L’archivista
- Autore: Martha Cooley
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Guanda
Rileggere un libro amato e uscito in libreria più di vent’anni fa ripropone le stesse emozioni ed è sorprendente sentirsi di nuovo coinvolta in una storia, anzi in due storie, che parlano di identità, fede e sentimenti. L’archivista (Guanda, 1998, traduzione di Barbara Lombatti) è il primo romanzo della scrittrice Martha Cooley, che, dopo aver studiato a Hartford nel Connecticut e all’Università di Warwick in Gran Bretagna, insegna scrittura creativa all’università di Boston. Ha lavorato come editor a Boston e Washington, e vive a Brooklyn.
Matthias, per tutti Matt, archivista e bibliotecario sessantenne in un’Università privata vicino New York, è per gli studenti del primo anno del Campus il signor Lane, per i laureati un uomo simile a un dio, custode di innumerevoli oggetti del desiderio. Sovrintende dal 1965 a una collezione di libri rari, manoscritti, taccuini e lettere di personaggi illustri; conosce il posto di ogni cosa ed è soddisfatto del suo lavoro. I libri sono stati sempre il suo rifugio da quando era bambino.
“Da bambino avevo decine di libri. Per il mio decimo compleanno, mio padre mi costruì una libreria. Occupava un’intera parete della mia camera da letto, e per me era preziosa quasi quanto i libri che sistemavo con ordine sopra i suoi tre ripiani."
Roberta Spire, una giovane donna dagli occhi grandi dal colore grigioverde come quelli della sua amata moglie Judith, gli chiese di alcune lettere di T.S. Eliot. Matt le lesse sul volto qualcosa d’altro, sembrava evocare proprio una poesia di Eliot che gli fece ricordare sua moglie morta vent’anni prima.
Judith, alta, capelli scuri corti, pelle morbida e splendente, era stata la donna che aveva tirato fuori la sua parte migliore. Insieme avevano l’abitudine di leggere Eliot ad alta voce, “amavano le efficaci contraddizioni e la sua maniera autorevole di enunciare un paradosso”. Le lettere che Roberta vorrebbe visionare sono custodite e sigillate, lasciate in eredità alla biblioteca, con la clausola di essere esposte al pubblico dopo il 2020.
“Nelle biblioteche vigono determinate regole e i bibliotecari le osservano in modo che i loro lettori possano trovare ciò che cercano. Un buon archivista rende ai lettori il servizio migliore mantenendo, durante la ricerca, un equilibrio tra empatia e distanza."
Negli anni Trenta e Quaranta il poeta viveva a Londra e scrisse tantissime lettere all’americana Emily Hale, per quasi vent’anni. Quando Eliot le scriveva stava vivendo profondi turbamenti e sconvolgimenti nella sua vita. Sua moglie Vivienne, malata da tempo, venne ricoverata in un sanatorio, dove rimase fino alla sua morte, e in seguito Eliot si convertì alla Chiesa d’Inghilterra.
Roberta è una giovane studentessa al secondo anno del corso di scrittura e la sua richiesta per quelle lettere era molto personale; aveva interesse alla conoscenza di esperienze sulla conversione religiosa. Tra le righe scritte da Eliot avrebbe voluto leggere il suo cenno di rimorso nei riguardi della moglie Vivienne e conoscere la sua conversione sia psicologicamente che emozionalmente. Roberta non ha superato la scelta della sua famiglia in un periodo tragico della storia del mondo a una nuova fede, e si chiedeva continuamente se la loro conversione non fosse stata un mezzo per sfuggire al dolore e alle traversie della vita.
“A vent’anni i miei genitori si convertirono al cristianesimo. Prima erano ebrei, a Berlino, ma dopo essere fuggiti dalla Germania ed essere emigrati in America si convertirono alla Chiesa riformata d’Olanda."
La loro scelta l’aveva subita e non la comprendeva, non si poteva negare ciò che si è stati, “qualcosa che ti sta attaccato addosso e non si può cambiare con un atto di volontà”. La sua famiglia aveva voluto dimenticare il passato e le proprie origini.
La storia di Roberta, le sue domande e le sue considerazioni apriranno capitoli dolorosi della vita di Matthias. Sia Roberta che la moglie di Matt, Judith, avevano origini europee ed erano ebree, e le loro famiglie avevano protetto le loro identità con il cambiamento religioso e culturale. Judith non aveva mai superato, dopo la fine della guerra, gli orrori dell’Olocausto e aveva ricercato con abnegazione le documentazioni delle atrocità naziste, definendosi “un’archivista del male”.
In balia della depressione, dopo essere entrata in un istituto psichiatrico si suicidò in preda a una profonda disperazione. L’Olocausto le aveva cancellato ogni possibilità di essere una donna felice. L’antisemitismo e la fede in un mondo post Olocausto sono le domande centrali del romanzo, il filo rosso delle due storie che sembrano a un certo punto proseguire nella stessa direzione.
L’archivista è una lettura suggestiva, che indaga sul senso di colpa, sulle identità religiose e sui loro conflitti — non a caso le due religioni indagate sono il cristianesimo e l’ebraismo (i cristiani sono stati lungamente ritenuti responsabili del silenzio sull’Olocausto). Ma diviene ancor più coinvolgente quando l’autrice narrerà dei protagonisti, entrando nella loro psiche, raccontando con grande maestria la paura di amare e l’incomunicabilità affettiva.
L'archivista
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