L’estate del cane nero di Francesco Carofiglio

Esiste un momento in cui si capisce di non essere più bambini, esiste un momento in cui non si sa se si è ancora bambini o se si è entrati in un’altra dimensione. Questo e altro ancora è "L’estate del cane nero".

Le radici pugliesi dell’autore picchiano duro in questa storia che odora di autobiografico perché molti, troppi particolari fanno pensare che lo scrittore abbia un po’ cucito su di sè il personaggio del protagonista ragazzino negli anni Settanta come lo era appunto Carofiglio junior in quegli anni ormai lontani.
Per il resto molto nella storia appartiene al vissuto di tanti: chi non ha avuto una cuginetta più grande e più carina, chi ingenuo ragazzino ha dovuto avere a che fare con quelli più svegli? E infine l’ignoto rappresentato da questo simbolico cane e i riti di passaggio con l’estate terra di mezzo, metafora di quell’essere nè carne nè pesce proprio di un ragazzo che sta crescendo e non sa se conviene giocare con i bambini o partecipare ai discorsi degli adulti.

Un racconto in prima persona che prende, avvince e che fa identificare a pieno il lettore sia esso uomo, donna o dell’età del protagonista. Scrittura lineare e quindi che raggiunge ognuno e descrizioni quasi cinematografiche perché in molte pagine sembra quasi che i personaggi si materializzino e prendano vita.
Lo scrittore mostra di avere una buona nozione della psiche adolescenziale perché il suo personaggio è vivo e realistico e presente nei turbamenti che ognuno ha provato in quell’età tanto felice quanto ingrata.
Malgrado non innovativo negli spunti narrativi in quanto l’adolescente in cerca, i riti di passaggio, l’estate sono presenti in molti altri intrecci similari, tuttavia il libro si distingue per lo stile proprio dello scrittore Carofiglio che ancora una volta mostra di aver saputo interiorizzare il gene della scrittura presente nella sua famiglia.