L’imitatore
- Autore: Nadine Matheson
- Genere: Gialli, Noir, Thriller
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Rizzoli
- Anno di pubblicazione: 2021
All’uscita di ogni nuovo esordio nella narrativa poliziesca, è naturale chiedersi quali siano i suoi punti di forza e gli elementi di originalità. Nadine Matheson – nata e cresciuta a Londra, dove lavora come avvocato penalista – si è inserita a pieno diritto in questo collaudato genere letterario con L’imitatore (Rizzoli, 2021, traduzione di Luisa Piussi e Isabella Zani), la prima indagine dell’ispettrice Anjelica Henley.
Nessun temporeggiamento da parte dell’autrice, che fin dalle prime righe descrive, in modo piuttosto realistico e crudo, il ritrovamento di resti umani, sparsi lungo gli argini del Tamigi, quasi a definire un “orrendo sentiero di briciole”.
Il caso, dato che le vittime sono almeno due, è di pertinenza della squadra Crimini Seriali, la cui sede provvisoria occupa, da ormai sei anni, il quarto piano della stazione di polizia di Greenwich, chiusa da tempo.
Il gruppo, dopo il suicidio del sovrintendente capo Harry Rhimes, avvenuto otto mesi prima, è gestito da Stephen Pellacia, e si occupa, visto che i serial killer non sono molto frequenti, anche di stupri, furti con scasso, sequestri di persona e qualsiasi caso considerato troppo complesso per le altre squadre investigative sparse in tutta Londra.
Del nucleo fanno parte l’agente Roxanne Eastwood, il sergente Paul Stanford, l’ispettrice Anjelica Henley e due civili: Ezra, ex detenuto ventitreenne, un genio del computer, e Joanna, la segretaria amministrativa, custode dei segreti di tutta la polizia metropolitana della capitale.
Anjelica ha da poco ripreso il lavoro sul campo dopo un periodo in servizio limitato dietro la scrivania. Ha dovuto guarire dalle gravi ferite inferte da un serial killer, Peter Olivier, prima di essere catturato: “il killer del seghetto”, sette vittime e un ergastolo da scontare per ognuna di esse – un caso che ha cambiato tutto e si è portato via un pezzo di lei.
Se dal punto di vista fisico, nonostante le cicatrici rimaste, sembra aver superato il trauma, psicologicamente è ancora fragile e teme un crollo:
“Sulla scena del crimine le si era riattivata la memoria muscolare: osservare i dintorni, notare cosa è familiare e cosa no, trattare tutto come una potenziale prova, elaborare un resoconto, mettere in sicurezza ogni elemento. Agli occhi del mondo era apparsa calma e padrona di sé, ma aveva il cuore in fibrillazione e lo stomaco stretto in una morsa”.
Il caso la coinvolge in modo profondo e diretto su più fronti, e non solo perché i resti sono stati abbandonati non lontano dai luoghi che conosce molto bene, perché è lì che è cresciuta e abita con il marito e la figlia.
Infatti, alcuni simboli incisi sui corpi delle vittime – conosciuti solo da chi è stato a diretto contatto con il caso del killer del seghetto – mettono in evidenza il chiaro legame fra Peter Olivier e il suo “imitatore”.
Inoltre, Anjelica non ha accettato il suicidio Harry Rhimes, che le ha lasciato un grande vuoto, e deve seguire l’addestramento dell’agente Salim Ramouter, “un pivello supergasato e completamente privo di esperienza”, con l’aria fresca e non ancora contaminata della dura quotidianità.
L’indagine è condizionata anche dai rapporti familiari piuttosto tesi: il padre di Anjelica, rimasto vedovo, è caduto in depressione e, chiuso in un isolamento forzato, non vuole avere a che fare con i figli e non accetta il loro aiuto. Il marito, invece, le rinfaccia ripetutamente di mettere il lavoro prima di tutto, di non avere mai tempo per lui e, soprattutto, per la piccola Emma.
Da parte sua, l’investigatrice:
“Si voltò a guardare la villetta a schiera con la porta azzurra pitturata di fresco e si domandò per l’ennesima volta come mai preferisse avere a che fare con stupratori e assassini piuttosto che con suo marito”.
L’unica persona in grado di fornire qualche informazione sul killer è proprio Peter Olivier, abile e carismatico manipolatore, ossessionato da Anjelica, che sperava di non doverlo più rivedere.
Così, mentre vengono trovati altri corpi e la squadra è sotto pressione, l’ispettrice deve interrogarlo in prigione, per capire come e perché il killer e le vittime sono a lui collegate, se è lo stesso Olivier che sta orchestrando gli omicidi dall’interno del carcere o se l’imitatore vuole mandare un messaggio a chi lo ha ispirato.
Quello di Anjelica è un personaggio femminile forte e complesso, imperfetto e vulnerabile, che sta facendo del suo meglio per mantenere il precario equilibrio fra vita privata e lavoro.
I sintomi del disturbo da stress post-traumatico, ben descritto da Nadine Matheson, si ripresentano spesso; prova sensi di colpa per il tempo sottratto alla figlia, ma sente che il suo impegno è necessario perché il mondo – che a volte sembra cospirare contro di lei – sia un posto migliore. Proprio perché occupa una posizione di rilievo nella Polizia, deve combattere contro la diffidenza e i pregiudizi suscitati dal suo essere donna e di colore.
Il rapporto tra Anjelica e Ramouter, il tirocinante che le è stato assegnato, all’inizio è fonte di forte irritazione, ma i due, conoscendosi meglio, scopriranno di avere molto in comune.
Anche i personaggi secondari – le cui storie si intrecciano nel passato come nel presente – vengono abilmente definiti dall’autrice: possiedono tratti unici anche se non sempre positivi, come il marito, un insopportabile egoista. La loro collocazione, ben precisa nella trama, li rende necessari allo sviluppo dell’intera vicenda.
Un altro dei punti di forza di questo romanzo è senza dubbio la dettagliata descrizione del lavoro investigativo di un’unità anticrimine, reso credibile anche dai dialoghi. Essi rafforzano l’identità dei personaggi, supportano l’azione e creano empatia, anche se non mancano imprevisti, scelte approssimative, ostacoli ed errori – alcuni piuttosto grossolani – nella valutazione dei fatti, con conseguenze devastanti per l’indagine.
Ritmo serrato e stile incalzante che non rinuncia a qualche dettaglio raccapricciante; colpi di scena, svolte inattese e apparentemente incomprensibili; atmosfera opprimente in cui la suspense è palpabile; un criminale freddo e diabolico e una protagonista determinata, ma nello stesso tempo bisognosa di aiuto: quello di Nadine Matheson è senza dubbio un esordio avvincente, le cui scene “visibili” e altamente pervase da una forza cinematografica potrebbero sicuramente candidarlo a diventare un film.
L'imitatore: La prima indagine dell'ispettrice Anjelica Henley
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