Aldo Cazzullo (Alba 17 settembre 1966) è un giornalista e scrittore, editorialista del Corriere della Sera. Ha debuttato come giornalista nel 1988 per La Stampa, dove ha continuato a lavorare fino al 2003, anno in cui ha iniziato la collaborazione con Il Corriere della Sera. Si è occupato di politica italiana ma anche internazionale, seguendo come inviato le elezioni di Bush, Obama, Erdogan, Zapatero e Sarkozy, le Olimpiadi di Atene e Pechino e i Mondiali di calcio in Giappone e Germania.
È autore di numerosi saggi, dai primi Il mal francese. Rivolta sociale e istituzioni nella Francia di Chirac (Ediesse, 1996) e I ragazzi di Via Po (Mondadori, 1997) ai recenti successi de I grandi vecchi (premio Estense 2006) L’Italia de noantri. Come siamo diventati tutti meridionali (Mondadori 2009) e Viva l’Italia (Mondadori, 2010). Da Viva l’Italia è stato tratto uno spettacolo teatrale che ha avuto repliche e rappresentazioni in tutte le maggiori città italiane. Per lo stesso libro Cazzullo è stato insignito del Premio Nazionale ANPI Renato Benedetto Fabrizi (2011). Nel 2011 è uscito il suo primo romanzo La mia anima è ovunque tu sia (Mondadori, ora tradotto in Germania).
Da pochi giorni è in libreria il saggio Basta piangere! Storie di un’Italia che non si lamentava (Mondadori 2013). “Basta piangere!” esortava la madre di Cazzullo quando vedeva il proprio figlio lamentarsi o piagnucolare. Partendo da questo ricordo personale, l’inviato e editorialista del Corsera racconta ai giovani di oggi che protestano perché è stato rubato loro il futuro, quella generazione nata negli anni Sessanta (alla quale egli stesso appartiene) che al futuro ci credeva. Un saggio che a tratti assume la dimensione di un romanzo tra autobiografia e narrazione storica di “un’Italia che non si lamentava”. Un ex bambino che andava a letto dopo Carosello e giocava con le biglie ora diventato un adulto fiducioso desidera ricordarci che il passato non è mai da rimpiangere, giacché “non ho nessuna nostalgia del tempo perduto. Non era meglio allora. È meglio adesso. L’Italia in cui siamo cresciuti era più povera, più inquinata, più violenta, più maschilista di quella di oggi”.
- Dottor Cazzullo, nel saggio rievoca le gesta dei nonni e dei padri, il loro cammino della speranza in un’Italia dilaniata dalla guerra, certamente più povera di oggi o ci sono delle similitudini?
Sì, qualche similitudine c’è nel senso che all’epoca l’Italia combatteva contro la fame e contro la guerra. C’era un paese da ricostruire dal punto di vista materiale e morale. Anche adesso c’è una sfida da vincere, che è quella contro la crisi ma anche contro la sfiducia. Secondo me la situazione era più grave allora e se ce l’abbiamo fatta allora, ce la possiamo fare anche adesso. Il problema è che qua stiamo tutti aspettando che passi la “nuttata” ma la “nuttata” non passa da sola, passa se noi ci diamo da fare. La crisi italiana è anche una crisi di fiducia, la gente che ha i soldi non spende, non consuma, non investe, non rischia e le aziende non assumono, dobbiamo invertire questa tendenza. Io vedo nei giovani una legittima preoccupazione, una legittima rabbia ma anche una tendenza alla lamentela, al piagnisteo. Una tendenza sbagliata e controproducente. Credo sia utile che i ragazzi siano consapevoli delle difficoltà enormi, dei sacrifici inimmaginabili che i nostri padri, i nostri nonni hanno fatto. Sono convinto che questa forza morale non sia andata perduta. Così come riconosco nei miei figli le fattezze dei miei nonni, dei miei bisnonni, sono convinto che anche quella forza da qualche parte ancora c’è. Dobbiamo aiutare i nostri giovani a ritrovarla e a riaccenderla.
- Desidera raccontare ai ragazzi forse un po’ viziati chi erano e che cosa facevano i loro coetanei nati negli anni Sessanta che “hanno assorbito l’energia di un Paese che andava verso il più anziché verso il meno?”
Esatto. Noi non abbiamo visto la fame e la guerra ma sapevamo che c’erano state. Non abbiamo memoria diretta degli anni della ricostruzione e del boom. Io per esempio non mi ricordo lo sbarco sulla Luna, ero troppo piccolo, però abbiamo assorbito l’energia, l’ottimismo e la fiducia nel futuro di quegli anni. Certo, l’Italia era un Paese molto più semplice e molto più povero. Giocavamo per strada, avevamo sempre i gomiti e le ginocchia sbucciati. Sulla spiaggia, il più piccolo veniva seduto sulla sabbia, lo si prendeva per le gambe e si faceva la pista per giocare con le biglie con dentro i nomi dei ciclisti. Ogni generazione aveva i suoi: Bitossi, Merckx, Gimondi, Moser... Abbiamo avuto un’educazione seria. Le scuole erano rigorose, si leggeva Pinocchio, Cuore, Salgari, i classici... Al Nord si aspettavano le sette di sera per vedere Lo scacciapensieri, i cartoni animati della TV Svizzera. Avevamo molto meno cose, però quel poco che avevamo era comunque molto di più di quello che avevano avuto i padri e i nonni, per questo non ci sentivamo sfortunati. Il futuro per noi non era un problema ma un’opportunità.
