L’arma che inganna. La mimetizzazione negli eserciti della Grande Guerra: arte, ingegno e industria
- Autore: Fabio Montella
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2022
Per secoli, le armate hanno cercato di mostrarsi sui campi di battaglia, di ostentare la propria forza, di adottare artifici per moltiplicare quella effettiva, impressionando il nemico con suoni, insegne e uomini abbigliati vistosamente. Indietro tutta, invece, cento anni fa e poco più: la priorità è diventata sottrarsi all’osservazione nemica, occultare reparti, armi pesanti e posizioni.
Per il marchio Tralerighe Libri di Lucca, Fabio Montella ha sviluppato un lavoro esaustivo nel saggio L’arma che inganna. La mimetizzazione negli eserciti della Grande Guerra: arte, ingegno e industria, edito a febbraio 2022 (168 pagine) con un’appendice documentale e di tavole, disegni, immagini fotografiche in bianco e nero.
Nella saggistica italiana specializzata, che sviluppa temi bellici relativamente recenti, mancava un saggio che si occupasse di camouflage, attraverso approfondimenti analitici su materiali d’archivio in gran parte mai esaminati e anche su testi inglesi e francesi.
Tralerighe è una casa editrice indipendente fondata nel 2013 dal ricercatore storico e saggista lucchese Andrea Giannasi. Pubblica memorie, diari, saggi e romanzi storici legati soprattutto al 1900. Considera i libri una “pietra d’angolo”, parte delle fondamenta su cui le generazioni passate sono cresciute e quelle presenti e future dovrebbero necessariamente formarsi.
Fabio Montella è uno specialista, un ricercatore altrettanto indipendente. Laureato in scienze politiche, giornalista, è attratto dalla storia sociale e politica degli ultimi due secoli, con particolare riguardo alla Grande Guerra, all’antifascismo e alle migrazioni. Nel 2021 ha ben figurato nel Premio di studio dell’Istituto mantovano di storia contemporanea, classificandosi al terzo posto.
L’esigenza di nascondersi si affermò prepotentemente nel Primo conflitto mondiale. A cogliere le potenzialità della mimetizzazione furono gli ufficiali dell’esercito francese. Fin dai primi giorni di ostilità, nell’agosto 1914, due pittori artiglieri transalpini cominciarono a nascondere i cannoni nell’ambiente circostante, per sottrarre le postazioni al fuoco di controbatteria avversario. Rami, fronde e teli dipinti con i colori dei luoghi permettevano di celarsi al nemico e i serventi venivano invitati a indossare cappotti in tinta col terreno, per coprire le vistose giacche blu ottocentesche e gli sgargianti pantaloni rossi con i quali i soldati francesi erano entrati in guerra. Non a caso, i poilus subirono perdite spaventose finché non venne adottata una uniforme meno appariscente, che li distinguesse dal terreno e dal fango. Ci si confondeva con la terra per non finire sotto terra.
Mentre l’Armée de terre investiva risorse e uomini, il Comando supremo italiano prendeva tempo. Si adeguò con un certo ritardo, solo quando afferrò l’utilità di osservare il nemico cercando di non farsi osservare.
Dissimulare efficacemente uomini e mezzi nella natura, coprire i concentramenti di truppe e i movimenti si rivelò fondamentale in una guerra statica, ancorata alle trincee.
Montella osserva che il mimetismo, pagina poco nota del conflitto, si colloca tra la sperimentazione e l’adattamento di materiali usati da secoli, tra la tecnica e la creatività. Per raggiungere questi obiettivi primari per la sopravvivenza degli eserciti, divennero indispensabili specialisti, tecnici e anche manodopera, una vera industria del camuffamento: capitali, forza lavoro, tecnologie, officine e aziende di produzione.
Se nascondersi al nemico era stato considerato da codardi, fino ad allora, occultarsi era diventato di colpo la normalità, per salvare materiali bellici e vite.
“Camuffare” venne usato come sinonimo di “mascherare” e anche di mimetizzare, ma sono termini da tenere distinti. Il mascheramento creava schermi artificiali per disturbare la rilevazione. La mimetizzazione faceva sembrare uniformi, mezzi e attrezzature qualcosa di diverso. Mascherare significava essenzialmente nascondere; mimetizzare intendeva far somigliare ad altro, dissimulare.
Con una scenografia di guerra, si fingevano trincee e sterri inesistenti, per ingannare il nemico e indurlo a sprecare munizioni contro un bersaglio falso. Le vere posizioni, invece, venivano nascoste rendendole apparentemente altro e innocuo, con il sapiente uso di murature, siepi, terrapieni, lamiere, paglia, cespugli, pannelli, teli e quant’altro di fantasioso.
Si difendevano i tratti più battuti di una strada fingendo il passaggio in un punto lontano, con mascheramenti uguali e ben visibili, mentre il vero percorso veniva dissimulato da materiali artefatti in modo da renderli indistinguibili dal terreno attorno, roccioso, prativo o boscoso.
Alla fine degli anni Settanta del Novecento, in un volume sul mascheramento bellico, Guy Harteup ha precisato che:
Dal punto di vista militare il camouflage è meglio definito schermatura.
Quanto all’occultamento, quello che si vuole celare viene sottratto alla vista fondendolo al paesaggio con mezzi naturali o artificiali. Il depistaggio può tendere a fuorviare sulla propria intenzione, a dare una falsa idea di forza, a distogliere l’attenzione da un vero attacco. “Schermare” include fare assumere la forma di false creste, muri o siepi. “Ingannare” si estende alla trasmissione di false informazioni o alla diffusione di falsi ordini di operazione e di battaglia.
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