Simona Teodori nata a Roma il 5 ottobre 1975, si è laureata in Giurisprudenza nel 2001 all’Università “La Sapienza” di Roma ed esercita attualmente la professione forense nella Capitale. Appassionata di storia, innamorata dell’Irlanda e iscritta all’ANPI (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia) dal 2010, ha preso parte al libro 99 Rimostranze a Dio (Ottolibri Edizioni).
Oggi esce per la collana Fuori collana-Externa di Edizioni della Sera Voci partigiane, intenso esordio narrativo dell’autrice. In questo libro l’autrice rievoca le “Storie all’ombra della Linea Gotica”, come recita il sottotitolo del libro, di quei ragazzi di allora che scelsero il sentiero che saliva su per la montagna per liberare il Paese dall’esercito nazista padrone del territorio di là da quella divisione che si snodava lungo i crinali dell’Appennino tagliando in due l’Italia.
“Giovani montanari di poche parole e di molta decisione”.
Ragazzi “che già hanno patito in divisa su altri fronti” come Alberto soprannominato Figaro, che alla fine del settembre 1943 lasciò casa sua prima dell’alba “infilai due stracci in un sacco di tela e mi chiusi la porta alle spalle”. All’ultima salita Figaro aveva incontrato Enrico, figlio del medico condotto, “Comandante abbiamo nuove leve!”. L’alba rosa “col sole accucciato ad oriente” che Figaro avrebbe ammirato il giorno dopo il suo arrivo, sarebbe stata la prima di tante che l’avrebbero visto combattere, in attesa di quell’alba di un giorno nuovo che avrebbe visto il Paese liberato dall’invasore.
Quattro racconti, pagine che catturano, coinvolgenti, nelle quali “una ragazza di oggi ridà vita ai racconti dei nonni con poetica drammaticità” come scrive nella Prefazione del volume Teresa Vergalli, staffetta partigiana. Anni duri ma esaltanti, in cui era inevitabile scegliere e parteggiare in un periodo storico nel quale indietro non si poteva tornare.
“Tra luci e ombre un’eco di speranza risuonava sull’Appennino. Scontri feroci offendevano i boschi mentre si attendeva il sorgere della prima alba di pace”.
- Simona, ha dedicato il libro “A Otello, a Italo e Alberto per la straordinaria eredità che avete lasciato. A Francesca e Riccardo, perché sappiano farne tesoro”. I giovani del Terzo Millennio conoscono la lotta per riconquistare la libertà che combatterono i loro bisnonni e le ragioni per mantenere vivo il ricordo di quello che accadde durante la II Guerra Mondiale?
Innanzitutto Alessandra, desidero ringraziarti per avermi dato la possibilità di parlare del mio libro perché pur prescindendo dall’effetto che farà sui lettori, è per me un figlio inatteso e straordinariamente desiderato. Ho cominciato a scriverlo perché sentivo il forte impulso di seminare quanto era germogliato dentro di me e dalla dedica, che richiama persone a me care che non ci son più insieme ai miei figli che crescono giorno dopo giorno sotto i miei occhi, spero sia già possibile intuire il mio scopo. Quando ero bambina sono cresciuta insieme ai miei due nonni, Otello e Italo. Avevo con loro un rapporto fortissimo e caleidoscopico, fatto di parole, di racconti, di tenerezza. Ricordo che in estate, quando eravamo in campagna, lasciavo spesso i giochi in giardino per sedermi accanto a loro sotto il Nocciolo: lì si apriva ai miei occhi il mondo straordinario dei loro ricordi, della loro giovinezza, della loro infanzia. Io ho avuto la fortuna di ascoltare. I ragazzi di oggi, i bambini di oggi, questa fortuna non l’hanno più per ragioni anagrafiche.
Mia figlia Francesca e mio figlio Riccardo non potranno immaginare a occhi aperti quello che io vedevo, come in un film, attraverso parole di chi quei giorni li visse sul serio: partite di pallone nei cortili di Trastevere, vendemmie sui colli dei Castelli Romani e poi ancora l’avvento del Regime, la confusione, la paura, la guerra, le scelte da fare a ogni costo. Ero piccola ma comprendevo benissimo. Otello raccontava di quando suo padre, socialista, gli vietò di andare alle adunate del sabato con la divisa dei Balilla, di quando partì per il fronte jugoslavo. Italo, era un narratore altrettanto affascinante quando parlava della sua guerra in Grecia e di quando lasciò la campagna per trovare una natura più aspra che precipitava giù nel mare da rocce chiare. Io quelle parole riesco ancora a sentirle adesso, così come sento il tono della loro voce abbassarsi nel dire “… e dopo ci fu l’8 settembre”, quindi il dovere di fare una scelta forte e di parte, di non restare indifferenti, di non poter restare in un angolo a guardare: “A fare quello che ci dicevano di fare”. In un certo senso è questo che mi ha spinto a scrivere. Nei miei racconti, che sono di fantasia seppure ispirati a persone realmente esistite, c’è questo. Il bisogno di passare un testimone, ossia la memoria. La memoria di quel che è stato, secondo me, è la radice di un futuro più chiaro e consapevole, di scelte coraggiose, in ogni caso, di scelte. Ciò che accadde durante il Secondo Conflitto Mondiale non può e non deve rimanere nell’immaginario collettivo dei giovani come un insieme di date e fatti: dietro ogni evento, ogni data, ogni battaglia e sconfitta esistevano le storie dei singoli. Uomini, donne e bambini vivevano sotto la pelle le decisioni dei Capi di Stato di allora e come avrebbe detto mio nonno “all’inizio si rimase un po’ a guardare, poi si disse basta”. Anche la foto di copertina riporta la mia storia. Tra le pagine dei diari e le Poesie di Alberto che posa in basso a sinistra, si vedono i loro volti: in alto a destra Otello, Italo al centro.
