Joseph Farrell è Professor Emeritus di Italianistica presso l’University of Strathclyde, a Glasgow, Scozia. Nel 2005 gli è stato conferito il titolo di Cavaliere della Repubblica Italiana per i servizi resi alla promozione della cultura italiana all’estero. È autore di numerosi studi dedicati alla cultura siciliana e alla storia del teatro in Italia, in particolare Dario Fo and Franca Rame: Harlequins of the Revolution (Methuen, 2002) e History of Italian Theatre (Cambridge University Press, 2006). È stato critico teatrale per il quotidiano The Scotsman e scrive articoli e recensioni per The Scottish Review of Books, The Scotsman, The Herald e The Times Literary Supplement. Nel 2012 Giuseppe Tornatore gli ha affidato la traduzione della sceneggiatura della Migliore offerta, uscito in Italia nel 2012. Nel 2013 vince il Premio Flaiano di Italianistica.
Franca Rame. Non è tempo di nostalgia (Della Porta Editore 2013) è un bellissimo dialogo concesso da Franca Rame, scomparsa il 29 maggio 2013, al suo amico. Si tratta di una lunga confessione sulla vita, il lavoro, la famiglia e l’impegno politico di una donna che non ha mai smesso di indignarsi e di combattere.
“... cercai di mettere in atto la mia concezione di femminismo portando i nostri spettacoli nelle fabbriche”.
- Professor Farrell, com’è nata l’idea del libro e dove è avvenuta l’intervista tra Lei e Franca Rame?
Ho incontrato Dario e Franca negli anni Ottanta, credo sia stato il 1984 quando sono venuti a Edimburgo per recitare, Dario portava in scena Mistero Buffo, mentre Franca interpretava alcuni atti unici aventi come argomento la condizione femminile. Conoscevo già il loro teatro, avevo letto molto... la prima intervista a Franca l’avevo fatta negli anni Ottanta per un giornale di Edimburgo e altre gliene ho fatte nel corso degli ultimi decenni. Per quanto riguarda il libro, l’intento era di dare a Franca la possibilità di esprimere le proprie idee, anche se Franca non ha mai vissuto all’ombra di Dario Fo. Volevo offrire a Franca Rame il modo di parlare di se stessa separatamente da Dario Fo per permettere all’attrice di dire come la pensava sul teatro, sulla sua vita, sulla società italiana, nonché ricordare le sue varie attività politiche e sociali come Soccorso Rosso, la sua partecipazione alle grandi campagne per il divorzio, per l’aborto e anche contro la droga. L’idea era quella di dare a Franca l’opportunità di parlare per se stessa di se stessa. L’intervista è avvenuta nel febbraio di quest’anno a Milano presso l’abitazione di Dario Fo e Franca Rame, purtroppo Franca già non stava molto bene.
- Nell’introduzione del volume scrive che Franca “nasce nel cuore della tradizione centrale del teatro italiano”. Desidera chiarire il Suo pensiero?
Ho curato insieme al mio amico, il Professor Paolo Puppa di Cà Foscari, una storia del teatro italiano che è stato pubblicato dall’Università di Cambridge. È una cosa che mi è venuta in mente lavorando su quel volume e l’ho espressa nell’Introduzione di questo libro – intervista. Mi pare che il teatro italiano se da una parte abbia dato un grande apporto per lo sviluppo del teatro europeo occidentale, dall’altra parte, paradossalmente, ha dato relativamente pochi scrittori al canone convenzionale del teatro europeo. Penso che questo sia dovuto al fatto che il teatro italiano nel contesto di quello europeo sia anomalo, nel senso che è essenzialmente un teatro attoriale e non autoriale. Secondo il mio parere nella tradizione del teatro italiano il personaggio dominante sia sempre stato l’attore, l’attore di un tipo molto particolare. Franca è figlia d’arte, come Eleonora Duse, come Adelaide Ristori e molte altre. È importante sottolineare che l’attrice era nata in una famiglia di attori girovaghi, la Compagnia Rame si ritiene che affondi le sue radici nel Settecento. Fino alla fondazione dei teatri stabili erano famiglie di quel tipo che erano il cuore del teatro italiano, attori che improvvisavano. La Rame è nata praticamente sulla scena, ha fatto la sua prima comparsa quando aveva solamente otto giorni. Nel corso dell’intervista Franca ha spiegato come la Compagnia Rame producesse i propri testi, suo padre era il capocomico, radunava la famiglia e distribuiva i vari ruoli. Questa è la tradizione del teatro italiano, è una tradizione essenzialmente ed esclusivamente italiana e Franca Rame è stata l’ultima grande rappresentante di quella tradizione, perché adesso non esiste più.
- Quando Milano ha salutato per l’ultima volta l’attrice, il figlio Jacopo ha dichiarato che “ancora oggi i miei genitori sono amati nel mondo ma l’Italia li considera nemici”. Che cosa ne pensa al riguardo?
