Dopo la laurea, il dottorato, l’assegno di ricerca (un breve periodo di attività come giornalista sportiva free lance, diverse pubblicazioni scientifiche e numerose comparsate al cinema), Alice Di Stefano ha insegnato letteratura contemporanea all’università. Conquistata poi dal mondo dell’editoria e soprattutto dall’editore, ha iniziato a lavorare alla casa editrice Fazi, della quale è editor dal 2008, creando dopo quattro anni Le Meraviglie, uno spazio tutto suo dedicato espressamente alla narrativa umoristica, a guide insolite e curiose e a tutto ciò che più le piace.
Lo scorso ottobre Alice Di Stefano ha pubblicato, nella collana Le strade, Publisher (Fazi 2013), un viaggio sincero nel mondo dell’editoria colta in un momento unico quell’Età dell’oro, come recita il sottotitolo del volume, che ora forse è scomparsa per sempre.
Chi è l’editore intraprendente e coraggioso “nato a Quintodecimo – comune di Acquasanta – una mattina di neve e cielo terso di un 6 di gennaio” con “il piglio da principe della montagna” che la brava e arguta autrice descrive con ironia e simpatia?
“Ringrazio Elido, materia prima del romanzo (senza il quale questo libro non potrebbe esistere), per essersi fatto dipingere a volte meglio a volte peggio di quello che è, dandomi modo di realizzare un ritratto davvero a tutto tondo e sperimentare la prima (credo) biografia comica romanzata (e autorizzata) o (auto)biofiction umoristica che dir si voglia... ”.
- Alice, ha definito il Suo primo romanzo, un’autofiction... cosa intende?
Forse si tratta più di quella che chiamano bio fiction, una narrazione di tipo romanzesco che usa elementi tratti dalla vita di una persona per dar corpo a una storia di fantasia, godibile anche al di là del dato puramente biografico. La mia presenza come personaggio tuttavia spinge più verso l’auto fiction. Nel libro, infatti, l’ochetta sprovveduta che dà vita alla figura di Alice, rimanda alla mia caricatura, plasmata com’è sulle mie vicende personali e sul mio carattere, deformati però in direzione umoristica. Allo stesso modo, anche i fatti narrati nel libro, che potrebbero sembrare veri ma spesso sono solo verosimili, accentuano l’equivoco alla base del libro che nasce esplicitamente e dichiaratamente come operazione giocosa. Nella mia testa, infatti, Publisher è una pseudo biografia romanzata che tratta di persone, non poi così note, costruendoci su una storia dai toni brillanti sul modello delle commedie sofisticate degli anni Trenta, con film di coppie sempre ai ferri corti o coinvolte in complicati intrecci amorosi, fino all’obbligato, risolutivo lieto fine. Il taglio ironico, insomma, usato per rendere volutamente buffi i personaggi, autori di “gesta” al massimo comiche, con “il Publisher”, incontrastato protagonista di gag e situazioni spassose.
- Attraverso il racconto della vita di un editore vengono ripercorsi 50 anni di vita italiana. Di questo mezzo secolo quali sono stati gli anni più belli o i più creativi?
La crisi che ci sta travolgendo porta a rimpiangere forse anni più floridi, in cui le possibilità erano maggiori per tutti e soprattutto i giovani. Eppure, se si pensa agli anni ’50, anni duri, di ricostruzione, in cui si viveva con poco ma chi aveva intraprendenza poteva fare un salto socio-economico ora assolutamente impensabile, quasi ci si consola. In quel periodo, infatti, molti italiani hanno dimostrato di saper sfruttare le proprie qualità dando il via a iniziative interessanti fino a fondare, talvolta, imprese di grande successo. Le Marche, in particolare, vantano diversi esempi virtuosi con Della Valle, Paciotti, Guzzini o editori come Bompiani, Del Duca, Mazzocchi (per tacere di molti altri imprenditori, artisti e uomini di cultura) che, in qualche caso, hanno realizzato veri e propri imperi partendo dal nulla. In Publisher, date le origini marchigiane del protagonista, questo fenomeno è stato riattraversato con grande attenzione proprio a sondare le ragioni di una tale fioritura, circoscrivibile a una determinata regione d’Italia. Nel campo dell’editoria, invece, sono stati decisivi gli anni Novanta con la creazione di nuove case editrici che, proprio in quel decennio, hanno trovato lo spazio per svilupparsi con relativa facilità: un momento d’oro per le giovani realtà indipendenti (molte ormai consolidate) che, allo stesso modo, mi è piaciuto ripercorrere nel libro attraverso la storia un marchio in particolare.
