Salvatore Basile, scrittore, sceneggiatore e regista, è autore di fiction di successo. Dal 2005 insegna scrittura per la fiction e il cinema presso l’Alta Scuola in Media Comunicazione e Spettacolo dell’Università Cattolica di Milano.
Nei suoi romanzi Lo strano viaggio di un oggetto smarrito (Garzanti, 2017) e La leggenda del ragazzo che credeva nel mare (Garzanti, 2019) si possono rintracciare storie di ampio respiro, contraddistinte da una profonda verità di intenti e una poliedricità di emozioni, le stesse che possiamo scorgere e cogliere con trasporto nelle storie da lui scritte in qualità di sceneggiatore per il piccolo schermo.
Attualmente è impegnato nella stesura del suo terzo romanzo che uscirà sempre per Garzanti a inizio del prossimo anno.
- Sceneggiatura e Scrittura: quale mondo ti appartiene maggiormente? Quale ambito senti più vicino a te ed è in grado di infonderti più stimoli e darti risposte?
La sceneggiatura è scrittura, così come il romanzo, il racconto, la poesia, la musica, la fotografia, la danza, la pittura. Le tecniche sono diverse, così come l’approdo finale. Sceneggiare è un lavoro di gruppo che tiene conto di mille variabili, compreso il budget a disposizione per realizzare un film o una serie. Poi, il lavoro del regista, degli attori e di tutti i componenti della produzione, della troupe, del broadcaster conducono al prodotto finale, che viene "vissuto" dagli spettatori sullo schermo (qualunque esso sia). A quel punto, ciò che hai immaginato scrivendo è stato filtrato attraverso le sensibilità dei compagni di viaggio, le inquadrature, i movimenti di macchina, l’interpretazione degli attori. In sintesi: partorisci una creatura che poi viene affidata ad altre persone che la guideranno fino alla "laurea". Il patrimonio genetico è tuo, ma è l’ambiente che l’ha plasmato. Puoi riconoscerlo e sentirlo tuo, ma anche avere qualche sorpresa, bella o brutta che sia. Scrivere romanzi, invece, è un percorso in solitaria, spesso doloroso perché, inevitabilmente, ti porta a confrontarti con te stesso e con una marea di irrisolti che ti eri ostinato a ignorare. Oltre a questo, mentre il percorso di una sceneggiatura è stabilito in partenza, dalla prima all’ultima scena (salvo variabili improvvise che arricchiscono alcune scene e i dialoghi che contengono, ma non cambiano il percorso stabilito) la strada del romanzo (solo per quanto mi riguarda, non è una regola generale) si costruisce sulla pagina, giorno dopo giorno, quasi come se la scrittura stessa ti suggerisse dove andare e come, anche a costo di sbaragliare i piani che avevi in mente fino a un momento prima. Non so dirti quale ambito sia in grado di stimolarmi di più: gli stimoli sono sempre urgenti, anzi impellenti. Altrimenti meglio stare a riposo e fare altro.
- La Vita come un "teatro": da quale prospettiva, angolazione o percezione interiore ti senti di valutarla? La rappresentazione della realtà circostante e dell’animo umano proviene dal palco, dalla platea o dal loggione?
A mio avviso, la risposta è: dal palco, dalla platea e dal loggione contemporaneamente. Quando scrivi sei idealmente sul palco, è ovvio. Ma la visuale dalla platea e dal loggione dev’essere sempre presente, altrimenti perdi il contatto col racconto e con i suoi effetti. Si scrive e, allo stesso tempo, si è lettori di ciò che scrivi, perché bisogna sempre porsi la domanda fatale: ma sto scrivendo qualcosa di interessante? Qualcosa di urgente? Qualcosa che rappresenti almeno un piccolo mistero della vita di tutti noi? Me ne vado per una tangente non prevista e ti dico che, per quanto mi riguarda, il racconto è una grande menzogna, in quanto invenzione. Ma è una menzogna che va sostenuta da momenti di grande sincerità. Personalmente non credo alla verità: è un concetto astratto, soggettivo. Ma credo alla sincerità, soprattutto per chi si prende la briga di raccontare la finzione, senza avere la presunzione di rivelare una verità.