- “Con l’otto settembre cambiò tutto e niente: gli uomini si divisero in ribelli e firmaioli”. Possiamo dire che il ’43 fu l’anno della presa di coscienza, del cambiamento, dell’assunzione delle proprie responsabilità di quella generazione che allora aveva vent’anni o poco più?
L’8 settembre sancì l’inizio di una guerra che vide gli italiani mettersi gli uni contro gli altri. La presa di coscienza di quello che stava accadendo dopo l’Armistizio si rese concreta nel giro di un mese, più o meno. Ci furono coloro che seguitarono a restare fedeli al Regime per scelta o per volontà di non scegliere e seguire la massa, e coloro che alzarono la testa per dire che qualcuno che la pensava diversamente c’era e che doveva far sentire anche la sua di voce, dopo tutto il silenzio imposto dalla dittatura; dopo anni in cui gli unici suoni fuori dalla sinfonia fascista erano stati gli echi di guerra. Con questo non voglio e non posso sostenere (perché è anche storicamente documentato) che tutti i Ribelli furono eroi senza macchia e senza paura. Al contrario si verificarono nelle stesse fila partigiane episodi poco chiari. Ci furono giorni in cui alcuni elementi delle bande armate si sentirono invincibili, alla ricerca della giustizia a ogni costo e questo fu di grande sconforto per coloro - tra i Partigiani - che, invece, credevano di fare una guerra in nome di una giustizia perduta, pura.
- “Il bosco ci aveva inghiottiti nelle lingue scure della vegetazione, silenzioso, quasi materno”. Per la stesura del romanzo hai visitato quei luoghi che possiedono un’atmosfera quasi fiabesca?
Ho visitato l’Appennino Tosco Emiliano solo una volta, molto prima di scrivere questi racconti e desidero tornare, perché la montagna è la mia grande passione. Eppure devo ammettere che in tutte le mie letture l’Appennino l’ho amato, respirato, visto e vissuto. Francesco Guccini, il mio Poeta, con ognuno dei suoi libri e molte delle sue canzoni mi ha fatto conoscere e amare l’Appennino più di quanto non sia possibile immaginare. Poi ovviamente, ho usato la fantasia e il cuore.
- “Sono quattro racconti apparentemente separati e che invece si intrecciano, si danno la mano”. Ci descrivi brevemente il personaggio di Lisetta?
Devo confessare una cosa. Io sono innamorata di Lisetta e di Giovanna, la protagonista dell’ultimo racconto. Sono due donne straordinarie nelle loro differenze. Lisetta dal canto suo è la forza, la voglia di riscatto. Una ragazza povera che non si arrende alla miseria che le offre la vita tra i monti e che pur lavorando come le sue coetanee e i suoi fratelli, impara a leggere e a elevarsi. Per questo ho voluto che il destino con lei fosse gentile. Lisetta è fuoco sotto la cenere, un fuoco che non muore e che verrà premiato dalla vita stessa, che getterà su quella brace sepolta stecchi buoni a fare la fiamma e il fuoco divamperà. Lisetta sta per diventare madre ma rimane una staffetta fino al momento in cui dà alla luce la sua creatura: in lei c’è coraggio e coerenza oltre all’amor di giustizia e alla scelta di avere un ruolo preciso. Ho voluto portare in Lisetta – con grande umiltà perché il paragone è davvero considerevole – alcune lievi sfumature dell’Agnese di Renata Viganò: Agnese così imponente, integra e forte quasi maschile, anzi più forte dei maschi. Le donne con la Resistenza uscirono dal buio per ricoprire ruoli di grande importanza strategica e quando, dopo la guerra, dovettero tornare nel buio del focolare domestico, le cose erano già cambiate perché loro, le donne, le avevano cambiate e nulla sarebbe più stato come prima.
- La bibliografia del testo è ricca di fonti. Tra tutti i libri dedicati alla lotta partigiana, qual è il Suo preferito?
Ho letto e amato tutti i libri della mia bibliografia, alcuni certamente di più. Senza considerare Storie di una staffetta partigiana di Teresa Vergalli, che mi ha onorata della sua prefazione, posso richiamare quelli che ho letto più di una volta, anche per prepararmi alla scrittura come l’Agnese va a morire di Renata Viganò o Diari Partigiani di Anna Gobetti, il Partigiano Johnny e La Malora di Fenoglio o Libere Sempre di Marisa Ombra, Tango e gli Altri, storia di una raffica anzi tre di Guccini e Machiavelli. Sarei ipocrita, però se affermassi che gli altri hanno rivestito un ruolo di mero corollario.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Intervista a Simona Teodori, da oggi in libreria con “Voci partigiane”
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