L’esorcista
- Autore: William Peter Blatty
- Genere: Horror e Gotico
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Fazi
- Anno di pubblicazione: 2016
Chi legge “L’esorcista” lo fa a suo rischio e pericolo. “L’esorcista” di William Peter Blatty non è un romanzo dell’orrore come gli altri: quaranta lune (e passa) non sono bastate ad infiacchirne la vis disturbante. So che sono cose che si scrivono nelle recensioni di maniera, ma nel caso specifico è la verità bella e buona. “L’esorcista” è un romanzo infetto, se lo leggete una volta non ve ne potrete più liberare. Credo che la ragione risieda nella presa (mai più Blatty riuscirà a essere tanto ispirato), e nel fatto che graviti attorno al tema del Male nel modo implacabile con cui gli squali gravitano attorno alla preda prima dell’attacco. Il male de “L’esorcista” può leggersi peraltro come un mal(essere) lato, vetero-munchiano, intrinseco all’umanità più di quanto ci piaccia pensare. Date un’occhiata a quanto dice, a un certo punto del romanzo, il tenente Kinderman a Chris MacNeil, mamma della piccola “posseduta” Regan:
“Quando si vede, un giorno dopo l’altro, tutto il male che c’è in giro (…) Inverosimile. Incredibile. Pazzesco. Sa cosa ho detto a mia moglie, un paio di giorni fa? O forse qualche settimana fa, non ricordo. Le ho detto: ‘Mary, il mondo, il mondo intero è malato. Ha un enorme esaurimento nervoso. Tutto quanto. Il mondo al completo”.
Se non ci si limita soltanto all’aspetto paranormale della storia, si può notare come William Peter Blatty suggerisca quindi un’idea di Male estesa, trasversale, non necessariamente metafisica, non sempre e non solo altra da noi. Secondo questa accezione Regan MacNeil è da assumersi allora come un significante. Come un pretesto. Un catalizzatore universale. Il male che ne abita l’anima – prima ancora che il corpo - potrebbe trovare il suo tratto aggiuntivo in una frattura interiore, in un possibile segno traumatico (senso di colpa, tanatofobia o depressione procurata dall’abbandono del padre). Ne discende che Regan non ha altro luogo cui fuggire che da se stessa. Che lo si indichi col nome di Pazuzu (nella mitologia babilonese il demone degli spiriti malevoli dell’aria) o col nome di qualche psicopatologia (isteria? sindrome di personalità multipla? schizofrenia?), Regan ce l’ha dentro. Il male è in Regan e Regan è il male. L’adorabile figlia dell’attrice Chris MacNeil un brutto giorno diventa Pazuzu, e ci diventa senza apparente motivo. Detta senza altri succedanei, potrebbe succedere a chiunque: è questo che rende questo romanzo un romanzo destabilizzante. Il potenziale piano allargato del contagio (leggi infezione del Male) è l’aspetto più spaventoso de “L’esorcista”.
Data la fama di mainstream biblio/cinematografico di cui usufruisce non è il caso di proporne il ripasso della trama: “L’esorcista” di Blatty (da poco riapparso in libreria per la collana Darkside di Fazi Editore) è il romanzo dell’orrore per antonomasia: strizza l’occhio alle paure recondite dell’inconscio collettivo senza mai perdere di vista quelle legate ai piani del sociale e del reale. Messa in altro modo, parla del diavolo ma parla anche di noi in relazione al diavolo che è attorno a noi e in noi. “L’esorcista” è -ancora e per ciò - un romanzo tetro, irredento senza alcuna redenzione. Tolta la piccola Regan da cui il “demonio” richiama al conscio la mostruosità latente, non appare redenta sua madre (matrimonio fallito alle spalle, un ateismo mai metabolizzato fino in fondo, il lavoro di attrice che la soddisfa sempre meno), non appare redento il tenente Kinderman che si imbatterà giocoforza nel caso, né tantomeno padre Karras, il più giovane dei due esorcisti – studi di psichiatria, diversi dubbi e altrettanti fantasmi interiori. Regan MacNeil diviene quindi lo specchio oscuro di un’umanità senza fedi, un’umanità abbandonata a se stessa, nevrotica, disillusa, a sua volta corrotta o corruttibile, collusa col dolore causato e sperimentato.
“Come l’improvviso e fugace bagliore di soli che esplodono viene registrato soltanto nebulosamente dalle pupille di chi ha perso la vista, così l’inizio dell’orrore passò quasi inosservato e, nel tumulto di quanto avvenne in seguito fu, in effetti dimenticato. Forse non venne neanche messo in rapporto con l’orrore. Era difficile valutarne l’importanza” (Peter Blatty nel primo capitolo del romanzo).
La possessione di Regan avviene in sordina (è percepita in sordina), di rimando ai mutamenti (fisici, psicologici) specifici della fase pre-puberale (una sorta di punto di non-ritorno dell’età evolutiva). Ciò che ne “L’esorcista” riesce a Blatty in modo assai fluido è la coniugazione del contenuto traslato del romanzo con i più rodati meccanismi della suspense, esasperati fin quasi al parossismo. Dapprima attraverso l’impiego canonico dei topoi del perturbante (gli interni bui, i rumori in soffitta, la mobilia spostata, il ritrovamento della tavoletta oui-ja, la stanza di Regan insolitamente fredda), quindi convocando il lettore al rendèz vous con l’orrore vero e proprio (le manifestazioni sempre più eclatanti della possessione di Regan, le fitte pagine che ne raccontano gli esorcismi). Senza più alcuna rete di protezione dopo che anche l’estremo fortilizio della scienza ha ceduto (la nuova religione neuropsichiatrica posta dinnanzi al “caso Regan” ha fallito tutti i suoi tentativi). La bambina non è pazza (quanto meno non in senso canonico): il diavolo (il male) è nel suo corpo diventato altro con l’accesso alla fase puberale (ricordate l’incipit del posteriore “Carrie”, di Stephen King?). Il corpo di Regan è un corpo ormai sessuato, irriconoscibile, rivoltoso, sobillatore, impuro. Un corpo contaminato in maniera clamorosa dal DNA malefico di un mondo (adulto) in patologia. È anche alla luce di tutto ciò che lettura de “L’esorcista” si rivela un’esperienza spaventosa e memorabile al contempo (un po’ come trovarsi faccia a faccia con l’abisso ontologico), in grado di incidere a più livelli nel profondo di ciascuno. Mi viene in mente un’ultima raccomandazione per chi dovesse leggerlo per la prima volta in questa accurata edizione della Fazi: che crediate o meno al diavolo, questo non è un romanzo da sfogliare di notte o se siete soli in casa. Credetemi sulla parola, sarà meglio per voi.
L'esorcista
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