- Siamo davvero precipitati dall’Età dell’Oro all’Età di Piombo, come Lei stessa la definisce? Se ne può uscire e come?
È un momento difficile, sono anni bui. Tuttavia, il fatto che un impoverimento culturale e soprattutto morale si stia consumando in parallelo a una crisi economica senza precedenti, potrebbe costituire paradossalmente una speranza per tutti: del resto, come si dice, dal fondo non si può che risalire, ripartendo magari da presupposti completamente diversi e prendendo spunto da esempi virtuosi anche appartenenti a un passato meno prossimo. Da qui, deriva qualche scherzoso ragionamento filosofico all’interno del libro in cui spiccano le balzane teorie della “dea dell’amore”, a proposito, in particolare della vita di coppia.
- Chi credeva leggendo Publisher di trovare solo materiale per gossip sull’universo editoriale è rimasto deluso, non trova?
Sì, perché Publisher non è un libro di gossip. È semmai un libro sull’incontro di due mondi, su un uomo e una donna, sulle eterne differenze tra città e campagna, sullo sfondo di una parabola personale con la vicenda di un uomo che, partito da un paesino di provincia, si costruisce una vita e una carriera, conoscendo i personaggi più diversi, viaggiando in lungo e in largo, fondando nuove società, guadagnando, grazie anche a un’incredibile disinvoltura, abilità, tenacia e a una buona dose di innata fortuna. Di quest’uomo, nel libro, sono passati in rassegna i luoghi, gli amici, gli usi e i costumi, pretesto spesso per divagazioni di altro tipo e proprio a raffigurare un esempio positivo che si manifesta tuttavia in un personaggio energico non sempre affabile. Publisher, infine, è anche, e più semplicemente, una storia d’amore che, costituendo la trama principale del racconto, si sviluppa di capitolo in capitolo con i suoi tempi, le sue crisi e le sue teorizzazioni (più o meno valide, più o meno applicabili) fino al matrimonio con cui termina tutta la narrazione, appena un attimo prima della coda, più prosaica, alla maniera di Manzoni (chi ricorda il finalissimo dei Promessi sposi?).
- Secondo una recente indagine pubblicata dalla Commissione europea basata su 26 mila interviste condotte fra i 27 Paesi dell’Unione, gli italiani che non nutrono nessun interesse culturale in sei anni sono passati dal 40% al 49%. Inoltre solo il 56% ha letto almeno un libro in un anno. Chi lavora nel mondo dell’editoria si sente un po’ in trincea?
La situazione da questo punto di vista è peggiorata, anche se in Italia l’interesse per la lettura è sempre stato limitato. I lettori cosiddetti forti sono sempre stati una piccola percentuale e il fatto che oggi ci siano più distrazioni, date magari dai social network o dalle mille fonti dell’informazione (che si sono moltiplicate negli ultimi anni, con materiale anche di grande di qualità offerto gratuitamente on line), non favorisce certo la ripresa di un settore già in crisi. L’editoria si è sempre confrontata con il problema della scarsità dei lettori. Adesso, semmai, il problema più grande è che la produzione editoriale si è necessariamente spostata in direzione popolare, sia come contenuti sia come prezzi, a discapito forse della qualità (che, tuttavia, nel suo ambito, è più curata che mai per lo zoccolo duro dei suoi affezionatissimi lettori).
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Intervista ad Alice Di Stefano, in libreria con “Publisher. L’età dell’oro”
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