Jack London
- Autore: Irving Stone
- Casa editrice: Castelvecchi
- Anno di pubblicazione: 2013
“Una mattina dei primi di giugno dell’anno 1875 la gente di San Francisco, svegliandosi, lesse sul Chronicle una storia raccapricciante: una donna si era sparata alla tempia perché il marito l’aveva scacciata di casa per essersi rifiutata di sopprimere il bambino che aveva in grembo”.
“Episodio di crudeltà e squallore domestico” i cui protagonisti erano Flora Wellman, pecora nera di un’onorata famiglia di pionieri dell’Ohio, e il Prof. W. H. Chaney, astrologo ambulante di origine irlandese, linguista ed esperto di Storia e della Bibbia, la cui grande debolezza erano le donne. Il figlio che stava per nascere da questa coppia non sposata e male assortita sarebbe divenuto noto a tutti con il nome di Jack London (1876 – 1916), uno degli autori più amati dai lettori di tutto il mondo, lo scrittore statunitense più tradotto all’estero. Se Chaney dopo Portland e New Orleans finì di trascorrere i suoi giorni a Chicago sbarcando il lunario facendo oroscopi a un dollaro l’uno, realizzò la sua predizione morendo in un certo giorno e sepolto durante una tormenta di neve, Flora subito dopo la nascita di Jack ricominciò le sue conferenze pubbliche sullo spiritismo. John London, un vedovo sui 45 anni di bell’aspetto con due figlie proveniente dallo Stato dello Iowa che “aspirava a un focolare per sé, a una casa e una madre per le sue figlie,” decise di sposare Flora. Flora irrequieta, instabile, musona, troppo occupata con la musica era poco portata per il compito di madre e il piccolo Jack venne subito accudito e adottato dalla figlia di John, Eliza, un dovere che la pratica ragazzina avrebbe considerato sacro fino al giorno in cui avrebbe seppellito le ceneri del fratellastro su un’alta collina sovrastante la Valle della Luna, un “maestoso poggio” situato nel ranch di London chiamato Bella Fattoria. La balia di colore Jenny Prentiss, “alta, massiccia, pettoruta, nera come il carbone, gran lavoratrice”, fu “madre adottiva e amica di Jack per tutta la vita”. John London fu costretto a cambiare lavoro molte volte, dividendosi tra Oakland e la campagna dove coltivava la terra ma una serie di calamità naturali costrinse la famiglia a ritrovarsi sulla strada le loro cose ammonticchiate sul grosso carro delle patate. Per il sensibile Jack (biondo, occhi azzurri e pelle chiara) che aveva ereditato dai suoi genitori una forte instabilità emotiva, “la sua mente era un sismografo che registrava ogni minima scossa intorno a sé” e di scosse ce ne furono a non finire, perché nei successivi tredici anni la famiglia London avrebbe vissuto nel fallimento e nella povertà.
La nascita culturale e spirituale di Jack avvenne quando il ragazzino varcò per la prima volta la soglia della biblioteca pubblica di Oakland, eletta subito a sua casa. Leggendo senza sosta London trovò un’estasi artificiale: dai racconti di antichi viaggi, biografie e romantiche avventure il futuro scrittore per il quale “letteratura e vita sarebbero state una cosa sola, sinonimi”, aveva tratto l’inebriante nozione che il mondo con le sue eccitanti avventure lo stesse aspettando non appena fosse stato in grado di scappare da lì. John London non riusciva a trovare lavoro e l’undicenne Jack aveva cominciato a procurare il pane per tutta la famiglia consegnando giornali nei giorni feriali, vendendo gelati su un carretto il sabato e la domenica tirando su i birilli nelle corsie del bowling. La mente fantastica di London venendo a contatto con la vita pittoresca dell’estuario di Oakland tra balenieri dell’Artico, contrabbandieri di oppio, rigattieri cinesi, navi da carico, case galleggianti e pattuglie di guardiapesca iniziava già a porre le basi dei suoi scritti. Quelle meravigliose trame che avrebbero dato il via a circa 100 tra articoli e racconti e a 50 romanzi del calibro di L’amore della vita, Il richiamo della foresta, Zanna Bianca, Martin Eden (l’alter ego di London) e tanti altri ancora. Tutto era iniziato con la vittoria al concorso bandito da Call giornale di San Francisco: scrivendo il racconto Narrazione di un tifone all’altezza della costa giapponese Jack aveva guadagnato il primo premio di 25 dollari. Profetiche le parole del Call che motivavano la vittoria dell’adolescente :
“La cosa che più colpisce è l’ampiezza del respiro e la grande forza espressiva che dimostra il giovane artista”.
Jack London (titolo originale del volume Jack London: Sailor on Horseback, Castelvecchi, 2013, traduzione di Massimiliano Reggia) pubblicato per la prima volta nel 1938 è un’esauriente e documentata biografia (grazie alla testimonianza di parenti, amici, compagni degli anni avventurosi) di un autore dall’intelligenza viva e dall’immaginazione fertile che amò sopra ogni cosa i libri e il mare. A London piaceva dire di sé che era un vichingo
“discendente di quei potenti marinai che avevano attraversato l’Atlantico su una nave aperta”.
Razziatore di ostriche, cacciatore di foche e poliziotto dei mari contro i razziatori di ostriche, lavandaio, corrispondente di guerra, cercatore d’oro, agente di assicurazioni, mendicante, vagabondo, ecc... Una vita straordinaria, estrema che per London avrebbe avuto senso solo scrivendo storie che gli passavano per la mente. Uomo dalle molte contraddizioni, “individualista e socialista”, Jack possedeva una grande sicurezza di sé unita a una tremenda timidezza e a un senso di inferiorità, lo scrittore amava descrivere la natura e tutti i suoi tesori “ma soprattutto amava la natura per la sua potenza e per la terribile forza con cui soggioga il genere umano”. Il 22 novembre del 1916 Jack London moriva nel suo ranch a Glenn Ellen nella Sonoma County in California, a soli quarant’anni a causa di un’overdose letale di morfina. Con la scomparsa dell’autore il mondo intero fu in lutto perché “privato di una fiamma”.
“Alla mia matura età, sono convinto che il gioco valga la candela. Ho avuto un’esistenza fortunata, sono stato molto più fortunato di centinaia di milioni di uomini della mia generazione e, pur avendo sofferto molto, ho molto vissuto, molto veduto e molto provato di ciò che è negato all’uomo comune. Sì, indubbiamente il gioco vale la candela”.
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