L’Assommoir
- Autore: Émile Zola
- Categoria: Narrativa Straniera
Émile Zola, di madre francese e padre italiano, un ingegnere idraulico veneziano incaricato di un’importante opera in Provenza, studiò prima ad Aix-en Provence dove conobbe Cézanne, e poi, all’età di ventidue anni, si trasferì a Parigi, per iscriversi all’università. Interrotti gli studi, a causa delle ristrettezze economiche, il padre infatti era venuto a mancare quando lui era ancora molto giovane, trovò un impiego presso la casa editrice Hachette di cui in breve tempo assunse la direzione dell’ufficio stampa. La sua formazione letteraria si nutre degli studi positivistici sul carattere e l’ereditarietà divulgati dai fisiologisti dell’epoca, trovando un modello ispiratore della sua indagine antropologica nella Comédie humaine di Balzac.
Il ciclo dei Rougon-Macquart, di cui "L’Assommoir" fa parte, al quale lo scrittore si dedicò per ventidue anni, dal 1871 al 1893, rappresenta la monumentale realizzazione dell’idea di raccontare l’epopea di una famiglia seguita per diverse generazioni, i cui membri, a causa della forza indecifrabile del legame che li tiene uniti, non riescono a sfuggire ai difetti fisici e morali delle loro origini.
Questa fatalità del ghénos, costantemente esplorata da Zola, sembra riportare alcuni dei temi analizzati dalla tragedia greca, Eschilo in particolare, quali il replicarsi delle colpe e dei lutti tra i membri di una stessa stirpe, nel contesto di un progresso industriale che semina degrado e sofferenza, segnando la nascita di una società complessa, che dunque ci viene additata come fisiologicamente ammalata, di cui l’ambiente della città riflette tutte le incoerenze.
L’epica del ghénos filtra quella delle classi sociali e della città così da conferire all’opera di Zola il valore aggiunto di documento storico e sociologico.
Nell’Assommoir, parola del gergo parigino dal doppio significato di “mazzata” e “bettola”, l’autore analizza la piaga dell’alcolismo radicata tra gli operai parigini, facendo della vicenda di Gervasia, la protagonista, un punto di osservazione schietto e brutale dello squallore in cui si dibatte la vita dei più umili lavoranti nella periferia della capitale francese. Sappiamo che Zola si preparò alla stesura del romanzo leggendo diversi articoli sulla mentalità e i costumi degli operai francesi e studiando alcuni trattati che raccoglievano il gergo dei sobborghi parigini. Questo lavoro sulla lingua, che la traduzione italiana non può rendere completamente, dà un contributo fondamentale alla creazione di quella atmosfera di abbrutimento in cui hanno luogo i fatti descritti e ne costituisce un elemento vitale al pari dei personaggi. Ed è proprio l’epica dei sobborghi a tenere la scena dell’Assommoir, quel margine urbano che non ha più nulla dell’aria di campagna ed è tuttavia condannato ad essere escluso dalle comodità della vita cittadina. E’ lo sguardo sulle case di gesso del grigio pendio di Montmartre, è il cromatismo delle facciate scure su cui si incrosta la povertà, della luce impastata al fumo e al fango delle strade dove affacciano i laboratori, delle notti di ubriachezza e prostituzione in cui finiscono per scivolare le vite di tutti.
“Sì, sì, proprio qualche cosa di pulito, l’uomo o la donna in quell’angolo di Parigi, dove si vive gli uni sugli altri, per via della miseria. Si potevano mettere i due sessi in un mortaio e se ne sarebbe cavato fuori di che concimare i ciliegi di tutta la pianura di Saint-Denis”, così Gervasia consegna al lettore un ritratto della sozza promiscuità in cui la miseria costringe le gente dei quartieri poveri. Il precipitare stesso di Gervasia riassume la progressiva discesa di un’esistenza miserevole, cui la notte parigina, dove col passare delle ore la baldoria si muta in violenza, fa da fosco contraltare, fino all’inevitabile epilogo.
