L’enigma dell’alfiere
- Autore: S.S. Van Dine
- Genere: Gialli, Noir, Thriller
- Categoria: Narrativa Straniera
- Anno di pubblicazione: 2011
S.S. Van Dine, pseudonimo di Willard Huntington Wright , è un famoso scrittore di gialli e critico d’arte statunitense, vissuto a cavallo tra il XIX e il XX secolo. Uno dei suoi capolavori è “L’enigma dell’alfiere”, giallo pubblicato nel 1928, il cui protagonista è Philo Vance, investigatore privato che ha reso celebre lo stesso autore. L’opera rientra in quello che viene definito il genere del whodunnit (“giallo deduttivo”), il cui iniziatore è stato Arthur Conan Doyle con il suo ben noto Sherlock Holmes.
S.S. Van Dine non ci pone al centro della storia un delitto, bensì una serie. Si tratta di omicidi, o apparenti suicidi, che sembrano animare, in modo a dir poco macabro, filastrocche per bambini contenute nel libro “Le filastrocche di Mamma Oca”. Ad aprire le “funeste danze” è la filastrocca di Cock Robin (“Pettirosso”):
“Chi ha ucciso il Pettirosso?”
E il passero: “Son io,
con la freccia e l’arco mio.
Io ho ucciso il pettirosso.”
Viene infatti ritrovato il cadavere del giovane J. Cochrane Robin, ucciso da una freccia che gli ha colpito il cuore. E, inaspettatamente, l’ultima persona ad essere stata vista in compagnia della vittima è un certo Sperling (in inglese, passero).
Il caso sembra toccare i limiti dell’assurdo: di impronte neanche l’ombra, non ci sono tracce, manca un movente, come del resto anche un reale indiziato; le ipotesi non sono altro che suggestioni indotte dalle affinità con il famoso libro di filastrocche. Il tutto sembra rivelarsi ancor più insensato quando il numero di cadaveri comincia ad aumentare, portando gli investigatori a credere che il mistero che vela questo delitto sia molto più complesso di quello che sembra.
Giallo avvincente che mette in risalto una mente particolare, deformata, la mente di un essere umano che, credendo nell’inutilità di una vita caduca, sia capace di perdere la cognizione dell’effettiva realtà, estraniandosi dalla stessa, per poter mettere in moto situazioni capaci di ridicolizzare l’uomo e il suo essere. L’intera narrazione sembra essere un continuo climax, ad ogni pagina aumenta la suspense che tiene il lettore incollato al libro. Si ha quasi l’impressione che Van Dine voglia fino all’ultimo indirizzarci sulla strada sbagliata, su viottoli che si intrecciano attraverso il cammino ma che non corrispondono alla via maestra che porterà alla soluzione del caso. Lo scrittore nasconde un asso nella manica che esibisce all’ultimo momento, lasciando sbigottito il lettore che si ritrova dinnanzi l’ennesimo colpo di scena.
“Torna sulla terra!” esclamò Markham aspro. “Questo non è un gioco da bambini. E’ una faccenda dannatamente seria.” Vance annuì distratto.
“I giochi dei bambini, a volte, sono la cosa più seria che si sia.” Pronunciò le parole con uno strano tono distante. “Non mi piace questa storia.. non mi piace per niente. C’è un che di fanciullesco, troppo – sa di bambino nato vecchio e con la mente malata. E’ come se ci fosse sotto una qualche ripugnante perversione.” [..] “Dammi i dettagli. Cerchiamo di capire a che punto siamo in questo strano mondo sottosopra.”
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