L’orto americano
- Autore: Pupi Avati
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Solferino Libri
- Anno di pubblicazione: 2023
Partito da una Bologna appena liberata dagli Alleati e giunto a Davenport, nello Stato americano dell’Ohio tra la tarda primavera del 1945 e l’estate del 1946, un ventenne che parla con le fotografie dei parenti defunti, e per questo ha trascorso due anni in un ospedale psichiatrico, occupa temporaneamente un piccolo appartamento affacciato sull’orto confinante con la casa di una famiglia di origini italiane. Il ventenne, protagonista de L’orto americano di Pupi Avati ( Solferino, 2023) è un autore in cerca di personaggi, ha scritto sei romanzi ancora inediti e in Ohio cerca ispirazione per una nuova storia, che sarà il suo romanzo americano. Lo vediamo intento a perimetrare lo spazio della sua nuova casa, posizionare i libri sugli scaffali, allacciare la radio all’antenna del casamento, nel suo nuovo inizio. Ben presto l’ordito del suo nuovo romanzo prende il volto e la consistenza di un ricordo, assumendo le fattezze di una ragazza americana di “assoluta bellezza” che un anno prima aveva intravisto dalla soglia di un salone di barbiere a Bologna quando costei si era affacciata per chiedere un’informazione stradale. Un attimo appena, ma fatale, bastante ad innamorarsi di quel volto indimenticabile, e delle infinite possibilità dell’amore, “che sanno creare l’impossibile”. Egli è infatti un ipersensibile flaneur del sentimento amoroso, che vagheggia e coltiva nelle sue fantasticherie con malinconica ossessione come un paese del sentito dire invulvato nel mistero del sesso.
Il ventenne è tuttavia uno scrittore, radicato consapevolmente nella sua vocazione, che lo lega eroticamente al dominio della morte. È convinto infatti che per scrivere delle belle storie occorra avere molti morti. Per questo non si separa mai dalle fotografie dei suoi avi defunti, con i quali, contravvenendo alle prescrizioni dei medici che lo hanno avuto in cura, continua a scambiare dialoghi silenti, scrutandone come uno spasimante i volti impassibili dalle cornici, come se da quell’apparente immobilità fossero proprio loro, i morti, a suggerirgli le storie da raccontare.
Poche ore dopo il suo arrivo, il giovane assiste a un litigio furente nella casa di fronte, e interviene per offrire aiuto all’anziana signora in carrozzella che è stata appena abbandonata dall’unica figlia rimastale. E mentre ascolta il racconto confuso e accorato della donna, che rievoca le cause drammatiche che hanno prodotto la divisione e il crollo della sua famiglia, riconosce con stupore nella foto della figlia maggiore, Barbara, il viso indimenticabile della ragazza americana che aveva visto una sola volta, innamorandosene per sempre.
Barbara era una volontaria dell’esercito americano, giunta in Italia per svolgere il pietoso compito di recuperare e dare degna sepoltura alle spoglie dei soldati statunitensi morti sul campo, prima di sparire misteriosamente lei stessa mentre prestava servizio in un paese della bassa ferrarese. A nulla erano valsi gli appelli della famiglia e gli sforzi della sorella Arianna, venuta in Emilia per sollecitare le ricerche, che non avevano prodotto alcun risultato concreto, e ben presto si erano concluse con l’archiviazione del caso. La ragazza era stata dichiarata ufficialmente dispersa, probabilmente morta in circostanze misteriose. Da questo momento, “con la sensazione di una giravolta siderale”, la fotografia della “superlativa ragazza” si aggiunge realmente e idealmente al pantheon dei penati, instaurando nella mente del giovane scrittore un legame profondo e magnetico con la ragazza e con la sua assenza, che ispira nella sua fervida immaginazione non solo la trama del nuovo romanzo, ma al contempo lo induce oltre ogni logica a mettersi sulle tracce del suo amore impossibile e risolvere il mistero. L’indagine lo condurrà a ritroso nel tempo e nello spazio, “in quel margine della vita dove tutto mi spaventa, dove tutto è possibile.” È in questo punto esatto che il destino del giovane si salda (ermeticamente, si potrebbe dire) con la sua vocazione di scrittore: nella ricerca di senso di un innamoramento, innanzitutto, in apparenza velleitario e sterile, e nel ridare una forma, e dunque un corpo e una vita a un fantasma evanescente, scomparso nel nulla. È in ciò che consiste forse la forza del vero amore? Rinvenire nel nulla cosmico una parvenza, un pensiero incessantemente sognato, fino a vederlo tangibilmente realizzato e, per così dire, incarnato, oltre i limiti dell’impossibile, nella forma concreta di un’appartenenza?
“Mi convinco ora” afferma il protagonista in una delle pagine del suo romanzo “che quella casa, quella vecchia e le urla che mi hanno indotto a raggiungerla, tutto appartiene a un magico firmamento che sta disvelando la sua iniziatica trama.”
Vale la pena indugiare sulle parole di questo brano, innanzitutto perché contengono la premessa e la missione di un viaggio che si svolge su un meridiano terrestre, spaziale e cronologico (scandito all’inizio di ogni capitolo da date e festività dei Santi del calendario liturgico ) e contestualmente su un parallelo che appartiene invece ai domini dell’immaginazione, del sogno, della visione: dunque, la terra di nessuno dei morti, dell’immateriale e dell’Eterno.
