Nato a Roma, Paolo Marati ha studiato Lettere all’Università la Sapienza dove si è laureato con Giulio Ferroni in Letteratura Italiana con una tesi su Machiavelli. Dopo aver scritto alcuni articoli di critica letteraria (ad esempio Strutture e varianti della “Sera del dì di festa”, Studi Leopardiani, pp. 19-39, 1998), ha collaborato per qualche anno con alcuni quotidiani. Stanco del giornalismo, dal 1999 sceglie di diventare un professore liceale. Nel 2007 pubblica la raccolta di racconti “L’assassino sedeva a tavola con noi” (Aletti), nel 2014 il romanzo “L’intrusione delle onde anomale” (Barbera) con cui è finalista al Premio letterario Chianti, nel 2017 il romanzo “Gli indecenti” (Melville Edizioni).
- Il tuo ultimo romanzo “Gli indecenti”, molto bello, racconta di personaggi che agiscono senza pensare molto a quello che fanno. Si direbbe che si lasciano vivere, anche se non è del tutto esatto. Ci puoi spiegare come è nato questo libro?
Il libro è nato da un’attenta osservazione sul lento processo involutivo di cui sembra vittima la classe media del Ventunesimo secolo. Una classe media che ancora conserva alcuni aspetti dell’indifferenza della borghesia moraviana – e per questo concordo quando affermi che i personaggi paiono lasciarsi vivere forse perché privi di reali obiettivi da raggiungere. Tuttavia credo si possano scorgere anche delle differenze sostanziali.
L’indifferente di Moravia, attanagliato da un’abulia tenace, agisce soltanto per necessità perché obbligato dal meschino dover essere delle convenzioni borghesi. Il mio indecente, altrettanto privo d’ideali, ugualmente non curante delle storture del mondo che lo circonda, agisce soltanto per mero egoismo, per ottenere o mantenere una condizione apparentemente appagante. L’apatia di Michele Ardengo si degrada nel disgustoso egocentrismo vittimistico del mio Federico Galbiati. Tipico prototipo dell’indecente contemporaneo.
- Federico non ha niente del dimesso e del povero Cristo che si aggira in tanti, troppi romanzi di narrativa italiana. Può comprarsi il sesso, può andare in posti costosi. Hai riabilitato la classe media che sembrava sparita e quindi ci ritroviamo con libri dove vivono solo ricchissimi o poveri in canna. Hai deciso scientemente di ricordarci che la piccola e media borghesia esiste ancora?
Anche se ormai è definita “classe media”, la piccola borghesia tuttora esiste, continua ad avere delle peculiarità proprie, quasi inestirpabili. Oggi è per lo più trascurata perché appare meno interessante rispetto alle altre classi sociali. Si è certi che le vicende più o meno fortunate dei milionari portino il lettore a estraniarsi dal grigiore della vita quotidiana e a vivere per procura una vita di lusso, di amori profumati, di case eleganti, di viaggi entusiasmanti, di morali liberamente elastiche. Si è, al contrario, convinti che le storie degli emarginati e dei poveri in canna stimolino nel lettore o un senso di compassione struggente o un sotterraneo senso di viscida superiorità. A me, invece, interessa soffermarmi soprattutto sulla borghesia impiegatizia di inizio Ventunesimo secolo, popolata da personaggi grigi caratterizzati, per lo più, da orizzonti ideali e culturali desolatamente asfittici, personaggi che però creano paradossalmente tra loro degli intrecci stravaganti, morbosi. Credo che uno dei compiti della letteratura sia anche quello di creare storie cercando di interpretare la società coeva. Compito, questo, che spesso parrebbe negletto dalla narrativa contemporanea.
- Questo romanzo è, suo malgrado, molto divertente. Federico spesso è divertente. C’è nel testo una sessualità giocosa, ma anche triste. Te ne sei accorto che il lettore ride?
Mi fa piacere se il lettore ride. Negli Indecenti ho tentato di riallacciarmi a quel cinismo distruttivo tipico della commedia all’italiana fino agli anni Settanta. Un cinismo ormai sostituito da ostentazioni di sentimenti candidi, da edulcorazioni, per così dire, buoniste che conducono a un lieto fine superficiale. Ho riempito il romanzo di personaggi negativi, scostanti, e li ho immersi nella realtà grigia degli anni Dieci, realtà nella quale vige, secondo me, una volgarità diffusa, un immaginario di massa desolante, un completo disinteresse verso la cultura tranne in pochi che tuttavia si perdono dietro a vieti luoghi comuni o a interpretazioni libresche della società che li circonda. La sessualità descritta nel libro, poi, è speculare al carattere dei personaggi, perché è sostanzialmente una sessualità egoista, volta alla propria esclusiva soddisfazione, disinteressata alle attese del partner.
Davanti a queste situazioni deprimenti avevo due strade: o l’indignazione o la risata. Poiché la prima strada era sterile, ho optato per la seconda.
- L’ufficio stampa di Fazi editrice è chiuso. Secondo quanto riportato dall’ex addetto all’ufficio stampa su Facebook, l’editore ha deciso che non servisse a niente questo servizio essenziale, di cui si occuperà in futuro l’ufficio marketing. Questo di solito comporta che alcuni giornalisti culturali ricevano tutto e debbano affittare cantine per mettere tutti i libri che hanno ricevuto e che non leggeranno mai. Per contro un lettore, a volte, fa fatica a trovare una copia di un libro italiano. Che ne pensi?
Penso che dovrebbe essere abolita la normativa che prevede che le librerie abbiano diritto di reso sulle copie non vendute. Tale normativa fa sì che le case editrici minori, per non fallire, stampino quasi esclusivamente on demand. Non conosco bene la situazione di Fazi ma so di altre case editrici che hanno chiuso l’ufficio stampa probabilmente perché considerato anacronistico, una spesa di cui si può fare a meno. Del resto, i giornalisti culturali intellettualmente meno onesti recensiscono solo i libri di una casa editrice legata al proprio giornale o alla propria rivista, o i libri di amici, o i libri di coloro che possono ricambiare il favore (in una sorta di deprecabile do ut des), o i libri che sono stati loro raccomandati. Ma per fortuna sopravvivono molti giornalisti culturali non contaminati dalle dinamiche meschine di questo circolo chiuso.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Intervista a Paolo Marati, scrittore e docente
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