- Il Suo libro, oltre a ricostruire l’inizio della crisi e il modo in cui se ne può uscire, assume anche il sapore di un amarcord ma senza nostalgia. Ce ne vuole parlare?
Sì, il mio libro inizia proprio così. Non ho nessuna nostalgia del tempo perduto, è meglio adesso. Ora i giovani hanno delle opportunità che noi neanche ci sognavamo: la TV a colori, il PC, i cellulari, Internet, i social network che non sono soltanto cose materiali ma sono delle opportunità. Il mondo intero, almeno potenzialmente, è connesso. I miei figli tornano dalle vacanze in Inghilterra non con foglietti di carta a quadretti con scritti degli indirizzi come facevo io, ora i miei figli sono in contatto via mail con coetanei russi, cinesi, indiani. Non ho nostalgia perché ora si vive meglio però è inevitabile che ricordando un po’ i nostri libri, i nostri dischi, i nostri film, i nostri miti sportivi di allora, ci rendiamo conto che sono cose alle quali siamo legati, che ci portiamo dentro. Ho voluto cercare di raccontare non quello che ho fatto come giornalista ma chi sono, chi siamo noi. La mia generazione ha fatto molta fatica a dire “noi”. Siamo una generazione individualista. Questo libro è un invito ai ragazzi di oggi a non piangere, appunto, a non lamentarsi, a darsi da fare, ma anche un grido di richiamo alla mia generazione.
- “Scendete presto in campo per rinnovare la società e la politica”. È stato questo l’appello di Giorgio Napolitano pronunciato lo scorso anno durante la commemorazione del 20° anniversario della strage di Capaci a Palermo. Il Suo libro lancia lo stesso messaggio, cioè che il futuro delle giovani generazioni dipende solo da loro?
Sono totalmente d’accordo con il Presidente, non basta lamentarsi della politica bisogna farla e cambiarla. Sono preoccupato che tanti giovani pensino che il futuro coincida con il destino. Non è così. Il futuro ce lo facciamo noi. Temo che molti ragazzi pensino di essere nati in un paese sbagliato, io sono convinto che sono nati in un paese straordinario. L’Italia ha dei vizi da estirpare, da denunciare, però possiamo migliorare poco alla volta. Per questo chiudo il libro con la proposta di non dire più “questo Paese” come sento spesso dire ma “il nostro Paese”. Non possiamo pensare che l’Italia sia altro rispetto a noi.
- Gli ultimi dati ISTAT hanno registrato che lo scorso agosto la disoccupazione giovanile ha toccato il suo massimo storico raggiungendo il 40%. Quali sono i provvedimenti più urgenti che dovrebbe adottare il Governo Letta per arginare e invertire il grave fenomeno?
L’Italia in effetti tratta male i suoi figli: ne facciamo pochi, li riempiamo di debiti e forse li viziamo troppo e quindi non li prepariamo ad affrontare gli ostacoli che incontreranno. Inoltre l’Italia offre poche opportunità di lavoro, di farsi una casa e di farsi una famiglia. Occorre invertire questa tendenza facendo una politica di sviluppo. La priorità non deve essere né tagliare né tassare, la priorità deve essere la ricrescita. Se non riparte il PIL qualsiasi parametro calcolato sul PIL tenderà sempre a peggiorare.
- Ha seguito per Il Corriere della Sera Matteo Renzi. Per quale motivo il Sindaco di Firenze riscuote consensi sia a destra sia a sinistra?
Perché è un sindaco quindi è eletto dal popolo, perché è il primo cittadino di una città nella quale tutti ci possiamo riconoscere: una città che ci ha dato una lingua, una cultura. Poi Renzi ha usato contro la casta lo stesso linguaggio, gli stessi argomenti della gente comune. Se diventerà segretario di partito, il ruolo più politico che ci sia, bisognerà vedere se continuerà ad avere questa capacità di attrazione anche nei confronti degli elettori del centro – destra che ha avuto finora. Posso dire che non ho mai visto in un uomo politico italiano l’energia che vedo in Matteo Renzi. Siccome la crisi italiana, come dicevamo, è anche una crisi di fiducia, l’idea che un leader sia in grado di ripristinare, come serve ai giovani, un po’ di fiducia in noi stessi, nel nostro Paese mi sembra una buona notizia. Spero che emerga presto anche un Matteo Renzi nel centro – destra.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Intervista ad Aldo Cazzullo: Basta piangere! Storie di un’Italia che non si lamentava
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