Julya Rabinowich è un’autrice, drammaturga, pittrice e traduttrice austriaca. Di origini russe, abbandona la sua terra nel 1977, quando insieme alla sua famiglia si rifugia a Vienna. Figlia di artisti, Julya studia per diventare traduttrice e psicoterapeuta. Ed è così che si ritrova nel 2008 a lavorare come interprete presso i centri di accoglienza dei rifugiati in Austria. Una buona parte della sua produzione letteraria è proprio in risposta alla politica di accoglienza dei migranti e dei rifugiati in Europa. Autrice di E in mezzo: io (Besa Muci, 2021, trad. Beate Baumann), romanzo pluripremiato in Germania, si racconta e ci racconta.
- Come nasce l’idea di scrivere "E in mezzo: io?"
Ho lavorato come traduttrice per i rifugiati, prima di diventare autrice, orientativamente tra il 2008 e il 2012. Ho visto molti situazioni che ho ritenuto di dover condividere, utilizzando la letteratura. Ho incontrato molte Madina e alcune di queste storie hanno conosciuto un lieto fine, altre no. In quei centri di accoglienza, sembrava che si svolgessero davanti ai miei occhi delle vere e proprie tragedie greche classiche.
- Madina è una ragazza forte e coraggiosa, che lotta per la sua integrazione. Perché, secondo te, dobbiamo ancora lottare per quello che dovrebbe essere un diritto?
Purtroppo, molti dei nostri diritti non si ottengono senza lottare. Ricordiamo che è stato necessario l’intervento di Rosa Parks per vedere l’inizio della fine dell’apartheid. Non dobbiamo, però, guardare solo oltremare. Ci sono e ci sono state donne coraggiose che hanno lottato per il diritto di voto femminile in Europa. L’emancipazione è sempre stata una lotta e lo è ancora. Questo non significa che sia giusto, ma a volte è necessario e rimane l’unica via da percorrere. Voglio, però, fidarmi della nostra società che si sta sviluppando e si sta evolvendo.
- Il padre di Madina sembra un nemico, ma vuole solo proteggerla. Spesso, questo modo di proteggere diventa distruttivo. Cosa ne pensi?
Il padre di Madina è cresciuto in una normalità patriarcale, come molti altri. Soffre per la perdita della sua posizione di leader nella famiglia e Madina deve assumere questo ruolo, come spesso fanno i bambini nella situazione di rifugiati, perché sono i primi a parlare la lingua del paese che li ospita e a capire di più su questo nuovo modo di vivere. Sta lottando tra il desiderio di proteggerla - ovviamente la ama - e il desiderio di avere il controllo su di lei, perché sente che la ragazza si sta allontanando da lui. Questa problematica si riscontra spesso, soprattutto tra le ragazze rifugiate. Anche mio padre lo ha fatto, quando abbiamo lasciato l’USSR e ci siamo stabiliti a Vienna.
- Quanto di autobiografico c’è in questo romanzo?
Come ho accennato prima, io stessa ho sperimentato la lotta con mio padre, quando abbiamo lasciato la nostra terra. E, come traduttore, ho incontrato diverse Madina con svariate tipologie di padri distruttivi. Alcuni amorevoli, altri no. E, naturalmente, la mia esperienza dell’acquisizione della lingua, si ritrova anche in Madina, che, come me, deve imparare la nuova lingua del paese e trovare nuovi amici.
- Puoi raccontarci la tua esperienza come interprete nei centri per rifugiati?
In parte ho già risposto sopra: mi ha insegnato molto sul rispetto, la perdita, l’umiltà, la resilienza e l’odio. Forse la cosa principale che ho compreso, mentre svolgevo il mio ruolo di interprete con le vittime di guerre e tortura è che il ghiaccio della civiltà è molto, molto sottile e delicato.
- Stai scrivendo un nuovo libro?
Sì. Sto terminando il sequel di E in mezzo: io che Hanser pubblicherà nel 2022 e sto anche lavorando a un romanzo, la cui stesura va avanti da anni.
E in mezzo: io
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Intervista alla scrittrice Julya Rabinowich, in libreria con “E in mezzo: io”
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