Sir Isaac Newton. Mezzotint by T. O. Barlow, 1868; CC BY 4.0, via Wikimedia Commons
C’è una filosofia nelle opere di Isaac Newton? In questo articolo cerchiamo di rispondere a questa domanda, senza trascurare i principali eventi della vita dello scienziato ancora oggi considerato il padre della fisica classica.
Non considereremo, quindi, le grandi scoperte scientifiche di Isaac Newton: la legge di gravitazione universale, i tre principi della dinamica, la natura corpuscolare della luce o la scoperta del calcolo infinitesimale per le quali, ancora oggi, Newton è ricordato e studiato.
La domanda dalla quale siamo partiti non è peregrina perché nel pensiero di Newton, come in quello di molti altri grandi scienziati, si nascondono interessanti considerazioni sulla metodologia della scienza, si ritrovano principi del ragionamento già utilizzati da altri filosofi ed emergono riflessioni di natura cosmologica o teologica che nulla hanno da invidiare a quelle svolte, negli stessi anni, da personaggi come Galilei, Pascal o Cartesio.
In occasione dell’anniversario della sua nascita, avvenuta il 4 gennaio 1643, scopriamo, allora, la vita di Isaac Newton e le posizioni filosofiche presenti nelle sue opere.
La vita e le opere di Isaac Newton
Dopo un’adolescenza tormentata Isaac Newton (25 dicembre 1642 – 20 marzo 1727, secondo il calendario giuliano allora in uso in Inghilterra o 4 gennaio 1643 – 31 marzo 1727, secondo il calendario gregoriano), grazie a un’eredità del patrigno, poté pagarsi gli studi superiori e frequentare il Trinity College di Cambridge del quale fu prima allievo e poi docente, per lunghi e proficui anni.
Rientrato a Woolsthorpe per scampare alla peste, tra il 1675 e il 1677, grazie a una mela caduta da un albero, iniziò a formulare il primo abbozzo della teoria della gravitazione. Molte altre furono le scoperte e le invenzioni di questi anni giovanili – il metodo delle flussioni col quale si avvicinò al calcolo infinitesimale, una teoria dei colori che era una premessa alla natura corpuscolare della luce, il telescopio riflettore – che gli procurano vasta notorietà e suscitarono subito altrettante polemiche.
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Il confronto con altri celebri scienziati del tempo come Robert Hooke e Edmund Halley, in particolare sulle leggi di Keplero, lo spinse a pubblicare, nel 1687, il suo capolavoro Philosophiae naturalis principia matematica (Principi matematici della filosofia della natura), una delle opere più celebri e influenti della storia della scienza nella quale la Rivoluzione Scientifica raggiunge i suoi esiti definitivi.
Negli anni seguenti fu membro del Parlamento (1689-1690 e, poi, nel 1701), fu colpito da un esaurimento nervoso, conquistò una notorietà sempre crescente, divenne direttore della Zecca britannica e si trasferì a Londra, presiedette la Royal Society (1703-1726) e fu omaggiato col titolo di Sir (baronetto) dalla Regina Anna (1705).
Ombroso e paranoico, oltre che naturalmente litigioso, Newton venne sepolto nell’Abbazia di Westminster, ricevendo un funerale degno di un re, secondo quanto testimoniato da Voltaire, che molto si impegnò nella diffusione del pensiero newtoniano in Francia e nel resto d’Europa.
Tra le altre sue opere è opportuno ricordare almeno:
- la Nuova teoria intorno alla luce e ai colori (1672);
- l’Ottica (1704).
La filosofia di Newton: il metodo scientifico
Dal punto di vista filosofico il testo sicuramente più interessante di Newton è il terzo libro dei Principia, dal titolo De mundi sistemate (Sul sistema mondo) e lo Scholium generale, aggiunto nel 1713, in occasione della seconda edizione dell’opera.
Qui Newton elenca quattro regole metodologiche che indicano il modo corretto e l’atteggiamento da tenere nell’attività scientifica:
- Non bisogna ammettere più cause delle cose naturali di quelle che siano vere e sufficienti a spiegare le loro apparenze. È un principio di economia che richiama da vicino il rasoio di Ockham, nella scienza a nulla serve complicare le spiegazioni, servono teorie semplici perché la natura stessa ama la semplicità, non impiega mai cause superflue e non fa nulla invano.
- Agli stessi effetti dobbiamo, per quanto possibile, assegnare le stesse cause. Questa regola, strettamente correlata alla precedente, sottintende l’uniformità della natura, sulla terra e nell’intero universo, quindi, valgono le stesse leggi e i movimenti dei gravi sono regolati dagli stessi principi;
- Le qualità dei corpi, che non ammettono né aumento né diminuzione, e che appartengono a tutti i corpi considerati nei nostri esperimenti, devono essere ritenute qualità universali di tutti i corpi. Dopo aver affermato la semplicità e l’uniformità della natura, Newton afferma che tutti i corpi godono di alcune caratteristiche fondamentali – l’estensione, la durezza, l’impenetrabilità, il movimento – che noi cogliamo attraverso i sensi, opportunamente potenziati dalla strumentazione scientifica. Quando Newton illustra questa terza regola ci accorgiamo che sta difendendo l’atomismo, la posizione ontologica affermata per la prima volta da Democrito, in base alla quale le unità elementari (gli atomi) che compongono i corpi sono indivisibili.
