L’altra riva del Bosforo
- Autore: Theresa Révay
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: BEAT
Per Super Beat oggi 22 luglio in libreria L’altra riva del Bosforo (titolo originale: L’autre rive de Bosphore, tradotto da Roberto Boi), di Theresa Révay, parigina, una delle migliori autrici contemporanee di romanzi storici.
Stamboul, novembre 1918. “Ahmet, piccolo mio, dove sei?”. Nonostante le decine di stanze della casa fossero state passate al setaccio, il figlio di sette anni di Selim Bey e di Leyla era introvabile. Leyla era angosciata, perché era facile perdersi all’interno di quella città simile a un labirinto, martoriata da incendi devastanti e da violente scosse di terremoto. Stamboul simile a nessun’altra, “agognata da secoli”, nella quale le strade non erano più sicure e dove da mesi ormai i profughi affluivano da ogni parte, dall’Anatolia orientale, dalla Tracia, dalla Russia e dalla Grecia. La giovane donna rifletteva mentre cercava di far tacere i piagnistei della vecchia balia di Ahmet che adesso accudiva sua sorella, la piccola Perihan di cinque anni. Leyla era sicura che suo figlio fosse scappato per andare a vedere le navi da guerra degli Alleati che avevano appena gettato l’ancora nel Bosforo. Era percepibile tra gli abitanti lo sdegno per quell’invasione d’infedeli, inglesi, francesi, italiani e greci. Gli ottomani avevano perso la guerra firmando il 30 ottobre “un armistizio abborracciato” con gli inglesi. La Grande Guerra era terminata, l’Impero Ottomano si stava sfaldando. Leyla “aveva l’impressione che il suo popolo non riuscisse a smettere di soffrire”. La madre di Ahmet aveva iniziato a cercare il bambino per le vie e i vicoli di Stamboul, fino al momento nel quale come spesso accadeva in quella città capricciosa, tra le abitazioni si era aperto un varco inatteso, rivelando l’estensione del Bosforo e la sponda asiatica. Il mare era scomparso sotto una massa compatta di una cinquantina di navi da guerra, i cannoni puntati verso le case. Le corazzate immobili e inflessibili bloccavano il passaggio dei piroscafi e dei caicchi che abitualmente attraversavano il Bosforo da una sponda all’altra. Mentre Leyla sconsolata tornava a casa in ansia al pensiero di rivelare a suo marito che il loro figlio era scomparso, Selim Bey, segretario di Sua Maestà Imperiale, si trovava a Palazzo, convocato all’alba per fare il punto della situazione che si presentava più disastrosa del previsto. La resa incondizionata metteva l’Impero in ginocchio, il popolo turco dalle lontane origini nomadi che non aveva paura di reinventarsi la vita, era prostrato. Ma “nelle zone arcane del potere ciascuno ormai aveva in testa una sola idea: salvare la pelle”. A Selim Bey era stato imposto di lasciare la casa nella quale era nato e vissuto finora.
“La nostra casa è stata requisita da un ufficiale francese, un certo comandante Louis Gardelle. Abbiamo quarantott’ore per trasferirci”.
Grande sarebbe stata la sorpresa quando di lì a poco lo stesso Capitano di fregata si sarebbe presentato a casa di Selim Bey insieme al piccolo Ahmet.
“Louis Gardelle teneva il naso appiccicato al finestrino per ammirare le cupole e i minareti che si stagliavano contro il cielo azzurro. Costantinopoli! Finalmente!”.
Dopo Le luci bianche di Parigi, l’autrice compone un magnifico affresco storico protagonista Stamboul, città cosmopolita, enigmatica, febbrile attraversata dalle pericolose correnti del Bosforo, radicata sul continente europeo che per quasi mille anni aveva incarnato le speranze di un impero cristiano. Ma Stamboul
“era orientale nella mente e nel cuore perché la vicinanza dell’Asia esercitava sulla città un fascino irresistibile”.
Nel romanzo s’incastrano alla perfezione personaggi di fantasia e reali come Mustafa Kemal Ataturk (Salonicco 1881-Istanbul 1938), futuro padre della Turchia moderna, l’eroe di Gallipoli il cui coraggio sul campo è fuori dal comune, che vede l’armistizio non come la fine ma come l’inizio di una futura indipendenza del popolo turco.
“La Turchia deve raccogliersi nei suoi confini naturali e concentrarsi sulla sua stessa essenza. È una questione di sopravvivenza”.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: L’altra riva del Bosforo
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