L’apparire del bello. Nascita di un’idea
- Autore: Umberto Curi
- Genere: Filosofia e Sociologia
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Bollati Boringhieri
- Anno di pubblicazione: 2013
Vallo a spiegare ai coatti del body building o alle forzate del botulino che la bellezza c’entra poco con la “forma” ma trattasi di concetto ben più esteso, immateriale, stratificato, intangibile, intorno al quale si sono arrovellati fior fior di pensatori, mica dei Fabrizio Corona qualunque. Ecco qualche esempio riconducibile alla Grecia dei padri nobili della filosofia:
- per la poetessa Saffo bello è tutto ciò che appare come “integro” (e va beh, qui il richiamo alla fisicità ci potrebbe anche stare);
- per Omero è bello ciò che più è “audace”;
- per Erodoto, addirittura, morire prima della propria discendenza è bello o in alternativa ambire a una ‘bella morte’, soprattutto se acquisita in battaglia, combattendo per la Patria.
Con la nozione di bellezza occorre, dunque, andarci piano, intrinseca come sarebbe, ancora per qualcuno, al "Giusto" e al “Vero”, o come per gli idealisti Platone (prima) e Plotino (poi) coincidente con l’intellegibile. Siamo solo l’ombra della luce, possiamo tradurre ulteriormente, nel nostro piccolo, con Franco Battiato.
Fine dell’inciso, arrivo al sodo del libro che si intitola “L’apparire del bello. Nascita di un’idea” di Umberto Curi (per i Temi di Bollati Boringhieri, 2013) ed è un saggio di impianto e spessore accademici che fa le pulci (se mi si passa il termine non proprio oxfordiano) proprio al concetto di bello, dalle origini (il mondo classico greco-latino) fino agli angeli rilkiani, evocativo compendio di armonia in sé (“Perché nulla è il bello, se non l’emergenza/ del tremendo: forse possiamo reggerlo ancora,/ ed ammirarlo anche, perché indifferente/ non degna distruggerci./ Sono gli angeli tutti tremendi”). Una disamina filosofica che si dipana entro due poli dicotomici:
- il primo che identifica il bello con la pienezza, con la simmetria delle parti che costituiscono l’intero;
- il secondo che lo concepisce come “quella luce che si rivela nelle cose limitate e sensibili, ma che in esse non si esaurisce, e anzi che in se stessa richiede che quelle cose sensibili, quelle bellezze sensibili vengano trascese e superate” (pag. 95). E’ la manifestazione di “un’ambivalenza insuperabile (…) la rivelazione di uno scandalo (…) l’emergenza di una contraddizione, che tuttavia scalda il cuore e ci consola”.
Il lavoro di Umberto Curi (professore emerito di Storia della Filosofia all’Università di Padova) è denso, corposo, puntuale, ma privo di quegli sterili accademismi che spesso reificano la trattazione scientifica in mero esercizio di erudizione. Costa appena 11,50 euro e si presta a svariati punti di riflessioni necessari, data la nonchalance con la quale, spesso e volentieri, si abusa del concetto di bellezza e dei suoi derivati.
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