del mio commissario. O almeno che lo sia più del solito.
Per quanto riguarda me, la pubblicazione del primo romanzo è stata un punto di partenza, non certo di arrivo. L’evoluzione della mia scrittura lo ritengo un fatto naturale e credo proseguirà con i prossimi romanzi. Faccio sempre fatica a giudicare ciò che scrivo e mi auguro proprio di stare migliorando!
- I tuoi romanzi fanno spesso riferimento a fatti reali. Come scegli le vicende che entrano a far parte delle tue narrazioni?
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È vero, mi piace ancorare i romanzi a storie vere, magari prese dalla cronaca. Non sempre è possibile farlo in maniera completa (è difficile trovare una tema altrettanto realistico e “imponente” di quello della terribile vicenda del Petrolchimico di Porto Marghera, che fa da sfondo a Marea tossica) ma anche nelle storie secondarie è possibile agganciarsi alla realtà, come ho fatto ad esempio con alcune questioni legate all’Università Ca’ Foscari in Muro di nebbia. Per quanto riguarda la scelta affermerei che sono i fatti stessi a farsi avanti — lo so, sembra un luogo comune autoriale — come se a un certo punto dell’impostazione di un romanzo mi trovassi di fronte a scelte quasi obbligate, a una sorta di allineamenti di vicende, eventi e situazioni reali che vanno a incasellarsi in modo naturale nella storia che sto costruendo. Come se fossero da sempre stati lì. Legge di attrazione, oserei dire.
- L’accuratezza dei dettagli è una tua caratteristica. Come affronti la preparazione di un romanzo e quanta importanza dai alla documentazione, alla consultazione di esperti, alla verifica della veridicità di quanto racconti, pur trattandosi di romanzi e non di saggi o inchieste?
Sì, la cura del dettaglio è per me essenziale. Che si tratti di un racconto, di un romanzo, di un articolo giornalistico, di un post sul blog, sono alla ricerca perenne della massima veridicità di ciò che scrivo. A volte la fase di documentazione per un romanzo, che di solito è preparatoria alla scrittura vera e propria, dura molti mesi. È capitato, proprio con Marea tossica, che, dopo averne realizzato la prima stesura, ho ripreso a documentarmi. Una vera e propria ossessione, che ho illustrato con dovizia di particolari in una lunga nota autore — passata intonsa sotto le scuri dell’editor — a cui rimando i coraggiosi che vorranno leggere il romanzo.
- La vita privata del commissario Aldani rimane invece quasi sempre ai margini, della moglie Anna e dei tre figli si riesce a sapere ben poco. Come giustifichi questa scelta?
Non giustifico, semplicemente è successo. Durante la scrittura dei romanzi, che sono dei polizieschi, dei gialli procedurali, non dimentichiamolo, non ne ho sentito l’esigenza. O meglio, ogni volta che mi “scappava” di approfondire, mi sono “contenuto”, ritenendo più d’interesse per il lettore la narrazione delle indagini di Polizia o dell’ambiente di lavoro di Aldani e della sua squadra. Per il futuro, chissà...
- Oltre a romanzi scrivi anche racconti, alcuni con protagonista lo stesso commissario Aldani. Quali difficoltà incontri nel passare dalla scrittura di romanzi a quella di racconti o viceversa, soprattutto quando i protagonisti sono gli stessi?
Che scrivere un racconto sia un’attività creativa del tutto diversa da quella di scrivere un romanzo è un dato di fatto. La lunghezza breve obbliga a scelte narrative e di trama molto differenti tra loro. Aggiungo che numerosi racconti di Aldani sono antecedenti la pubblicazione del romanzo Acqua morta — il primo della serie — nel quale la figura del “personaggio” si è in un certo senso cristallizzata. La scrittura dei racconti successivi è stata in qualche modo facilitata perché facevo riferimento a un universo narrativo già in essere. Resta il fatto che in un racconto è difficile dispiegare un’indagine in tutta la sua complessità. In un racconto si può soltanto evocare, suggerire, spennellare.
