Raffaella Romagnolo è una giovane e brillante scrittrice piemontese. Dopo un ingresso nel mondo letterario con il giallo “L’amante di città” (Frilli, 2007), seguito dal meritato successo de “La masnà” (Piemme, 2012), l’autrice torna in libreria con il suo terzo romanzo “Tutta questa vita” (Piemme, 2013), la storia di Paoletta, una sedicenne alle prese con vicende serie e troppo complicate per la sua età. Raffaella ci parla di lei, della sua carriera in ascesa e, soprattutto, della sua ultima pubblicazione.
- Da cosa e come nasce il desiderio di scrivere?
Dal tentativo di trasformare emozioni intime (sensazioni, immagini, arrabbiature, spazzatura emotiva) in qualcosa di tangibile, e “scambiabile” con altri. Dal desiderio di riflettere su problemi che sento urgenti. Insomma, la scrittura mi aiuta ad esprimermi, ma soprattutto a comunicare.
- Cosa ci puoi dire del tuo esordio con "L’amante di città"?
Lo considero un po’ un esperimento. Adoro i romanzi di Fruttero & Lucentini e ho preso “La donna della domenica” come modello, spostando però l’azione narrativa dalla città di Torino, alla provincia, che conosco meglio.
- Poi è arrivata “La masnà” che ti ha fatto conoscere a un più vasto pubblico di lettori. Puoi parlarci un poco di questa saga famigliare?
"La masnà" racconta settant’anni di vita italiana (dagli anni trenta alla fine del secolo scorso) focalizzando l’attenzione su una famiglia contadina e in particolare sulla componente femminile. Non è una storia autobiografica, ma io stessa provengo da una famiglia contadina, originaria del Monferrato. Attraverso la narrazione desideravo soprattutto capire da dove vengo.
- Eccoci a "Tutta questa vita", un romanzo dei giorni nostri che ha per protagonista una ragazza di sedici anni, Paoletta. Come la definiresti?
Inquieta, ironica, piena di energia. Come è tipico di quella difficile e meravigliosa età della vita.
- Paoletta è una ragazza a suo modo ”speciale”, sicuramente onesta e sincera. Lo è nei confronti di se stessa perché non si risparmia critiche, nei confronti dei compagni che le giocano un feroce scherzo su Facebook, nei confronti della famiglia, molto ricca ma che si rivela non particolarmente onesta. Una sedicenne modello non per essere la prima della classe ma per l’atteggiamento interiore. Com’è nato un personaggio simile, non così consueto tra i giovani d’oggi?
E’ un’adolescente che riflette su se stessa e cerca il proprio posto nel mondo. Come mi pare facciano, anche se con diversa consapevolezza, tutti i ragazzi e le ragazze. Il problema è che questo Paese, che ha veramente poco da offrire ai giovani, tende a rinchiuderli dentro un’immagine poco rispettosa. Un’intera generazione etichettata, e con etichette poco felici: bamboccioni, choosy… Li si dipinge come esseri superficiali, incapaci di pensare a qualcosa di diverso dall’ultimo modello di cellulare. Ma si tratta solo di vuoti stereotipi. E’ un meccanismo denigratorio che spesso si mette in atto contro le minoranze, quali i giovani effettivamente sono. Semplificazioni di una società decrepita che non cerca il dialogo e il confronto, ma difende ad oltranza le proprie rendite di posizione.
- Richi, il fratello della protagonista, è portatore di handicap fisico, ma nel romanzo lo fai apparire "diversamente abile " proprio perché dotato di tante qualità. Un tema difficile da trattare…
Desideravo da tempo affrontare narrativamente la diversità, ma le storie precedenti non me ne avevano dato occasione. In “Tutta questa vita” la diversità compare nella sua forma più crudele: un bambino gravemente disabile. Una condizione oggettivamente dura, con momenti di grande sofferenza. Comprensibile, sotto certi aspetti, che si tenda a volgere lo sguardo dall’altra parte. Ma è una fuga che non ci salva, perché la diversità – anche nella forma della disabilità - è parte della vita. Si pensi solo alla progressiva perdita di energie e capacità che chiamiamo “invecchiamento”. E poi, non lo si dice apertamente, pare brutto dirlo, mette a disagio: ma i più sanno che la disabilità è una condizione che ti può cadere addosso in qualsiasi momento. E che la vita non finisce, con la disabilità. Ecco, mi interessava raccontare questo essere “parte” della vita. Lo sguardo di Paoletta mi è sembrato la strada giusta: quando guarda Richi, lei non nasconde le difficoltà, ma in lui non vede un “disabile”: vede suo fratello.
- Le protagoniste dei tuoi romanzi sono quasi tutte donne e figure femminili “non comuni” ovvero con doti e qualità che le rendono indimenticabili ai lettori. Ogni protagonista lascia in chi lo ha creato un segno. A te cosa è rimasto di Paoletta?
Le ho voluto molto bene, durante la stesura. E’ una forma di affetto che ho un po’ per tutti i miei personaggi.
- “Tutta questa vita” non è solo un libro sull’adolescenza, è molto di più perché affronta tematiche sociali e ambientali. Difficile fondere tutti questi argomenti. Come sei giunta a tutto ciò?
Credo sia un libro che parla del nostro presente, con i problemi che tutti avvertiamo ogni giorno: gli scandali legati all’ambiente, un certo capitalismo di rapina che ci strangola, l’integrazione degli stranieri (penso soprattutto al personaggio di Nina, la governante rumena), le disuguaglianze sociali fortissime, che la crisi ha accentuato. Paola è uno sguardo fresco e curioso su questo complicato presente. Lo sguardo di chi ha tutta la vita davanti, per cambiare le cose e superare le difficoltà.
- Un sogno nel cassetto per il futuro?
Continuare a scrivere. Buoni libri, possibilmente.
- Auguri ma... qualche anticipazione sugli argomenti che desidereresti affrontare?
I rapporti famigliari continuano ad esercitare su di me una grande attrattiva e credo che ci lavorerò ancora un po’ sopra, con altre narrazioni. Non è un’opinione molto originale, ma sono abbastanza convinta che molti dei problemi che abbiamo nascano in seno alla famiglia.
Grazie ancora e, da concittadina che si è permessa di darti del "tu", complimenti Raffaella! Alla prossima pubblicazione!
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Intervista a Raffaella Romagnolo, in libreria con "Tutta questa vita"
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