L’invetriata è una poesia di Dino Campana composta nel 1914 e appartenente ai Canti Orfici. I versi del poeta ne esprimono il disagio esistenziale attraverso l’immagine della sera, simbolo di disfacimento e corruzione. Dal punto di vista metrico, il componimento non presenta una metrica tradizionale, ma è fittamente tramato di figure retoriche e uniformità sonore.
Di seguito potete trovare testo, commento e analisi della poesia.
Testo
La sera fumosa d’estate
Dall’alta invetriata mesce chiarori nell’ombra
E mi lascia nel cuore un suggello ardente.
Ma chi ha (sul terrazzo sul fiume si accende una lampada) chi ha
A la Madonnina del Ponte chi è chi è che ha acceso la lampada? – c’è
Nella stanza un odor di putredine: c’è
Nella stanza una piaga rossa languente.
Le stelle sono bottoni di madreperla e la sera si veste di velluto:
E tremola la sera fatua: è fatua la sera e tremola ma c’è,
Nel cuore della sera c’è
Sempre una piaga rossa languente
(da Canti Orfici ed altri scritti)
Commento e interpretazione del testo
La sera dopo aver spento i bagliori del tramonto, cede alla notte. Il poeta, immerso nella luce cadente penetrata nella stanza attraverso “un’alta invetriata” (v. 2), si sente come ferito nel cuore dall’impronta ardente del sole.
Svanita la luce del giorno, qualcuno accende “sul terrazzo sul fiume” (v. 4) una lampada, ma la sera continua a morire lasciando intorno a sé “un odor di putredine” (v. 6), che invade la stanza prima illuminata dal suo chiarore.
La morte della sera non è che il suo fluire in una nuova dimensione coloristica, e l’ardore della sera si trasforma, infatti, nella luminescenza madreperlacea della notte: solo il rosso della ferita nel cuore del poeta ne ricorda il passato fulgore.
In questa lirica il poeta esprime il suo disagio esistenziale (legato anche a fatti autobiografici: una vita nomade, priva di radici, la malattia mentale che lo colpisce a più riprese) in un’immagine che gli è cara: quella della notte e del disfacimento, della corruzione di tutte le cose che essa, pur nella sua apparente bellezza, simboleggia. Nel rendere il disagio esistenziale tramite l’immagine-simbolo della sera, è dunque presente uno scarto semantico.
La lirica è vicina, per molti aspetti, al Simbolismo francese del secondo ottocento, in cui alla realtà si allude attraverso immagini, attraverso simboli che istituiscono nuovi rapporti tra la realtà esterna e l’intimo vissuto del poeta: così qui la luce rossa del tramonto diviene “una piaga rossa languente” (v. 7 e v. 11) presente insieme nel mondo e nel cuore del poeta.
Il tessuto della poesia è ordito soprattutto dal suo livello simbolico: la sera che muore lasciando nella stanza “un odor di putredine” (v. 6) è la trascrizione della condizione esistenziale del poeta, che sente venir meno in sé la pienezza della vita, travolta da un’oscura inquietudine. Per questo la sera è personificata, assumendo sensibilità, volontà e vanità umane: essa soffre per il suo svanire ("tremola la sera", v. 9) e si ammanta di bellezza ("la sera si veste di velluto", v. 8) al momento del suo dissolversi nella notte.
Le immagini di disfacimento e morte che scandiscono la poesia sono inoltre accompagnate da percezioni sensoriali visive e olfattive: i già citati "piaga rossa languente" e "odor di putredine" sono i due esempi cardine di questo procedimento.
Il poeta, immerso nella luce cadente penetrata nella stanza attraverso un’alta invetriata si sente come ferito nel cuore dall’impronta ardente del sole. Svanita la luce del giorno, qualcuno accende sul terrazzo sul fiume una lampada: l’oscurità della sera confonde però i colori delle cose e il poeta rivolge a se stesso domande destinate a rimanere senza risposte.
Analisi del testo e figure retoriche
Il testo, che non presenta uno schema metrico fisso e si compone di versi liberi, presenta una fitta trama di figure retoriche. Eccone alcune:
- "Dall’alta invetriata mesce chiarori nell’ombra" (v. 2): "mesce" è una personificazione e una metafora, poiché attribuisce caratteri e comportamenti umani a un elemento non animato e allo stesso tempo crea un gioco di rimandi per cui la sera, che fa penetrare il suo chiarore nell’ombra della stanza, appare come una persona che versa del liquido in un contenitore.
- "suggello ardente" (v. 3): metafora del profondo e lacerante dolore che brucia
- "chi" (vv. 4 e 5): ripetizione che rende l’affanno e l’insistenza delle domande del poeta ("chi ha?", "chi è?"), a loro volta simbolo di domande più grandi, che resteranno prive di risposta.
- "c’è" (vv. 6, 7, 10 e 11): epifora + fatta eccezione per il "c’è" presente al v. 10, seguito da una virgola, costituiscono tutti un enjambement con il verso successivo.
- "Nella stanza" (vv. 6 e 7): anafora
- "una piaga rossa languente" (vv. 7 e 11): metafora che paragona la luce rossa che si esaurisce a una ferita sanguinante. A un secondo livello, simbolico, la sera ferita rappresenta l’animo stesso del poeta, lacerato dalla luce rossa della sofferenza.
- "bottoni di madreperla" e "la sera si veste di velluto" (v. 9): metafora, che allude al colore cangiante delle stelle e all’oscurità compatta della notte, che tutto ricopre.
- "E tremola la sera fatua: è fatua la sera e tremola" (v. 9): chiasmo, che rovescia sintatticamente i due verbi.
La poesia è tramata da allitterazioni e particolarmente insistite sono le vocali e e a, che aprono i versi e rendono la dolcezza del tramonto, ma anche le consonanti s e r, che con il loro stridio sottolineano invece il dolore insito in quella dolcezza.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: L’invetriata: testo e analisi della poesia di Dino Campana
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