Certamente Dario e Franca sono stati molto ammirati e amati all’estero, è quasi un luogo comune ripetere che Dario Fo è l’autore vivente più rappresentato al mondo. Quando Franca ha recitato qui in Gran Bretagna, in America o in Francia le sue performance sono state osannate, perché era una grande attrice. In Italia ovviamente la situazione è più complicata, perché loro – questa è una banalità – avevano una posizione politica ben precisa e questo ovviamente ha suscitato l’ammirazione di una parte della società e anche l’odio di un’altra parte. Con tutto il rispetto che ho per Jacopo, non penso che si possa dire che Franca sia stata ritenuta una nemica da tutta la società italiana, ma dal momento che era una donna così forte che ha partecipato a iniziative precise è ovvio che le sue campagne politiche e sociali abbiano suscitato l’antagonismo di una parte della società. Questo ha portato a episodi vergognosi, mi riferisco al sequestro e allo stupro che Franca ha dovuto subire. Ora sappiamo senza ombra di dubbio, grazie alle indagini condotte dal giudice Guido Salvini, che questo doloroso episodio è stato orchestrato in Italia da alcuni ufficiali appartenenti alle forze dell’Ordine e perpetrato da cinque neofascisti. Non credo però che Franca fosse odiata dalla società in quanto tale.
- Possiamo dire che Franca Rame rappresentava e tuttora rappresenta quella parte di Italia ancora capace di indignarsi e di sognare?
È una bellissima frase questa... Dario una volta in Spagna, in Catalogna disse che nel suo teatro lui mirava all’unione del riso con la rabbia. Questi due termini indignarsi e sognare mi pare che abbiano la stessa forza. Indignarsi ma non fine a se stesso, anche sognare, essere attivi, muoversi per migliorare le cose è un sogno dei migliori esseri umani, maschi e femmine. Franca aveva senz’altro quella capacità di indignarsi di fronte alle ingiustizie. Questo era l’impulso dietro alle sue attività. Aveva dei principi molto fermi. Lei si è indignata quando ha visto delle scene d’ingiustizia, quando ha visto l’immobilità del potere e della politica italiana di fronte alla povertà per esempio, si è indignata contro ingiustizie perpetrate contro donne e contro bambini. Lo scrittore e poeta irlandese Jonathan Swift, l’autore de I viaggi di Gulliver, usava l’espressione indignazione amara... Franca aveva anche la capacità di sognare un mondo migliore, lei ha militato tutta la sua vita in favore di questo mondo migliore. Era un sogno, sì... ma era un bel sogno.
Abbiamo anche intervistato l’editrice Silvia Della Porta che ha pubblicato il libro – intervista.
- Silvia, Franca Rame non ha fatto in tempo a veder pubblicato il volume...
Sì, purtroppo è vero, il libro, fisicamente, non l’ha mai avuto tra le mani, e questo per noi è un grande dispiacere. Il lavoro di editing era ormai giunto alla fine e non vedevamo l’ora di consegnarle il testo finito, per poi scegliere insieme le foto di accompagnamento. La notizia della sua scomparsa è stata, per noi, inaspettata e triste. Ho passato mesi ad ascoltare la sua voce, mentre trascrivevo il dialogo fra lei e Joseph Farrell, e – anche se ho avuto modo di conoscerla soltanto quest’anno – per me è stato come perdere, se posso permettermi il termine, un’amica. Da subito Franca Rame mi ha dato l’impressione di essere una persona estremamente buona e generosa, magnetica, non potevo fare a meno di guardarla e di ascoltarla. Ci ha accolto con amicizia e infinita gentilezza, era contenta di parlare, di raccontarci la sua storia, mi disse.
- Qual è la lezione di vita che l’attrice ha lasciato in eredità?
Direi che alla generazione alla quale io appartengo abbia lasciato un’eredità fondamentale: restare fedeli ai propri valori. Franca Rame ha combattuto molte battaglie, ma mai sotto un’etichetta o un simbolo, guidata solo da un’ideale, quello di voler migliorare la vita degli altri. Molte persone hanno un feeling con gli animali, ci disse, lei lo aveva con i cristiani. Mi ha colpito la sua concezione di femminismo, l’uomo c’è ed è importante, si cresce insieme. Era per l’uguaglianza delle donne, ma non accettava la definizione di femminista. Ha portato il teatro nelle case del popolo, ma a un certo punto ha deciso di strappare la tessera del PCI. Ha fondato Soccorso Rosso, ma non ha certo mai condiviso gli obiettivi del terrorismo armato. Essere se stessi, quindi, anche se non è facile essere Franca Rame. Come lei stessa disse, riferendosi agli attori che recitano i suoi spettacoli:
“Scimmiottami, va’ a pappagallo. Quando l’avrai bene in testa, ti accorgerai che il personaggio è diventato tuo”.
Anche noi dovremmo cercare di imitarla, e non solo sul palcoscenico.
- Natalia Aspesi all’indomani dei funerali laici di Franca Rame nel suo articolo L’Italia invisibile ritrova se stessa, pubblicato su Repubblica, tra le altre cose ha scritto
“... bellissima signora che con la sua morte ha risvegliato un mondo che pareva sepolto da anni, ma anche la memoria, la coscienza di quei milanesi ignoti che si stavano adattando al silenzio e alla rinuncia, senza reagire”.
Condivide la riflessione della giornalista?
Mi sembrano senz’altro delle parole belle e appropriate. Franca Rame rappresenta cinquant’anni di storia del nostro paese, spetta a noi tutti italiani, non solo ai milanesi, ricordarla e portare avanti il suo insegnamento di vita. Mi ha commosso in modo particolare l’articolo di Lella Costa, dove ho rivisto ’la Franca’ che ho avuto la fortuna di incontrare a Milano lo scorso febbraio.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Intervista allo scrittore Joseph Farrell e all’editrice Silvia Della Porta
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