- Venezia, Treviso, Pesaro, le tue città compaiono nei tuoi romanzi e racconti. Perché le conosci meglio o la tua scrittura è anche un tributo alle città dove vivi e hai vissuto?
Più che un tributo è la riprova del noto detto che gira tra gli autori: scrivi di ciò che conosci! E ambientare un romanzo in una città in cui si è vissuto è un primo passo verso quella veridicità cui tengo molto, come accennavo più sopra. Riguardo Venezia, poi… servirebbe un’intervista a sé stante!
- Come ingegnere informatico, qual è la relazione tra il tuo lavoro e la tua scrittura? Sia riguardo ai temi che tratti ma anche per mentalità e capacità che hai acquisito come informatico e che ti risultano utili come scrittore?
Di ingegneri autori (o autori ingegneri…) ce ne sono sempre stati: per affinità “professionale” mi vengono in mente Carlo Emilio Gadda, ingegnere elettrotecnico, e Luciano De Crescenzo, ingegnere elettronico che lavorò per 18 anni all’IBM. Ogni tanto mi capita di chiedermi come questo tipo di estrazione possa favorire la mia attività creativa (escludo naturalmente la scrittura di un cyber thriller, le cui correlazioni con la mia professione sono evidenti): non ho risposte precise, ma credo che la capacità di organizzare in modo razionale l’attività concreta della scrittura e di analizzare con lucidità la struttura delle storie siano utili retaggi della professione. Insomma, l’ordinata razionalità fa bene il paio con la creatività disordinata.
- Sei anche autore indie e hai pubblicato un romanzo sotto pseudonimo. Quali soddisfazioni o problemi hai avuto da questa esperienza in cui hai potuto/dovuto prendere tutte le decisioni e gestire tutti i dettagli dall’inizio alla fine?
Devi sapere che il tutto nacque quasi per caso: avevo per le mani un romanzo cyber e volevo iscriverlo a un concorso online che però aveva come prerequisito la pubblicazione dell’ebook su Amazon. All’epoca preferii non usare il mio vero nome, visto che poteva essere controproducente per la mia (ancora tutta eventuale) carriera autoriale, e così optai per Mark Ellero. Il romanzo Netcrash si è poi evoluto negli anni, e ci ho messo spesso mano fino a giungere all’ultima versione del 2020 che è stata affiancata dalla traduzione in inglese e pubblicata su una decina di piattaforme diverse. Ho scelto di gestire tutto da solo, dall’impaginazione alla copertina fino alla tecnicamente non banale pubblicazione sui vari store online (sfruttando le mie pregresse esperienze giornalistico-grafico-editoriali, nonché informatiche) e mi sono divertito davvero un sacco! Un’esperienza che consiglierei a tutti gli autori che pubblicano in modo tradizionale (e che spesso storcono il naso nei confronti degli indie, etichettati anche come self publisher) perché consente di guardare ai complessi meccanismi che regolano l’editoria da una prospettiva molto diversa e, secondo me, istruttiva. Per chi è curioso, ho raccontato in dettaglio questa particolare esperienza nel mio blog.
- Uno dei tuoi racconti, in lingua inglese, compare in una antologia edita da Comma Press. Anche il tuo romanzo indie è stato tradotto in inglese. Come sono state le tue esperienze di traduzione?
A Farewell to Venice è un racconto che vede Aldani impegnato a osteggiare il ventilato trasloco della Questura da Venezia alla terraferma. Prima di visionare la traduzione in inglese ho discusso a lungo con l’editor di Manchester su come tradurre termini come “commissario”, “questore”, “Questura”, “Squadra mobile”, “ispettore”, ecc. “Inspector Aldani” è uscito molto naturale, mentre c’è voluto un po’ per convincermi di quel “Flying Squad”, tanto evocativo quanto poco aderente. Per inciso, L’Eco dell’Altana n. 4 #farewell (vedi oltre) è dedicato quasi interamente ai dietro le quinte del racconto, incluse proprio le problematiche di trasposizione nella lingua inglese.
