Il 13 gennaio 1898 il più importante scrittore francese, Émile Zola, scrisse un editoriale infuocato in difesa di Alfred Dreyfus, l’ufficiale di origine ebraica ingiustamente condannato per tradimento.
Nella lettera, pubblicata sul giornale socialista L’Aurore, il padre del naturalismo francese si rivolgeva con toni accesi all’allora presidente della Repubblica Félix Faure.
L’invettiva costò cara a Zola, condannato a un anno di carcere, ma avrà un ruolo cruciale per la scarcerazione di Dreyfus.
Per la prima volta accadeva una cosa inaudita: si rompeva il confine tra letteratura e società. Le parole di Zola interferirono con la vita pubblica e politica in nome della verità e della giustizia. Lo scrittore francese aveva usato la penna come spada. Il mondo intero era cambiato dopo le sue parole.
Secondo la storica statunitense Barbara Tuchman, si trattò di "one of the great commotions of history". In breve:
Una delle grandi rivoluzioni della storia.
Da quel momento il termine J’accuse è entrato di diritto anche nella lingua italiana per designare un’azione di denuncia pubblica o una violenta requistoria.
Ma cosa scrisse Zola esattamente 125 anni fa? Scopriamo il testo del clamoroso J’accuse.
Il J’accuse di Émile Zola
La lunga lettera aperta di Zola iniziava con parole precise che si rivolgevano all’interlocutore, la più alta carica dello Stato, senza mezzi termini:
Signor Presidente,
Volete permettermi, nella mia gratitudine per la benevola accoglienza che un giorno m’avete fatto, d’aver pensiero della vostra giusta gloria e dirvi che la vostra stella, fin qui tanto fortunata, è sotto la minaccia della macchia più vergognosa ed incancellabile?
Zola accusava il presidente Faure di uscire con le mani pulite dall’ingiusta condanna di Alfred Dreyfus, un ufficiale di artiglieria di origine ebrea affidato allo Stato maggiore dell’esercito francese, accusato di spionaggio. Dreyfus era stato incarcerato nella cosiddetta Isola del Diavolo, nella Guyana francese, in seguito a un processo sommario.
Il cosiddetto Affare Dreyfus avrebbe creato una profonda spaccatura nella società francese: una fazione di intellettuali difendeva l’innocenza di Dreyfus, mentre un altro schieramento parteggiava per la sua colpevolezza. Nel 1896 era iniziata una prima campagna di stampa a favore dell’ufficiale, inaugurata dall’articolo L’Affaire Dreyfus - Une erreur judiciaire firmato da Bernard Lazare su un giornale belga.
L’editoriale di Zola ebbe una funzione fondamentale nel riaprire il caso. Lo scrittore osservava che Dreyfus non era altro che un’altra vittima dell’antisemitismo nazionalista, in quanto ebreo alsaziano. Difendeva così “l’innocente che espia laggiù, tra le più atroci torture, un crimine che non ha commesso”.
Nel testo il giornalista e scrittore ripercorreva l’intera vicenda giudiziaria mettendone in luce mancanze ed omissioni.
I tribunali militari hanno davvero un singolare concetto della giustizia! Tale dunque la verità, signor presidente, ed è spaventevole e resterà una macchia per la vostra presidenza. Io comprendo che in questa faccenda voi non avete nessun potere, che siete prigioniero della Costituzione e del vostro contorno. Ma avete però un dovere di uomo, al quale penserete e che adempirete.
La prova che Zola avesse ragione non tardò. Alcuni mesi dopo, Hubert Joseph Henry, il principale accusatore di Dreyfus, fu arrestato, dopo essere stato interrogato a lungo dal ministro della guerra Cavaignac. Durante l’interrogatorio Henry aveva dichiarato di essere l’autore della lettera falsificata dell’autunno 1896.
Il giorno dopo Henry si suicidò in carcere, tagliandosi la gola con un rasoio. A quel punto la corte di Cassazione accolse la decisione di revisionare il caso Dreyfus. Nel 1899 iniziò il secondo processo.
Nel frattempo, a causa delle sue parole infuocate che avevano infiammato l’opinione pubblica, Émile Zola fu condannato a un anno di carcere per vilipendio delle forze armate: per sfuggire alla condanna lo scrittore dovette fuggire a Londra, in Inghilterra. Il processo durò più di due settimane, dal 7 al 23 febbraio, e Zola dovette pagare oltre tremila franchi di ammenda; ma non si rimangiò una parola di ciò che aveva scritto.
L’affare Dreyfus si risolse ufficialmente nel 1906, quattro anni dopo la morte di Zola. La corte di cassazione revocò la sentenza di condanna e l’ufficiale alsaziano fu reintegrato nell’esercito francese. Solo nel 1995, esattamente sessant’anni dopo la morte di Dreyfus, sarà ammessa ufficialmente la sua innocenza dall’esercito francese.
Il j’accuse di Émile Zola aveva sortito il suo effetto.
La protesta infiammata di Zola è ancora un modello di giornalismo e di scrittura: rappresenta il grido di protesta di un intellettuale che non si piega al potere.
Quel 13 gennaio 1898 per la prima volta la parola diventava scudo della democrazia.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: 125 anni fa il clamoroso “J’accuse” di Émile Zola
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