Newton, inoltre, afferma qui l’efficacia dell’induzione: noi affermiamo l’indivisibilità delle particelle ma se anche un unico esperimento disconfermasse questa ipotesi, allora saremmo costretti ad ammettere che tutte le particelle possono essere divise ed effettivamente separate all’infinito. Non solo, il procedimento induttivo, che parte dall’osservazione dei particolari per giungere a conclusioni universalmente valide, è l’unica procedura valida per fondare le leggi scientifiche: se anche non disponessimo di esperimenti (come nel caso dei corpi celesti), le nostre osservazioni sono sufficienti per affermare che alcune qualità sono essenziali ai corpi, questo vale per l’attrazione reciproca, determinata dalla legge di gravitazione universale ma anche per l’inerzia che Newton definisce anche vis insita, una forza interna, essenziale, appunto, per pensare compiutamente i corpi.
- Nella filosofia naturale le proposizioni ottenute per induzione generale dai fenomeni debbono essere considerate come strettamente vere o come vicinissime alla verità, nonostante le ipotesi contrarie che possono essere immaginate, fino a quando non si verifichino fenomeni dai quali o esse sono rese più esatte oppure vengono assoggettate a eccezioni. Qui Newton non fa che ribadire la sua preferenza per l’induzione, pur consapevole che si può incappare in ipotesi contrarie che contraddicono l’ipotesi iniziale.
Il Dio di Newton, lo spazio e il tempo
Per Newton il sistema mondo, ossia l’universo, è una grande macchina: l’impresa scientifica e il metodo induttivo consentono di cogliere le leggi che regolano il funzionamento di questa macchina ma questo sistema trova la sua origine solo nel progetto di Essere intelligente e infinitamente potente.
È proprio l’ordine dell’universo a rivelare che dietro ad esso c’è il progetto di un Dio ingegnere, o architetto, e a rivelare, quindi, l’esistenza stessa di questo Dio. Troviamo qui un recupero di quella prova teleologica dell’esistenza di Dio che, già presente in Aristotele, era stata compiutamente formulata da Tommaso.
Questo Dio, che oltre determinare le leggi della natura, imprime alla realtà una velocità iniziale, dopo la creazione non interviene più nelle vicende umane, non va concepito antropomorficamente, di lui si può dire che è sommamente perfetto, onnipotente e onnisciente, eterno e infinito.
A ciò si lega la particolare concezione del tempo e dello spazio di Newton: egli crede che lo spazio e il tempo, in cui si produce il moto, siano assoluti, ovvero:
“per loro natura senza relazione ad alcunché di esterno”
Newton considera lo spazio una sorta di grande contenitore in cui i corpi si muovono, un contenitore “oggettivo”, che esisterebbe anche qualora non esistessero i corpi, e in cui gli eventi si susseguono in un tempo altrettanto oggettivo e assoluto (il tempo della fisica) che nulla a che vedere con concetti come l’ora, i minuti e i giorni. A questo proposito Newton afferma anche che lo spazio (e il tempo) è sensorium dei, ovvero l’elemento attraverso il quale Dio riesce ad essere compresente all’ordine naturale, al creato stesso, pur non intervenendo continuamente su di esso.
“Hyphoteses non fingo”: che significa?
In filosofia Newton viene spesso ricordato per aver pronunciato la celebre frase
“hyphoteses non fingo”
Anche in questo caso si tratta di un principio di natura metodologica: come già aveva creduto Galileo, nel suo lavoro lo scienziato deve interrogarsi su come avvengano i fenomeni naturali, deve dunque chiarire le cause efficienti di un fenomeno, ed esplicitare le leggi fisiche che regolano quel fenomeno. Tali leggi sono valide sulla base dell’osservazione e dell’esperimento (per questo si parla anche di filosofia sperimentale) e lo scienziato “non inventa ipotesi” (è questo il significato letterale della frase), non avanza ipotesi sugli scopi, sulle cause finali che hanno portato Dio a regolare il mondo in questo modo, a stabilire determinate leggi fisiche e non, piuttosto, altre. È, dunque, una chiara delimitazione del campo della scienza, dove le speculazioni metafisiche non trovano cittadinanza.
Due libri da leggere su Newton
Sulle spalle di un gigante. Isaac Newton
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Isaac Newton. Filosofo della Natura, interprete della Scrittura, cronologo degli Antichi Regni
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: La filosofia di Isaac Newton: vita e pensiero del padre della fisica moderna
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