Paolo Nelli è nato in Brianza nel 1968, ma vive da tempo a Londra, dove lavora al King’s College London, nel cuore della città (a Covent Garden, per intenderci), anche se alcuni edifici dell’Università si trovano a Holborn — il King’s College, frequentato da persone poi diventate famose, ha visto come studentessa anche Virginia Woolf.
Nelli scrive dal 1996. Il suo primo racconto, Tributo alla maschera, ha vinto il premio Pickwick nel 1996. Successivamente ha pubblicato: La fabbrica di paraurti (DeriveApprodi, 1999); Justin (Portofranco, 2001); Dialogo sull’amore? (Sironi, 2002); Mio marito Francesca (Sironi, 2004), con cui ha vinto il Premio Chiara; Il naufragio della Querina (Nutrimenti, 2007); Golden Boot (Fazi, 2012); Trattato di economia affettiva (La nave di Teseo, 2018).
Vincenzo Mazzaccaro ha intervistato lo scrittore su Il terzo giorno. La prima indagine del commissario Colasette, edito per La nave di Teseo a settembre 2020.
Il terzo giorno. La prima indagine del commissario Colasette
Link affiliato
- Grazie Paolo per la disponibilità. Il suo libro è molto bello (complimenti!), con un italiano preciso, che risulta accurato per ogni personaggio. Il modo di parlare del commissario Colasette non può essere simile all’italiano di Piero, che ripete pedissequamente un frasario più povero, pieno di "parolacce". È proprio questa ricchezza che dà piacere al lettore. Quanto ha lavorato sul testo? Quanto è stato attento nei dialoghi, che per me sono perfetti?
A parte il primo momento in cui si riempie una pagina vuota, il resto dello scrivere è un continuo lavorare sul testo. Il linguaggio di un romanzo non può che essere mimetico, cambiare in relazione dei personaggi e, riguardo ai dialoghi, mi fa davvero gran piacere che li definisca perfetti. L’ho già detto altre volte, io ho capito cosa sia un dialogo leggendo DeLillo. Underworld, per la precisione. Non che prima non sapessi scriverli, ma è lì che, senza cercarlo, nel piacere ammirativo della lettura, ho colto una specie di essenza di quello che volevo che i dialoghi fossero e, anche, ho avuto la sensazione di capire come dovevo pormi mentalmente quando ho da scriverli.
- Lei è uno scrittore tout court che si è trovato a scrivere un romanzo di genere. Ma anche nella narrativa senza etichette si parla di problemi sentimentali, di fallimenti esistenziali, di dolore, di morte. A suo avviso qual è la chiave che distingue un genere come il giallo poliziesco rispetto ad altre scritture? Non credo che rimanere nei confini di genere sia stato per lei una diminutio, ma una scelta. C’è del vero in questa mia impressione?
Il giallo mi si è presentato come il solo modo per trasformare un’immagine (la scena notturna all’inizio del libro) in una storia compiuta e, in sincerità, all’inizio, più che un diminuirmi, mi si poneva come sfida personale la capacità di essere in grado di scriverlo. Scrivendo un romanzo definibile di genere è dentro certe coordinate che devi cercare il tuo spazio, il tuo modo e, se possibile, ambire a portare qualche novità. Ogni scelta narrativa comporta comunque delle esclusioni e quindi dei limiti. Però è vero, a volte ho sentito che accettavo un tipo di limite che non avevo mai percepito, per esempio, scrivendo il Trattato di economia affettiva, il mio romanzo precedente, dove un altro tipo di struttura narrativa mi permetteva molta più libertà. Già il fatto che tutto si svolga in una trama è un limitarsi. Il gioco (o il lavoro) sta nel far sì che la trama si sviluppi attraverso i personaggi, la loro vita, i loro incontri, i discorsi e tutto il resto. Quello che più mi spaventava e ho cercato di evitare era creare dei personaggi che soccombessero alla trama, che diventassero pupazzi ingabbiati in una struttura.
- Per chi non ha letto ancora il libro, che nel titolo trova scritto La prima indagine del commissario Colasette, può spiegare chi è Valerio Colasette? Perché è entrato in polizia? Quali strumenti usa per risolvere un caso così spinoso (due persone morte e la terza in coma)? Com’è, invece, come privato cittadino?
