L’eredità dei vivi
- Autore: Federica Sgaggio
- Genere: Storie vere
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Marsilio
- Anno di pubblicazione: 2020
Raccontare il rapporto madre-figlia, quando la madre non c’è più, è una prova nella quale molte scrittrici provano a cimentarsi. È un tema delicato, che va nel profondo della sensibilità femminile, e la giornalista romanziera Federica Sgaggio lo affronta con coraggio, determinazione e talvolta spietatezza, raccontando nel romanzo autobiografico L’eredità dei vivi (Marsilio, 2020) la sua storia familiare, le sue origini, la sua difficile formazione all’interno di un nucleo devastato dalla nascita del fratello minore Francesco, gravemente disabile a causa di un incidente alla nascita.
Ma la grande protagonista della storia è Rosa, una donna dal carattere di ferro, dalla personalità eccentrica, dotata di coraggio e chiarezza di obiettivi. Così ce la racconta la figlia: per tutta la lunga vita di Rosa, emigrata al nord dal paesino campano di Solofra, al seguito del padre conciatore a Vicenza e poi a Verona, dove la famiglia Sgaggio si stabilisce, è scandita dalla varie fasi che contrappuntano una vita difficile.
Oltre ai temi di carattere personale, nel libro di Federica Sgaggio c’è la descrizione di uno spaccato sociale degli ultimi decenni del secolo scorso di grande interesse sociologico, politico oltre che umano. Il contrasto tra la cultura sociale, di costume, di cibi, di abitudini familiari del sud si confronta con quelle del nord est del paese: tra Solofra e Verona non ci sono solo distanze geografiche ma abissi di diversità che vengono raccontati attraverso aneddoti spesso gustosi. Rosa ha fatto solo la terza elementare, ma è una donna che ha fatto di una cultura pratica, tutta ancorata alla realtà che si trova ad affrontare quotidianamente, un punto di forza: suo figlio Francesco ha bisogno di lei, di sua sorella Federica, ma anche dei sostegni sociali, che mancano, o più spesso sono inadeguati perché venati di un razzismo strisciante nei confronti di una disabilità tanto grave. Quando una maestra chiede che il ragazzo sia allontanato dalla classe durante il dettato, perché i compagni non vedano “quella bruttura”, Rosa insorge con tutte le sue energie. Si confronta con le autorità sanitarie, con l’amministrazione della sanità pubblica con la forza della disperazione, senza mai arrendersi. Una battaglia emblematica la sua, sostenuta dalla figlia che le è sempre vicino, in una solidarietà commovente, che accompagna la vita delle due donne fino alla fine. Dopo che Rosa muore, a ottantuno anni, dopo che la figlia si è dedicata a lei con dedizione anche se da lontano, il vuoto lasciato dalla madre si fa sentire a lungo. “La morte non uccide le storie”, afferma la scrittrice, che non esita a citare nel suo bel romanzo tante parole, modi espressivi e atteggiamenti che hanno segnato la sua vita di ragazza:
“La Federica, invece, lo sapete bambini, ha un fratello spastico, poverina”.
Matti a parte – di loro si stava occupando Basaglia –, in quel tempo esistevano due sole categorie di Bipedi Guasti: gli “spastici”, eccoli, e i “mongoloidi”. L’ampliamento della tavola della nomenclatura riflette la nostra idea recente che le parole fanno male.
“Mia madre non mi parlerà mai più, e io temo di perdere le sue parole”.
L’eredità dei vivi è un romanzo di empatia, di parole, spesso quelle del dialetto campano, così efficaci e affettive, con cui Rosa continua a rivolgersi alla figlia veronese, irlandese, ricca di altri linguaggi e di altra cultura, eppure così legata alle radici, alla “eredità dei vivi”.
Qualunque donna adulta, e mi metto fra queste, abbia perso la propria madre, anche in età anziana, non potrà che confrontarsi con questo libro bello, profondo, originale nella forma narrativa, pieno di carnalità, di affettività, privo di retorica e di pietismo.
L'eredità dei vivi
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