Andrea Carraro è nato a Roma nel 1959. Ha pubblicato Il branco (Theoria), diventato un film di Marco Risi, L’erba cattiva (Giunti,1996), La ragione del più forte (1999), Non c’è più tempo (Rizzoli, 2002, Premio Mondello), Tutti i racconti (Melville, 2016), Sacrificio (Castelvecchi, 2017).
Ha lavorato per diciassette anni in banca e si è licenziato nel 2007, subito dopo l’uscita de Il sorcio (riveduto e corretto per Elliot edizioni, 2020).
- Dopo dodici anni e con una nuova casa editrice, torna in libreria il suo fortunato romanzo Il sorcio. Cosa ha cambiato?
Ho potenziato il finale, ho lavorato sulla psicologia del protagonista, ho aggiunto il tema della rivalità con il padre, il rapporto con la sua figura, anche dopo la morte, e poi le beghe familiari… In tutto ho aggiunto forse un centinaio di pagine, poi ho lavorato molto sulla lingua: ho creato due voci contrapposte anche graficamente, con spostamento dei punti di vista, fra la prima, in corsivo, lirica, quella delle sedute di analisi, e la terza persona che spiega e racconta… un giochetto che spero si capisca non è solo virtuosistico… Insomma, ho lavorato su diversi fronti.
- Il protagonista Nicolò Consorti, lavora in banca, con molta sofferenza, anche se la sua passione è la scrittura e ha già scritto qualche romanzo negli spazi di tempo. Odia lavorare negli spazi angusti che lo avvicinano agli altri colleghi, soprattutto al collega Eraldo Martelli, il sorcio, che Nicolò trova ripugnante sempre. Non solo quando scientemente fa qualcosa di laido al suo collega Consorti. In realtà lui detesta il mondo bancario in sé. Dove trova la forza "morale" per odiare quel mondo, con una volontà imperitura e una crudeltà inusitata e costante?
È la sua frustrazione morale che alimenta quell’odio.
Il sorcio
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- Nel vecchio e nuovo Millennio lavorare in banca attirava e attira molti giovani, che si salvano dalla disoccupazione o da contratti di lavoro brevi e umilianti. Le è capitato che qualcuno le scrivesse che Consorti è in realtà un uomo fortunato, mentre lei sembra apprezzare il suo protagonista solo per i romanzi pubblicati e il suo egocentrismo fuori misura?
Non volevo fare un personaggio virtuoso, il suo punto di vista è profondamente viziato da questioni personali, direi che mi aspettavo l’obiezione… Sì, qualcuno me l’ha fatta, mi rendo conto della sua antipatia, delle sue contraddizioni.
- Lei, Carraro, sembra avere una sua personale avversione per il politicamente corretto e per le anime "pie" in generale? Vuole finire in inferno allora?
Bravo, è arrivato al punto, ecco la risposta implicita alle questioni precedenti. Io credo che letteratura e il politicamente corretto non possono convivere, la letteratura deve indagare proprio in quelle zone vietate al politically correct, deve smascherare, la letteratura, rivelare il non detto, e quindi deve essere un po’ urticante. L’inferno è per gli ipocriti.
- Questo romanzo è bellissimo e crudele, assomiglia al cuore nero di Céline... Alcuni lettori che non sopportano la sofferenza e lo squallore di vite agganciate a un solo lavoro, a una sola famiglia, a un solo compagno o compagna, devono dare come definizione di Nicolò come personaggio fantozziano. Questo aggettivo è presente anche nel testo. Quanto c’è di Fantozzi nel libro, secondo lei?
Grazie per i complimenti (Céline? magari!). Sì il personaggio è un po’ fantozziano: Fantozzi ha creato un mondo, era difficile non rientrarci!
- In un breve saggio, la scrittrice sarda più famosa ripete almeno cinquanta volte la parola patriarcato. È certa che le conquiste delle donne, anche quelle ormai irreversibili, siano ancora legate al potere maschile. Allora mi chiedo: le comitive di maschi negli anni Settanta erano solo decisioni tra uomini. Nacque da lì il decisionismo anche politico. Nel suo libro l’unica donna ad avere autorevolezza era la mamma e poco altro. Tra Nicolò e i suoi amici quanto contavano le donne, aldilà di criteri estetici?
Molto poco. Io racconto tutto dalla parte maschile, da sempre, perfino lo stupro. Non so perché, anzi sì, perché è quello che conosco davvero, di cui ho autorità per parlare; io ho sempre scritto contro il demone del maschilismo, anche nel Branco.
- Nessuno vuole leggere, ma tutti vogliono pubblicare. Un esempio infimo di immortalità? Se la sentirebbe di consigliare a un giovane di qualsiasi sesso le scuole di scrittura creativa?
Perché no? Si è troppo assolutisti in questa faccenda: io penso che uno scrittore non si crea, ma si può scoprire, riconoscere, e molte volte questo “miracolo” succede nei corsi di scrittura creativa.
- I suoi libri hanno sempre venduto bene, un suo scritto è diventato un film di successo diretto da Marco Risi. Ma se uno mette famiglia, ha dei figli, non è meglio aspirare a un lavoro in banca che ora non trovi nemmeno con facilità?
Punti molto su questa questione, può darsi che sia come dici tu, tuttavia non sono stato il primo a raccontare l’alienazione mortale del lavoro in banca. A partire da Pontiggia, La morte in banca… In realtà i miei libri non hanno mai venduto tanto come dici. Il branco è stato un caso letterario, ma avrà venduto 10.000 copie al massimo. Gli altri molto meno.
- Credo che abbia più di uno scrittore che le piace, ma se dovesse nominarne due o tre? O scrittrici?
Non sono aggiornato come un tempo, seguo poco, mi perdo un sacco di premi strega! Sono anche idiosincratico nel gusto. E poi preferisco non fare nomi per non scontentare nessuno, parlano per me le mie recensioni su succedeoggi.it
- Il sarcasmo nel tono di un romanzo è ancora praticabile?
Il sarcasmo è un modo di leggere/guardare il mondo, però non bisogna esagerare. I toni è bene che cambino in un romanzo, per non diventare monocordi.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Intervista ad Andrea Carraro, in libreria con “Il sorcio”
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