- Percezioni sensoriali affidate al testo: credi nel potere di almeno uno dei cinque sensi nell’atto dello scrivere? Per esempio, l’udito può avere una valenza per te, l’ascoltare può influire sulla stesura di un tuo progetto letterario/artistico? E se sì, ti sei mai avvalso della musica come sottofondo o di "voci", suoni, rumori provenienti dalla Natura, dal paesaggio circostante? E per quanto riguarda il tatto, il toccare i tasti di un PC o l’impugnare una penna, ha mai saputo lasciarti o trasferirti sensazioni particolari? E infine, la vista, l’osservare, quanto può influire sulla stesura di una tua storia?
Credo nel potere di tutti i cinque sensi, contemporaneamente, quando si scrive ma anche... mentre si vive. Anche perché se non usi i 5 sensi mentre vivi, poi cosa scrivi? Credo che scrivere, anzi raccontare, sia soprattutto evocare. Tutto ciò che sei, che hai vissuto, provato, ascoltato, assaggiato, annusato, visto, toccato, ti piomba sulla pagina nel momento in cui arranchi per riempirla. E così ogni racconto credo non sia altro che una serie di ricordi che diventano futuro, evocazioni che tracciano la strada sconosciuta che percorrerai, dalla prima all’ultima pagina. Comunque, ascolto sempre musica in sottofondo, quando scrivo: mi aiuta tantissimo a lasciarmi andare e, allo stesso tempo, a concentrarmi.
- Potere dell’immagine e potere della parola: quale ritieni sia più immediato e particolarmente efficace fra i due? Che valenza hanno entrambi per te?
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Domanda bellissima. E altrettanto difficile. Non a caso, i primi racconti di cui siamo a conoscenza, erano disegni sulle pareti delle caverne. Credo che l’immagine sia parola e viceversa. Quando ammiro un quadro o una fotografia, è la parola che accorre in mio aiuto per decodificare le emozioni che ho provato. Così come ogni parola evoca un’immagine, un ricordo, una speranza, un sogno, un dolore. Se leggo la parola "mare", non posso non immaginare immediatamente almeno qualcuno dei mari che ho visto. E se lo guardo, il mare, non posso frenare le emozioni che mi provoca e che... non sono altro che parole, anche se non pronunciate. Se proiettiamo tutto alla differenza tra un filmato e una pagina scritta, il risultato non cambia. Non esiste nulla che non sia racconto.
- Autore/Scrittore e personaggio/i: chi per primo "cerca" l’altro? Sei tu ad ascoltare lui/loro, o viceversa? Chi è a compiere il primo passo per instaurare un intimo e silenzioso "dialogo"?
Può accadere di tutto. A volte mi viene incontro un personaggio, col suo vissuto, con le sue paure, le sue ferite, i difetti, i pregi... e da quel personaggio nasce una storia. Altre volte mi vengono in mente dei plot, delle trame, delle situazioni e allora vado alla ricerca dei personaggi a cui il racconto può calzare meglio. Ma poi, in fin dei conti, è il personaggio il centro di tutto, il fulcro del racconto, per quanto mi riguarda. È il personaggio a rompere il ghiaccio e presentarsi all’improvviso. E tu devi essere pronto ad ascoltare, poi a suggerire, poi a ipotizzare. Ma per una strana regola del racconto, se l’invenzione non corrisponde alla coerenza del personaggio, tutto crolla. Comunque, dal momento in cui il personaggio bussa alla tua porta, inizia un rapporto stretto, fatto davvero di domande e risposte. Spesso sono io a domandare, altrettanto spesso è lui a "richiamarmi" quando mi perdo e/o non riesco più a trovarlo.
- Quanto possiamo trovare del Salvatore "bambino" in un tuo testo? E quanto possiamo scoprire e rintracciare di quello adulto?
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Sicuramente più di quanto io stesso immagini o ne sia consapevole. Quando mi sono lanciato nella scrittura de "Lo strano viaggio di un oggetto smarrito", a metà stesura mi sono accorto che il personaggio di Elena, in realtà, ero io, o meglio, una parte di me, del mio vissuto, che avevo bisogno di raccontare. Non l’avrei mai fatto raccontando di me direttamente e in prima persona, se non all’interno di un discorso confidenziale con una persona cara. Invece, nascondendomi dietro Elena e affidando a lei un periodo doloroso della mia vita, sono riuscito a esprimerlo con una lucidità che altrimenti non avrei mai avuto. In sintesi, se il racconto, come dicevo, è evocazione, la conseguenza è che mentre scrivi fai venire a galla il tuo vissuto, anche e soprattutto inconsciamente, per il semplice motivo che le autocensure si abbassano senza darci un avviso.
