La seconda morte di Ramón Mercader dello scrittore, giornalista e militante spagnolo Jorge Semprún arriva per la prima volta in Italia nella traduzione dal francese a cura di Leopoldo Carra per Settecolori edizioni.
Si tratta di una grande riscoperta che permette al pubblico italiano di conoscere il romanzo più completo e sorvegliato di un grande autore del Novecento, Jorge Semprún. Scrittore spagnolo naturalizzato francese, Semprún può definirsi un protagonista di primo piano della Storia novecentesca di cui ha incarnato le ideologie. La seconda morte di Ramón Mercader è un romanzo costruito come un’avvincente spy-story, che tuttavia racchiude interrogativi storici profondi. In queste pagine l’autore si interroga sugli elementi che hanno condotto alla crisi del comunismo e lo fa attraverso un personaggio dostoevskijiano all’ennesima potenza: Ramón Mercader, l’assassino di Troskij. Ne consegue una spericolata spy-story letteraria dagli sviluppi inimmaginabili e imprevedibili che ci restituisce al contempo un affresco della storia del mondo stretto nella morsa della Guerra Fredda.
Il tutto mescolato con una “scrittura più proustiana di Proust”, come la definisce il traduttore Leopoldo Carra con cui abbiamo parlato di questo “capolavoro ritrovato” in occasione della fiera romana della media e piccola editoria Più libri Più liberi 2022.
- Era a conoscenza di questo libro, ancora inedito in Italia, di Jorge Semprún?
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Conoscevo Jorge Semprún, di cui avevo apprezzato in particolare La scrittura o la vita, edito negli anni Novanta da Guanda, un memoir sui campi di concentramento nazisti. Ma non sapevo dell’esistenza di questo libro che per me è stato una sorpresa e, al contempo, da traduttore, una sfida. La casa editrice Settecolori edizioni me lo ha proposto un anno e mezzo fa e mi ci sono subito approcciato con grande interesse. Di Semprún avevo letto con piacere Il grande viaggio, in cui narrava del terribile viaggio sul treno merci che lo aveva trasportato a Buchenwald. Già in quelle pagine formidabili citava Marcel Proust. Lo aveva letto a Parigi poco prima di essere catturato dalla Gestapo e internato. La lettura della Recherche in un certo senso gli servì da astrazione per sopravvivere al momento buio che stava vivendo. E curiosamente Proust ritorna sin dalle prime pagine di questo nuovo libro La seconda morte di Ramón Mercader.
- Ha detto che Semprún ha una scrittura “più proustiana di Proust”, che sembra un’iperbole. Come giustifica questa affermazione?
Basta leggere qualche pagina di Jorge Semprún per capire che è vero. Proprio come Proust, Semprún ama i periodi lunghi, l’aggettivazione sovrabbondante. C’è una grande ricerca letteraria in questo romanzo. Ci sono giochi di parole, riferimenti, una grande varietà stilistica e un ritmo serrato. Riesce ad alternare stili diversi e anche piani temporali diversi creando uno svolgimento imprevedibile. Si ha l’impressione di avere tra le mani un “capolavoro ritrovato”. Proust viene citato anche in questo libro. Uno dei maggiori riferimenti è al quadro La veduta di Delft di Vermeer, che gioca un ruolo fondamentale nella trama.
- Questo riferimento incuriosisce. Qual è il ruolo svolto dal quadro di Vermeer nel romanzo di Semprún?
Non posso dirlo senza rischiare di fare uno spoiler che toglierebbe gusto alla trama. Diciamo che i quadri in questo libro hanno un ruolo di protagonisti delle vicende narrate, diventano dei personaggi fondamentali della storia. A un certo punto del libro una coppia di coniugi, Pierre ed Elise, hanno un’accesa discussione sul rapporto tra Vermeer e Proust. Il quadro La veduta di Delft ritorna in più punti della storia, ne offrirà una chiave di lettura, il lettore poi scoprirà come.
- Come lettore si è da subito appassionato alla storia?
La mia lettura è stata sin dall’inizio in ottica di traduzione, per cui leggevo prendendo appunti mano a mano, segnandomi termini e passaggi da decifrare. Però certo più procedevo nella lettura più lo sviluppo imprevedibile della trama mi appassionava. Credo di non aver mai letto niente del genere. Jorge Semprún è stato davvero un innovatore, capace di mescolare nella sua scrittura anche un’altra arte di cui era maestro: la sceneggiatura. Di tutti i film che ha sceneggiato voglio ricordare in modo particolare Zeta. Loggia del potere con Yves Montand che presenta lo stesso sfasamento di piani temporali presente in queste pagine. Possiamo dire che ha applicato alla narrativa lo stesso stile della sceneggiatura.
- Come è stato invece, da traduttore, approcciarsi a un’opera del genere?
Di certo è stato un lavoro complesso, ma appassionante. È un libro pieno di rimandi, di espressioni che ritornano, l’autore usa spesso l’espediente retorico della variatio. Ho lavorato tenendo da un lato l’ebook per la ricerca terminologica, dall’altra il libro cartaceo. Mi ha colpito in particolare l’uso continuo ed esclusivo dell’imperfetto: non c’è mai passato remoto, la storia è narrata per intero all’imperfetto. Anche lo slittamento continuo dalla prima alla terza persona è singolare. A volte si ha l’impressione di sentir parlare un personaggio e poi si scopre che ci si sbagliava, e che in realtà la voce narrante era un’altra. Da traduttore è stato un appassionante rompicapo.
- Qual è la visione del comunismo che trapela da queste pagine?
Una visione tutto sommato compiaciuta. Jorge Semprún riteneva che il comunismo non avesse in sé il gene del disfacimento. La disfatta, a suo giudizio, era stata colpa degli uomini che lo hanno interpretato. Per lui non c’era qualcosa di sbagliato nell’ideologia di per sé. Io dico sempre che non bisogna giudicare i libri dalle idee che propugnano, ma dal loro valore letterario. Semprún è stato un militante, un protagonista della rivoluzione e non solo.
- Cosa l’ha colpita in particolare dello scrittore Jorge Semprún e cosa, invece, dell’uomo?
Del Semprún scrittore mi ha colpito la capacità di scavare a fondo nella storia del Novecento. Ha trattato la guerra civile spagnola, la Seconda guerra mondiale, lo stalinismo, il tutto attraverso dei singolari fili affettivi che si trasmettono da un personaggio all’altro. Ci dimostra, proprio come Vasilij Grossman, che tutto è passato attraverso la carne, il sangue, la memoria dei personaggi. Il fatto meraviglioso è che di mondi da questo libro ne vengono fuori tantissimi.
Dell’uomo Semprún invece mi ha colpito il coraggio, la coerenza e l’autonomia intellettuale. È stato un rivoluzionario, sempre fedele a sé stesso, un avventuriero, un vero protagonista della Storia.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Intervista al traduttore Leopoldo Carra: “In Italia un Jorge Semprún inedito”
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