Ho sempre qualche difficoltà a parlare dei personaggi, per qualcosa che si collega alla domanda precedente. I personaggi, chi legge, li scopre camminandoci insieme, pagina per pagina, e li costruisce nella relazione con loro. Spiegarli mi suonerebbe come definire a priori dei tratti caratteriali, forse anche sminuendoli, quando io stesso nel romanzo questi tratti li faccio avvenire. Nel libro sono molto rare, e sempre brevi, le descrizioni psicologiche e fisiche. Colasette dice che è entrato nella polizia ispirato da una poesia di Pasolini. Cioè per modificare nella pratica un privilegio sociale che lui sentiva di vivere. Ma nel romanzo si spiega poco tutto questo. Potrei dire che il Colasette privato cittadino, col suo modo di sentire, la sua empatia, il suo senso del giusto, influenza il suo essere poliziotto, anche nelle modalità di indagine, minacciandone la professionalità. Al contrario, essere poliziotto gli permette di avere dei comportamenti forti, di fronte agli indagati, che in genere, nei rapporti con le persone forse non avrebbe.
- Nella bandella del libro, edito per La nave di Teseo, si scrive di giallo letterario? Questa definizione la trova d’accordo? Le si attaglia?
Nel sottotitolo “La prima indagine…” e nella definizione di “giallo letterario”, riportate in copertina, c’è quella specie di ambivalenza che forse il romanzo si porta dentro. Entrambe sono scelte dell’editore e io ho lasciato fare perché conoscono il loro mestiere meglio di quanto lo conosca io. Scrivere “prima indagine” può interessare gli amanti di un genere che, nel suo insieme, può contenere anche libri di qualità più bassa. D’altra parte Il terzo giorno affronta certi argomenti ed è scritto in modo tale da ambire a essere considerato prima di tutto buona letteratura.
- Oltre al commissario Colasette e alla sua collega e amica, l’ispettrice Maddalena Bercalli, lei tratteggia benissimo la figura di Irene Iannone, che fa l’assistente sociale a Colle Ventoso. Non vorrei dire altro. Lo sa che mi sono commosso per Irene? Come è nato questo personaggio?
Irene, narrativamente, è la persona che ci permette di vedere la realtà sociale direttamente dall’interno. Lei conosce le persone coinvolte, le frequenta o le ha frequentate. È forse il personaggio più originale e ha una complessità che nel romanzo viene esplorata più che per gli altri personaggi. Indaga, ma che stia facendo un’indagine è Colasette a farglielo notare. Irene è il tentativo di uscire psicologicamente da un livello sociale che la schiaccia. Non basta neppure quello che per lei è un riscatto, cioè un lavoro nei servizi sociali del paese dove vive. Lei rimarrà sempre figlia di sua madre e di suo padre, ai propri occhi e agli occhi che lei attribuisce agli altri. Suo fratello, Piero, che lei ha menzionato a proposito del linguaggio, invece, sembra totalmente dimentico della loro infanzia. Ho trovato letterariamente forte l’idea di odiare qualcuno prendendosene cura. Comunque, non so a che punto del libro lei si sia commosso, per Irene, ma io dopo aver scritto una scena non mi sono avvicinato al romanzo per una settimana. Ero in difficoltà, mi chiedevo se avevo il diritto di farlo.
- A un certo punto lei scrive di quanto sono cambiati alcuni italiani. Sono diventati bigotti, materialisti, arroganti e razzisti. Se affonda una carretta del mare piena di immigrati loro sono addirittura contenti. E poi l’affondo: queste persone votano un partito di cui si vergognavano prima. Ora, invece, è motivo di vanto. Non scrive il nome del partito, ma si capisce benissimo. Come mai ha sentito l’esigenza di scrivere una denuncia sociale così forte?
Non credo che un romanzo possa essere non politico anche se, allo stesso tempo, non credo che un romanzo possa avere alcun impatto sulla realtà. Riguardo all’evoluzione degli italiani, io vengo da quella Lombardia dove la Lega è nata e ho sempre trovato significativo che quando la Lega Nord degli inizi già arrivava al 9%, su scala nazionale, cioè era il quarto partito in Italia, riusciva a eleggere pochi sindaci nei paesi di provincia, perché tutti conoscevano le persone che si presentavano, e nessuno riusciva a considerarli presentabili. Non so se siamo cambiati o piuttosto si è abbassato il livello di accettazione o, anche, abbiamo oggi una legittimità a esprimere il peggio di noi stessi. Per stare sul personale, ogni volta che torno nella mia Brianza d’origine, mi capita di sentire, in luoghi pubblici, cose di una violenza assurda. Nel mio romanzo, a queste cose, a questa violenza, faccio rispondere Giulia, la panettiera, una brianzola da generazioni. È lei, infatti, a dire che prima certe cose solo l’imbecille del paese le diceva mentre oggi sono in tanti e lo fanno con vanto. La politica fatta a slogan che non richiedono mai un pensiero che preveda almeno due variabili ha abbassato a livelli bassissimi la politica e, di contro, ha innalzato tutti a potenziali politici.