- Nella volontà e nella ricerca di descrivere la realtà circostante, l’esistenza dell’uomo, persiste maggiormente una sensazione interiore di "prosa" o di "poesia"? O entrambe le sensazioni, in modi differenti o in ugual misura?
Ѐ una cosa che varia da persona a persona. E da ambito ad ambito. Nella sceneggiatura si cerca un ritmo preciso, un taglio, uno stile, l’aderenza al genere. Ѐ lo stesso anche nel romanzo, ma in quel caso la parola ha un peso molto più importante. Almeno nelle intenzioni, cerco sempre di trovare una musicalità nella scrittura, una cadenza "danzante". Confesso che vorrei saper scrivere a ritmo di tango (non so spiegarlo meglio). Il risultato è che cerco di pesare ogni parola, la misuro, la coccolo, la ripeto, a volte mi sembra di masticarla prima di usarla. Lo stato di grazia è quando si riesce a scrivere in maniera fluida, quando le parole sembra che ti vengano dettate nella loro cadenza giusta. Non accade sempre. Il resto è... capocciate al muro finché non trovo la quadra di un periodo.
- Hai mai desiderato di poterti calare nei panni di un tuo personaggio letterario/cinematografico? O ti è mai capitato di sognare di essere veramente quel "lui" nella realtà di tutti i giorni? Una sorta di "reincarnazione" immaginaria ma comunque possibile?
Confesso di no. Per quanto il legame sia forte, per quanto a volte affidi brandelli personali a un personaggio o a una storia, i territori restano sempre separati. Io da una parte, loro dall’altra. Ma è comunque un legame inscindibile fino a quando il racconto arriva all’ultima pagina. Dopo c’è un divorzio consenziente: si lascia spazio alla prossima avventura. E il personaggio ti rimane dentro, ma solo come un amore finito che ogni tanto rimpiangi. E credo sia una fortuna, altrimenti si rischierebbe di raccontare sempre lo stesso personaggio.
- Lettura e Scrittura: quale ambito credi abbia maggiore potere sull’essere umano? La parola letta e quella trascritta viaggiano per conto proprio, su due binari differenti, hanno delle loro logiche particolari? E per te cosa rappresenta leggere e scrivere?
Se scrivo, qualunque sia il risultato, è perché leggo, da sempre. Sono due facce della stessa medaglia. Credo che si legga per il desiderio di uscire dall’ultima pagina cambiati in qualcosa, migliorati da un’esperienza vissuta seppure in maniera vicaria. Credo che si legga perché il racconto è insito in noi. Quando ci addormentiamo, sogniamo. Anche se poi al risveglio non ricordiamo nulla. E cos’è il sogno se non un racconto che, tramite simboli e associazioni di idee, rappresenta noi stessi? Siamo fatti anche di racconto, ne abbiamo bisogno per vivere meglio, anche se non leggiamo, perché poi alla mancanza di lettura sopperiscono i film, le canzoni, i resoconti della giornata quando torniamo a casa o incontriamo un amico. Mentre ci vestiamo al mattino, non facciamo altro che raccontarci agli altri. In solitudine, raccontiamo con i pensieri e i ricordi. Lo stesso, credo, è per la scrittura: è un bisogno naturale. Oltre a ciò, sono convinto che lettura e scrittura siano il più grande atto di ribellione nei confronti della vita, il tentativo di cercare nelle parole l’idea di un mondo nel quale riconoscersi, l’illusione (almeno quella) di vederlo cambiare come vorremmo.
- Hai già all’attivo progetti, alcune idee o tracce per futuri romanzi e/o trasposizioni filmiche?
Sì. Risposta semplicissima. Sto scrivendo il terzo romanzo (con lentezza estrema ma evidentemente questa è la sua modalità naturale), che vedrà la luce nei prossimi mesi, tempo fa ho terminato la sceneggiatura di un tv-movie natalizio per RaiUno, e ci sono due serie TV in corso di sceneggiatura, oltre a qualche altro progetto da mettere a punto. Come dico spesso: finché "la capa" e il cuore reggono...
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Intervista a Salvatore Basile: “La sceneggiatura è scrittura, così come il romanzo, il racconto, la poesia”
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