L’Idiota
- Autore: Fëdor Michajlovič Dostoevskij
- Genere: Classici
- Categoria: Narrativa Straniera
Come la maggior parte dei romanzi di Dostoevskij, “L’Idiota” non è un libro per tutti, ma solo per chi è abituato a "divorare" libri, chi a volte sente addirittura il bisogno di sostituire la lettura all’alcol e alle droghe, un metodo diverso per distrarsi, un rifugio.
Come scrive Hermann Hesse nel saggio alla fine del libro, il vero lettore di Dostoevskij non è colui che legge per passatempo, ma colui che ha sofferto. Egli afferma che
"dobbiamo leggere Dostoevskij quando ci sentiamo a terra, quando abbiamo sofferto sino ai limiti del tollerabile e tutta la vita ci duole come un’unica piaga bruciante e cocente, quando respiriamo la disperazione e siamo morti di mille morti sconsolate. Allora, nel momento in cui, soli e paralizzati in mezzo allo squallore, volgiamo lo sguardo alla vita e non la comprendiamo nella sua splendida, selvaggia crudeltà e non ne vogliamo più sapere, allora, ecco, siamo maturi per la musica di questo terribile e magnifico poeta"
Trama de L’Idiota di Fëdor M. Dostoevskij - Siamo alla fine di novembre, ore nove del mattino. Nel treno della linea Pietroburgo-Varsavia, due personaggi siedono uno di fronte all’altro. Uno è biondo, di bell’aspetto, dallo sguardo puro e sofferente. L’altro è bruno, dallo sguardo malvagio. Preso dalla voglia di intraprendere una conversazione qualsiasi, il bruno chiede al biondo, notando che trema, se ha freddo.
Il biondo risponde di sì, che non ricordava che a Pietroburgo facesse così freddo, poiché per molti anni era stato in Svizzera per farsi curare da una malattia convulsiva che lo aveva reso "quasi un idiota".
E’ vestito, infatti, in modo molto leggero e i suoi bagagli consistevano in un semplice fagotto con pochi vestiti. Questo personaggio risulta essere il principe Myskin, ultimo discendente di questa famiglia aristocratica.
Il bruno è Rogozin, il quale prenderà a sua volta a parlare di sé al principe e a narrare la propria storia.
Un funzionario, Lebedev, seduto accanto a loro, s’intromette nella conversazione e sembra sapere molto sulla vita di Rogozin.
Parfen Rogozin è innamorato di Nastasja Filippovna, una donna bellissima ma arrogante. Quando Myskin vedrà il ritratto di Nastasja Filippovna, in un certo senso, se ne innamora, infatti, lo bacia. Nascerà una forte passione anche da parte di una donna più giovane, altrettanto meravigliosa e altrettanto arrogante. Gli amori di questo romanzo sono amori particolari, non si capisce di che tipo di amore si tratta.
Lev’ Nicolaic Myskin è un "idiota", nel senso che, non solo è affetto da una malattia mentale, ma perché è buono, ingenuo, solidale, nonostante sia un discendente aristocratico, non ha problemi a discutere con i servi, con uno dei quali intraprenderà un lungo discorso contro la pena di morte, ritenendola addirittura, paradossalmente, peggio di una tortura: almeno sotto tortura puoi sempre sperare di salvarti, hai tempo per pentirti. Con la pena di morte invece, la morte è certa, non puoi scappare (salvo la grazia) e tu lo sai. Parla del caso di un uomo che è stato graziato (probabilmente parla dello stesso Dostoevskij, poiché anche lui era stato condannato a morte e poi graziato) e che potrebbe raccontare ciò che si prova a essere condannati.
Il principe è considerato, per la sua bontà, una specie di santo, un angelo, un “frammento del Cristo”, ama i bambini, dice addirittura che gli adulti hanno molto da imparare da essi, ma ama anche le persone che soffrono, ragion per cui, quando era in Europa, è stato costretto ad alzare le mani sui bambini che deridevano e umiliavano una povera ragazza tisica.
Nonostante sia considerato un idiota, dimostra una sapienza e un’intelligenza addirittura superiore a tutti quelli che lo circondano, poiché egli ama riflettere e sa di essere ritenuto un idiota.
"Che razza di idiota sono" dice "se so che mi si considera un idiota?". E’ un personaggio al quale, non meno di Raskolnikov in "Delitto e Castigo", ci si affeziona. Si provano le sue stesse sofferenze, le stesse passioni, le stesse emozioni, come se le vivessimo insieme a lui. L’Idiota è un romanzo dai messaggi profondi, con un finale commovente, forse inaspettato... o forse no.
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Bella recensione. L’invito di Hess alla lettura di questo scrittore, a condizione di avvertire la sofferenza esistenziale, mi sembra davvero azzeccata. Il Principe vive nell’attimo dello splendore dell’eternità, un nano minuto, ai bordi della follia e del traffico comune delle meschinità quotidiane che lo attorniano. Chi viene colpito dalla sua luce è costretto, volente o nolente, a rivelarsi nella propria miseria, di cui il Principe si assume tutta la compassione possibile, senza che per ciò, le esistenze così rivelate a se stesse, siano rendente dalla disperazione che esse stesse, prima e dopo di quella rivelazione, continuano a dissimulare. Perciò lo splendore del Principe, la sua bontà ingenua, fagocita il male, che di per sé teme di essere riconosciuto come tale e soprattutto teme lo stesso splendore (sarebbe interessante a questo proposito un paragone con il demoniaco in Kierkegaard nel suo Concetto dell’angoscia).
La logica comunque che ne consegue è che il mondo non è degno del bene, e in più ne potrebbe essere annientato, perché col male ci convive e sa come mercanteggiare, mentre il bene (lo splendore) spiazza e angoscia. Perciò il Principe della luce dovrà ritornare nella sua follia da cui era emerso, perché il mondo possa continuare in pace a vivere nella sua miseria, senza possibilità di redenzione.
Non ho la competenza per recensire Dostoevskij, ma posso esprimere un parere personale sperando di essere utile ai lettori del mio stesso livello culturale. A suo tempo il mio entusiasmo per il grande scrittore russo era incontenibile, e avrei condiviso incondizionatamente i consigli di Hess; ma a distanza di tanti anni, la rilettura mi ha deluso. Troppo logorroici i personaggi, gran parte della drammaticità è affidata alla loro voglia di ascoltarsi ed essere ascoltati: ma se certi dialoghi raggiungono le vette dell’arte - Muskin/Rogojin, Hippolite, Nastasja Filippovna/ Miskin solo come esempi - altri risultano piuttosto indigesti e poco comprensibili come i personaggi che li producono. Mi riferisco ad Aglaya e la sua famiglia, la sua noiosissima madre in primis, perennemente appiccicata alle figlie ormai adulte; il loro schizofrenico comportamento col protagonista che appesantisce la narrazione senza elementi drammatici che suscitino l’attenzione del lettore di oggi. E forse è questo il punto, il romanzo risulta ostico quando più s’immerge nella realtà sociale della Russia dell’epoca senza che - a differenza ad esempio delle Anime Morte - il lettore non venga edotto su certi particolari aspetti di quella società. Ciò detto, e ripeto ancora che trattasi di impressioni soggettive di un modesto lettore, l’Idiota rimane uno dei grandi monumenti della letteratura di tutti i tempi.