Entro queste coordinate topografiche e arcane si sviluppa nelle pagine seguenti un viaggio dal sapore dantesco, che conduce il protagonista (anch’esso non a caso autore e personaggio della vicenda) con un moto pendolare e oscillatorio, ipnotico e sacrale, dal limbo di un paese dell’America più tenebrosa e profonda al limes di un purgatorio di acque e terre nel ferrarese (il borgo di Argenta) che si profila come l’orizzonte estremo di uno sconfinamento, da cui è possibile vedere oltre il visibile, trasumanare, sporgendosi oltre l’umano, per ricomporre i frantumi e i resti di una dimensione umana.
Il secondo aspetto cruciale che emerge con evidenza dalle pagine del romanzo è il tema della Giustizia, intesa non soltanto nell’accezione legale che regola l’esercizio del potere giudiziario, ma anche nella sua concezione etica e umana. La seconda parte della storia si svolge tutta difatti nel paesino del ferrarese, dove si celebra nel clamore livoroso di stampa e opinione pubblica un affrettato processo che porta alla condanna di Glauco Zagotto, accusato di aver seviziato e ucciso alcune giovani donne del posto ( e tra queste, forse, la stessa Barbara). Il giudizio è sommario, la sentenza già scritta, e nonostante gli sforzi vani del fratello, l’accusato viene condannato e giustiziato. Il racconto degli eventi assume un tono via via sempre più farsesco e tragico, amplificato dallo stile espressionista della narrazione (“Un sessantenne di rinunciataria eleganza si è avvicinato a un tavolo prossimo al banco dei giurati”) che nella sua pensata ridondanza espressiva riverbera sui fatti una luce straniante , come in un quadro di Hyeronimus Bosch o in una favola macabra dei fratelli Grimm, stravolgendoli al punto tale da rendere impossibile distinguere se facciano parte di un sogno o siano piuttosto una realtà cruda ed esterna al sogno stesso. Colpisce che l’amministrazione della giustizia venga condotta in un modo impersonale che ne accresce la crudeltà (l’imputato viene non solo condannato a morte, ma costretto a pagare una multa ingente a mo’ di indennizzo alle vittime che avrebbe trucidato...) sottomettendo la vita e la dignità di una creatura umana a un dispositivo al contempo beffardo e ottuso che nella sua asettica logica procedurale sembra neutralizzare ogni altra logica e il concetto stesso di Diritto, come avviene nelle pagine di un altro grande romanzo sulla giustizia: Porte aperte di Leonardo Sciascia ( Adelphi, 1987).
Capovolgendo l’epigrafe di una celebre tela di Goya, sembrerebbe dunque che per Avati la presenza e la sovrabbondanza della Ragione, anziché la sua mancanza, generi mostri, e solo il recupero di una dimensione irrazionale, indeducibile alla Ragione stessa, possa ristabilire un’armonia interrotta con il Cosmo. E che la scrittura stessa, come afferma il protagonista, sia un atto di rinuncia contro ogni tentativo di ragionevolezza, giacché “a scriverle le cose da vere diventano finte” e “una volta che sono finte ti fanno meno paura.”
Tra gli ingredienti che contrassegnano il genere del noir gotico praticato con maestria da Avati nella sua vasta produzione di autore e cineasta (ed è facile ritrovare nel romanzo atmosfere e situazioni già presenti ne “La casa dalle finestre che ridono” e in altre sue opere) la paura è il nucleo attorno a cui si agglutinano vicende e fenomeni dall’apparenza inverosimile e perturbante, e l’unica chiave possibile per provare a spiegare l’inspiegabile che si annida sotto l’aspetto banale e quotidiano della realtà. Una paura che si manifesta inesorabilmente mediante gli attributi irrinunciabili della magia (il legame dei vivi con i morti, suggellato da un’assenza che va colmata) e dei riti di iniziazione (il ritrovamento e disseppellimento di una vagina di donna che nel romanzo attiva la ricerca del protagonista) sciogliendosi nella dimensione canora e catartica dell’urlo, che la sostanzia e realizza in una forma plastica, comprensibile e umana:
“Urlo correndo disperato. Alla vegetazione, all’acqua, alla notte, urlo la necessità di condividere con le rane e le bisce, con le pantegane e le stelle, con i gatti selvatici e i pipistrelli, con l’intero Creato l’insostenibile terrore patito”
scrive il protagonista nel momento culminante della vicenda, quando il mistero si risolve in un grido di consapevolezza e orrore. Dunque, espropriata e devitalizzata in apparenza dagli spot pubblicitari e dalle retoriche politically correct dell’attuale società mediatica e consumistica, la religione della paura continua nonostante tutto sotto la superficie a erodere la crosta del nichilismo imperante e a sorprenderci con le sue improvvise e immateriali reazioni di sostrato, emanazione di un’inviolabile legge di Natura, che quanto più ricacciata nel profondo tanto più riemerge portando con sé e traducendolo in realtà il nostro atavismo precario e oscuro, mediante il quale la coscienza umana, ferendosi e urlando con ciò che ancora la terrorizza, matura il proprio sentimento drammatico della realtà, ristabilendo, nella paura, un paradossale ma autentico equilibrio tra sé e l’ordine universale.
L'orto americano
Amazon.it: 15,19 €
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: L’orto americano
Lascia il tuo commento