L’amore, d’improvviso
- Autore: Aharon Appelfeld
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Guanda
- Anno di pubblicazione: 2011
Un canto a due voci. Così potrebbe essere definito il romanzo "L’amore, d’improvviso" dello scrittore israeliano Aharon Appelfeld, pubblicato in Patria nel 2003 e uscito nel 2011 presso Guanda Editore, con l’affascinante traduzione di Elena Loewenthal. Una vicenda semplice all’apparenza, in realtà complessa e sofferta come tutte le autentiche storie d’amore, intrecciata in una trama fitta dove, in filigrana, ritrovi tanti riferimenti all’Autore, dal punto di vista sia delle esperienze vissute, che delle modalità espressive da lui adottate.
I protagonisti sono Ernest e Irena. Ernest (Blumenfeld), 70 anni, è un consulente finanziario in pensione. Arruolatosi nell’Armata Rossa durante la Seconda Guerra Mondiale, lascia la natìa Czernowitz, in Bucovina; successivamente approda in Italia, da dove riparte per giungere in Israele su una nave di profughi. Nel Paese d’origine ha perduto tutta la sua famiglia. Uomo ancora piacente, è peraltro reduce da un grave intervento chirurgico e necessita di assistenza. La sua strada s’incrocia con quella della giovane Irena, di origine tedesca, da lui assunta come governante e alla quale si rivolge in tedesco. Malgrado, ad un certo punto, per Ernest il tedesco fosse divenuto il linguaggio degli assassini e degli oppressori, esso è pur sempre la lingua materna, quella
“in [cui] parlavo con i miei genitori… in questa lingua ho letto i miei primi libri, e solo in questa lingua ho la forza di scrivere”.
Tuttavia a volte scappa l’esclamazione in yiddish e può pure accadere che due o tre frasi in ebraico tentino di far valere i loro diritti.
Anzi, a proposito del linguaggio dei Padri, l’autore ci dice che Ernest ammette tra sé e sé di invidiare tutti coloro che il destino
”ha reso degni dell’antica lingua ebraica, nelle cui radici è posta l’essenza primigenia… l’ebraico è il Monte Nebo cui (Blumenfeld) non arriverà mai e tuttavia non passa giorno senza un capitolo della Bibbia…”.
Irena ha la metà dei suoi anni. E’ nata dopo la Liberazione in un campo di smistamento presso Francoforte da madre e padre ebrei molto religiosi, ai quali è rimasta profondamente legata anche dopo la loro morte. All’inizio della nostra storia lavora presso Ernest da circa due anni.
Alla sera torna al vicino quartiere Qatamon di Gerusalemme, nella casa dove era cresciuta e vissuta sempre, ancora tanto piena della presenza dei genitori, al punto che ella, una volta al mese, estrae dall’armadio, nel quale sono riposti, i loro vestiti per metterli in ordine ed essere così partecipe di quella vita, pur inanimata.
E’ piccola, timida e silenziosa, anzi Ernest, all’inizio, è quasi infastidito dalla sua riservatezza, poi comincia ad abituarsi a tale insolita presenza. Ben presto Irena comprende che il problema, il campo di battaglia di Ernest è la scrittura. Dopo essersi ritirato dall’attività lavorativa, l’uomo aspira a diventare un vero scrittore, non intende restare uno scribacchino dilettante. E’ puntiglioso, insoddisfatto; ha scritto ben tre libri, da lui non ritenuti degni di essere pubblicati e perciò distrutti. E’ dotato di forte senso critico, capace di restare ore su una frase o una parola. Dedica alla sua passione/tormento diverse ore della giornata e, per lo più, le notti, notti terribili, popolate dai fantasmi del passato, in primo luogo dei genitori. Ernest si era distaccato giovanissimo da loro, piccoli commercianti ebrei, silenziosi e riservati, tanto che il ragazzo ben presto si era creato un suo mondo interiore attraverso la lettura, praticata non solo in tedesco, ma anche in rumeno e talora in francese. Il doloroso distacco era avvenuto in modo definitivo verso i diciassette anni, ma era iniziato cinque anni addietro con l’adesione di lui al Partito Comunista. Il rapporto non risolto con i genitori (uccisi dai soldati romeni, efficienti complici dei tedeschi) è causa di profondo dolore per il protagonista poiché gli impedisce di guardare alla vita con serenità, liberando quelle possenti energie che egli sente dentro di sé e che vorrebbe esprimere con la scrittura, non riuscendovi, poiché esse giacciono in fondo ad un abisso di dolore e di disperazione. Il potere dei ricordi è forte anche in Irena: la sua fantasia era fervida durante la prima giovinezza, tanto da immaginare con dovizia di particolari il mondo in cui erano vissuti i nonni (uccisi dai tedeschi), ovviamente mai conosciuti. Ricerca la storia dei genitori, i quali ben poco le hanno raccontato.
