L’attenzione
- Autore: Angelo Andreotti
- Categoria: Poesia
- Anno di pubblicazione: 2019
A ridosso della morte, dicono i biografi, Goethe disegnò con le dita la doppia W sopra la coperta del suo letto, e mormorò: "Mehr Licht", "più luce". La W nella lingua tedesca è l’iniziale della parola mondo. Egli aveva trovato il modo di fondersi con il Tutto e in tale comunione la luce si era moltiplicata. Luce di conoscenza e luce di felicità, se pensiamo al finale del Faust, il "coro mistico" nel quale la caducità diventa eterna presenza, anima del mondo, simbolizzata dall’ "eterno femminino".
Nel leggere il libro di poesia L’attenzione di Angelo Andreotti (Puntoacapo editrice, 2019, pp. 92), prefazione di Antonio Prete, più procedevo nel gustare i versi, più si faceva nitido in me l’accostamento a quelli conclusivi di Goethe. L’impressione che il senso fosse il medesimo in entrambi è stata confermata dalla citazione di Simone Weil che l’autore ha voluto porre come sigillo al suo libro. Recita Weil:
"L’attenzione è la forma più rara e più pura della generosità.
A pochissimi spiriti è dato scoprire che le cose e gli esseri
esistono. Fin dalla mia infanzia non desidero altro che averne ricevuto, prima di morire, la piena rivelazione.”
La stessa preoccupazione attraversa questa silloge e ne costituisce la poetica. Infatti: "Abita il mondo" esorta Andreotti con un linguaggio delicatissimo, a tratti quasi etereo. Si avverte in lui il timore di imprimere un graffio alle cose. Egli esprime rispetto profondo verso quanto contempla e il vedere, lo sguardo occupano un posto centrale nel suo dettato. Essere attenti è il mezzo affinché la comunione, l’abbraccio diventino realtà. Non diversamente la concentrazione è il cuore di ogni tecnica meditativa. La conoscenza autentica è fusione, identificazione, caduta della distanza tra soggetto e oggetto, con un movimento sincronico di dare avere attenzione. Splendida l’immagine dell’albero che gioisce nell’essere visto ma noi stessi, il poeta per noi, vive della stessa gioia di riceve a sua volta lo sguardo:
"Tu guardi il cielo / […] / e sai che gli alberi / prendono gioia dall’esser guardati. […] / Tu senti […] / però è la notte ad ascoltare te, / […] quando sei tu a prender gioia del mondo”.
Raccontato così, il veleggiare sembra un percorso piano, candido anzi ignaro, privo di ferite, del pungolo ineliminabile e pedagogico del dolore. Non è così. L’altra faccia del libro mostra con sofferta amarezza la mancanza generale di attenzione, divenuta cecità verso l’altro nei giorni vissuti in modo solipsistico, murato.
Il poeta sa con certezza che in ognuno alberga la belva, e la belva ha un nome preciso: indifferenza.
Il superamento, meglio la trasmutazione dell’essere è possibile attraverso la liberazione dei sensi, nella danza, recupero dell’elemento dionisiaco (Nietzsche):
“Ogni cosa ti tocca inafferrabile, / mentre le mani capienti del vento / ti prendono ti portano ti schivano / ti abbandonano all’impeto immobile / della danza, non oblio / ma turbamento per l’essere ovunque”.
Il vento, la luna sono presenze vive e continue. Sono la verità che cerchiamo, vicinissima eppure sfuggente.
Il ritrovarsi avviene in un gioco di contraddizioni che, unificate in continui ossimori, svelano il senso arcano del vivere. La sintesi è armonia, tensione di opposti che la poesia compone in unità, come nel bel verso “Chiarità della notte!”, o nell’intuizione della irrealtà del tempo che scorre, si perde, ma si riacquista nel non tempo interiore:
"Stringi il tempo per fermarlo / sebbene al tempo tu sia irrilevante. / Tu perdi / ma ciò che perdi lo acquisti vivendo.”
Saperlo, comprenderlo, essere attenti e dunque memori rispetto a ciò che pur si perde e può diventare oblio, è luce sapienziale. La poesia è mondo e anche altro, il mistero cercato/trovato, ciò che il mondo non rivela, o meglio vela nelle apparenze. Infatti nella lirica Niente sfugge leggiamo:
“Niente è vano, niente, / anche un respiro / o un’idea / da tempo nascosta in segreto / nel riparo che più non rammenti...”.
L’artista, citando Antonella Anedda, parla di una "minima luce" fruibile. Mi piace contraddirlo: egli sa conquistare una luce piena e ricca di pathos, di agape, di ritrovata goduta appartenenza alle cose, dopo aver attraversato la notte.
L’attenzione è far parte, essere nel Tutto è il senso, è il mezzo e il fine. Vi si arriva alla fine del libro, che inizia con una sezione di preludio dal titolo eloquente: Una soglia di senso. Sicuramente varcata.
L'attenzione
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