Lavandaia in provincia, incinta a quattordici anni, lasciata a venti con due figli da Lantier, il compagno perdigiorno che l’ha portata a Parigi, sposata a Coupeau, poi padrona di una stireria, strangolata dai debiti, il marito inghiottito dall’alcool che lo rende anno dopo anno sempre più folle e indolente, stroncandolo ad appena quarant’anni. Su tutto, l’andirivieni da una mescita all’altra dei poveri diavoli sfrattati dalla società, bevitori di grappa e assenzio, dalle Batignolles a Belleville, tutta una vita scialacquata tra osterie e bettole, lo Zibettino, la Pulce che Russa, mamma Baquet, la Farfalla, buchi miserevoli fatti per dilapidare le paghe, i cui stessi nomi riflettono quella vivace creatività linguistica tendente al grottesco che, lo si è detto, caratterizza tutto il romanzo.
Mentre Parigi si riveste a nuovo, più volte infatti Zola dà spazio agli sconvolgimenti edilizi ordinati da Napoleone III, mentre in gran fretta si cerca di cancellare le tracce della miseria annidata nei sobborghi, dall’altra parte l’ombra gravosa e sinistra della macchina distillatrice di papà Colombe provvede a disperdere quel carico di vite marginali, spremute all’osso. E’ la notte che irrimediabilmente avanza, la notte in cui Gervasia si trova a vagare sui boulevards, risalendo il passato attraverso i ricordi, la notte più fredda di Parigi e probabilmente della sua stessa vita, quella in cui cerca di prostituirsi per un pezzo di pane, e all’alba, al cadere della prima neve, per un’ultima momentanea liberazione ritrova Goujet, l’amico di sempre, l’unico ad aver provato per lei un sentimento di così innocente dolcezza da riscattarla, negli anni del lavoro alla stireria, dal declino cui fatalmente si avviava.
Zola apre la riflessione letteraria a quelle periferie cadenti e perdute al termine della notte continuate dalla scrittura allucinata di Céline, mostrandoci come sia possibile morire di stenti e degrado nell’indifferenza generale, puntando il dito sull’inizio della catastrofe urbana contemporanea, macinatrice di umanità.
- titolo: L’Assommoir, autore: Émile Zola, introduzione: J. Dubois, traduzione: L. G. Tenconi, casa editrice: Bur, 2000
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Davvero un bel libro, con delle descrizioni davvero interessanti e imponenti, come l’autore ci ha ben abituati. Nonostante l’abbia letto anni fa, ricordo ancora quanto Zola riesce a rendere "grandioso" il pranzo di Gervaise descrivendolo in un crescendo fino all’apice che rappresenta poi anche il culmine della vita della protagonista...
Chiaro, di ottima comprensione! L’ho addirittura integrato nella misa tesina! Mi ha aiutato senz’altro a capire meglio il libro.
Grazie di cuore.
Grazie a voi per i vostri commenti.
Sammy, mi fa molto piacere che il mio piccolo contributo ti sia stato utile per motivi di studio. E soprattutto che tu me lo abbia fatto sapere. Ci tengo davvero a capire in che modo i miei articoli arrivano al mio pubblico e se creano spunti di riflessione per ulteriori percorsi. Quel che ho scritto diverso tempo fa è il frutto dell’emozione che questo grande narratore mi ha trasmesso. Diciamo che L’Assommoir di Zola è un testo davanti al quale non si può restare indifferenti. Un caro saluto.
"Tocca a tutti prima o poi...non c’è bisogno di spingere,c’è posto per tutti...ed è stupido aver fretta,perchè ci si arriva lentamente alla morte...ecco una che prima non voleva,e poi ha voluto. E allora l’hanno fatta aspettare...insomma,ora c’è l’ha fatta,e vi assicuro che se l’è sudata!Via prendiamocela con allegria!"
E’ così che finisce la vita di Gervaise,forse la sua rovina è stata la bontà e l’ingenuita’. Partita dal basso riesce ad arrivare all’apice,qui il picco è la cena sfarzosa che lei dà,ma proprio da lì inizia il lento ed inesorabile declino.
Un romanzo crudo e spietato che racconta le brutture della vita. Commovente la morte della bambina Lalie,povera vittima di un padre ubriacone.