“..Se avesse saputo quello che (essi) avevano passato, li avrebbe amati ancora di più. Le persone che sono state ad Auschwitz bisogna portarle in palmo di mano e amarle mattina, pomeriggio e sera…si disse una volta…”
Affronta con impegno gli scritti di importanti testimoni (come Primo Levi), sia per far propria la tragedia della Shoah, sia perché immagina che tali letture l’aiutino a comprendere meglio gli sforzi di Ernest.
Qual è il legame che unisce i due protagonisti?
L’equilibrio interiore e il totale coinvolgimento di lei nella creazione letteraria di lui, uniti ad un clima di serenità costruito giorno dopo giorno dalla donna con amore ed attenzione, la capacità d’immedesimazione di Irena, rimasta profondamente legata ai propri genitori, portano Ernest a riannodare i fili con il passato. Il protagonista riesce così a raggiungere, tappa dopo tappa, quella prosa chiara ed essenziale, caratteristica di Appelfeld, e a diventare uno scrittore autentico, poiché ha “scoperto una fonte d’acqua viva che sgorga dentro di sé”. Ritornano il mondo magico dei Carpazi, le vacanze estive negli anni dell’infanzia presso Nonno e Nonna, figure indimenticabili, ricche di umanità e fede, l’armonia tra esseri umani e animali, dove i secondi non venivano mai sfruttati, né vessati dai primi; e senza dimenticare l’antigiudaismo spontaneo, certo alla fine odioso, ma talvolta quasi privo di malizia, emergente qua e là tra i contadini cristiani. Un Universo distrutto dal Male, ora riguadagnato al suo cuore. Miracoli dell’amore contro gli spiriti maligni della vecchiaia e della malattia inesorabile che non dà tregua, combattuta però con costanza e decisione proprio grazie alla scrittura, la battaglia contro l’Angelo della Morte che sembra attendere in agguato dietro la finestra.
Il romanzo, scandito secondo capitoli brevi, ben scolpiti nella memoria perché espressi in uno stile scorrevole e coinvolgente, si sviluppa in una prosa limpida, ricca di sfumature, come quella conquistata dal protagonista, ed è una Summa della poetica espressa da Appelfeld. Il rapporto con la Scrittura e, in primo luogo, la cura per le frasi brevi, il non indulgere con gli aggettivi, il saper apprezzare il Silenzio:
“Durante la guerra non si parlava; nel ghetto e nel campo di concentramento solo coloro che impazzivano parlavano”.
In un’intervista di alcuni anni fa Aharon dichiarava: “Non si può essere artisti senza l’ingenuità di un bambino, all’arte infatti viene richiesta una profondità mitologica primaria, il resto è accessorio, conseguente. La mia scrittura deriva da ciò che ho visto da bambino e la gran parte dei miei personaggi ha un legame col divino, magari inconsapevole”. A ciò si lega l’importanza, per la sua formazione, dello studio della Bibbia: la Bibbia, queste sono all’incirca le parole dello scrittore, elenca i fatti con un linguaggio all’apparenza minimalista, in grado di trasmettere il Divino senza parlarne in modo diretto. Accanto a Ernest Irena comprende come scrivere sia “far riemergere cose dall’oblio” e per questo ella torna a leggere "Per il tuo sangue la mia vita", il diario di Leib Rochman, un giornalista ebreo polacco, il quale, negli anni della guerra, insieme con la moglie Ester, la cognata Tziporah e il cognato Efraim, si era salvato da sicura morte perché una coraggiosa prostituta polacca, Ciotka (Zia), li aveva accolti nel suo appartamento, nascondendoli dietro ad una parete. Un commovente ritrovarsi.
L'amore, d'improvviso
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: L’amore, d’improvviso
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