- Sarà che gli avvenimenti criminali cadono nel Venerdì Santo e le indagini arrivano fino alla Domenica di Pasqua, in questo libro c’è una riflessione anche sul Dio cristiano che si è fatto uomo, che poco può contrastare il Male perpetrato dagli uomini. E anche i discorsi di Colasette con il prete portano con loro un alone di sacralità. Ha ancora un senso, produce senso, l’atto di fede, il dichiararsi credenti, per lei?
Il discorso religioso è troppo complesso da affrontare, tanti sono i livelli possibili. A livello politico, da non credente, mi rincuora che nel nostro presente giornali cattolici come "Avvenire" e "Famiglia Cristiana" abbiano preso posizioni forti apertamente contro la Lega, in nome della salvaguardia del vangelo. Per quanto riguarda il romanzo, certo, deve molto alla mia fascinazione per il linguaggio religioso carico di simbologie così lontane dal vissuto dei nostri tempi: Dio che sacrifica il figlio, sostituendolo all’animale sacrificale, per redimere gli uomini dal peccato. Sono secoli che non si sacrificano più animali, ma nel cristianesimo la ritualità per nulla metaforica di un sacrificio viene costantemente rinnovata. Come si possa credere a questo e come si possa credere che questo abbia un effetto sulla realtà, non lo so io e non lo sa neppure Colasette, anche se, ovviamente, sia io che Colasette rispettiamo chi lo crede. Colasette, forse, ne prova pure un po’ di invidia inconscia. Queste riflessioni animano un breve dialogo, nato intorno al libro Il concetto di Dio dopo Auschwitz di Hans Jonas, che Colasette trova nella libreria di don Mario. Tra l’altro è l’unico dei dialoghi religiosi che ho lasciato, nelle stesure successive, quando ho capito che di simbologia religiosa ce n’era già parecchia.
- Il romanzo che parte come giallo investigativo, nella seconda parte diventa pagina dopo pagina un vero e proprio noir. Una scelta inevitabile? Una scelta stilistica?
Tre vittime, tre giorni. Le storie si intrecciano, ma è il terzo giorno dove la causa di tutto si sbroglia. Questa idea che il romanzo doveva scendere al nero mi è venuta perché, scrivendo, mi sono reso conto che il romanzo andava proprio in quella direzione. Così ho cercato di intensificarne l’atmosfera, perché fosse chiaro lo scarto che avviene appena dopo la metà del libro. Perché si abbiano conferme di quanto è accaduto, un cadavere deve uscire dalla terra, il giorno di Pasqua, quando ormai è notte, sono tutti stanchi, sotto la pioggia battente.
- I nostri lettori, oltre a convincerli a comprare questa bellissima opera letteraria, sono curiosi delle letture degli scrittori. Cosa ha letto di recente che si sente di consigliare?
Ho appena finito l’Iliade, che avevo già letto in anni recenti, ma mi è venuta voglia di affrontarlo ancora dopo aver letto romanzi che hanno rivisitato l’epico, come Circe e La canzone di Achille di Madeline Miller e, soprattutto, Il silenzio delle ragazze di Pat Barker, una riscrittura dell’Iliade dal punto di vista di Briseide, la schiava di Achille, preda di guerra. Trovo bello come cambiare la prospettiva trasformi l’epica antica in romanzo con valore politico nel presente. Parlando di questi romanzi mi viene in mente anche The Shadow King di Maaza Mengiste, che non credo sia uscito in Italia ma spero qualche editore lo stia traducendo. Affronta l’invasione italiana in Etiopia, ma dal punto di vista di chi l’invasione l’ha subita, con protagoniste le donne soldato. È un romanzo che per parlare della resistenza etiope femminile, a tratti si rifà intenzionalmente, nei toni, all’epica greca classica.
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Intervista a Paolo Nelli, in libreria con "Il terzo giorno. La prima indagine del commissario Colasette"
Naviga per parole chiave
Approfondimenti su libri... e non solo Ti presento i miei... libri News Libri La nave di Teseo Paolo Nelli
Lascia il tuo commento