L’esperienza di traduzione del cyber thriller Netcrash è stata invece un po’ diversa, sia per la lunghezza del testo che per la (mia) volontà di aderire alla variante linguistica d’oltreoceano (American English) piuttosto che d’oltremanica (British English). Non solo, ho effettuato personalmente l’editing della traduzione, fissando in autonomia una serie di regole redazionali (punteggiatura, virgolette, dialoghi, sigle, acronimi, citazioni, ecc.) che sono molto diverse dall’italiano, aiutandomi in questo con la consultazione del Chicago Manual of Style. Quando si dice la cura dei dettagli… Io mi sono divertito molto e il risultato mi pare buono, ma l’ultima parola spetta ai lettori, of course.
Ammetto, infine, di aver imparato da queste esperienze a limitare l’uso delle subordinate e dei periodi lunghi e complessi, che gli inglesi tendono per l’appunto a semplificare. Detta diversamente: occhio a non esagerare con i periodi ipotattici, meglio a volte usare quelli paratattici… :)
- L’Eco dell’Altana: che cos’è e quale importanza pensi abbia nel contatto con i tuoi lettori?
L’Eco è un esperimento metanarrativo: un giornalino (definito “report”) curato da Claudio “Schinco” Danieli, il giornalista compagno di avventure di Aldani, che si diverte a prendere in giro sia il commissario che lo stesso autore dei romanzi, che poi sarei io… I vari Eco (al momento siamo a quota cinque) sono monotematici: #altana, #treviso, #farewell, #lagunanera, #nebbie. Il report più recente viene inviato solo ai lettori che lasciano la propria email sul mio sito, gli altri sono liberamente scaricabili. Per molto tempo ho rimuginato su come impostare la classica “newsletter” autoriale e alla fine sono giunto alla conclusione che ai lettori non interessano le elucubrazioni dell’autore, ma preferiscono continuare l’esperienza immersiva nelle storie dei personaggi che, si presume, amano. Per questo l’Eco è di fatto una cornice in cui le storie di Aldani prendono vita reale (non a caso il sottotitolo del giornalino è proprio “La Venezia celata del commissario Aldani”). In aggiunta, e coerentemente, ai lettori viene anche inviato il racconto inedito La tastiera vermiglia che vede il commissario indagare a Treviso dove è aggregato pro tempore alla locale Questura.
In conclusione, la newsletter cresce ogni giorno e la risposta dei lettori, che spesso mi mandano delle email, è ottima. Sono molto soddisfatto perché, al di là dei piccoli “numeri”, sono tornato in contatto diretto con tanti lettori della prima ora che, complice la polverizzazione degli strumenti di comunicazione (email, Facebook, Twitter, Instagram e così via), avevo “perso di vista”.
- Oltre al genere poliziesco e al cyber thriller quali sono gli altri generi che hai trattato nelle tue storie o che ti piacerebbe trattare nel prossimo futuro? C’è già qualcosa in previsione?
Confesso di aver scritto racconti e romanzi che spaziano dal giallo allo storico, dalla fantascienza al mainstream. Un romanzo cui sono affezionato, Il mistero dell’isola di Candia, è ad esempio un noir storico ambientato tra Venezia e Candia nel Seicento. Arrivò in finale al Torneo IoScrittore 2011 e venne pubblicato in ebook dal Gruppo editoriale Mauri Spagnol. Acqua morta, per la cronaca, vinse IoScrittore 2014 e fu pubblicato l’anno successivo da TEA, ma questa è storia nota…
Per il futuro? Oltre a una nuova immancabile indagine di Aldani, sono al lavoro da due anni su un progetto narrativo complesso che spero prima o poi vedrà la luce. Mi auguro di poterne riparlare presto con te!
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Intervista a Michele Catozzi, in libreria con “Muro di nebbia”
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