L’ultima battaglia
- Autore: Fabio Sorrentino
- Genere: Fantasy
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Newton Compton
- Anno di pubblicazione: 2017
1200 anni prima di Cristo, 32 secoli fa, un’eternità di tempo addietro: a tanto risalgono le gesta di un nuovo eroe di Fabio Sorrentino e della saga inaugurata nel romanzo recentissimo “L’ultima battaglia”, uscito ad aprile nelle robuste ma economiche vesti delle collane Newton Compton (pp. 346, euro 9,90).
Fabio è il “non” ingegnere civile - visto che il suo lavoro non ha niente a che vedere col titolo di laurea - che scrive romanzi storici con la competenza di uno storico o di uno studioso di lettere antiche. Nato a San Giorgio a Cremano, nell’hinterland napoletano, vive in Messico ma non ha dimenticato la sua passione per il mondo greco-latino. Da ragazzino, è stato stregato dai poemi di Omero. Non ha l’ambizione di scrivere gesta omeriche, ma ne ha subìto il fascino e rende omaggio al cantore antico che lo ha ispirato.
Non sorprenderà, perciò, la collocazione della saga del principe guerriero nel 1180 avanti Cristo, età di poco successiva all’assedio di Troia, che Eratostene collocava tra il 1194 e il 1184 a.C..
Quanti echi, infatti, dei guerrieri cantati da Omero. Quel nome, Andromache, della sposa del re Hhelenoi (Eleno) ricorda la compagna di Ettore, Andromaca. E che dire del duello sotto le mura di Wilusa, al quale la corte della città cinta d’assedio assiste dagli spalti? E dello scempio del cadavere dello sconfitto, legato al carro del vincitore e trascinato orribilmente per tre giri intorno alla cerchia muraria?
C’è anche l’isola di Itaca, del principe Thelemacos, figlio di Odisseo, in tutto uguale al padre. E ci limitiamo a queste analogie solo per cominciare.
L’avvio del romanzo è toccante. Non tanto per la notizia della morte della regina Andromache, già sposa del fratello maggiore e poi del sovrano di Bouthroton, nell’Epiro. È tenerissimo il commiato di questi, Hhelenoi, dal figlioletto Kies, di appena cinque anni. Lo accarezza, consola il suo pianto, dicendogli che tornerà prima ancora che il piccolino possa avvistare dieci rondini in cielo. In cuor suo sa bene però che starà lontano non meno di cinquanta lune e il suo cuore è gonfio di tristezza.
Salpa, diretto a Wilusa, per spargere le ceneri della defunta, uccisa da una malattia, nella piana da cui erano stati scacciati quindici anni prima. È quello che racconta al vecchio Odisseo.
Anche l’anziano re itacense ha combattuto a Wilusa e a sua volta riferisce di un viaggio di ritorno contrastato da un dio, durato anni, di terre straordinarie visitate e di compagni tutti morti. È il solo ad avere fatto rientro.
Dice che
“gli dei hanno maledetto i superbi duci Ahhiyawa”
e dai nomi che affiorano nel suo racconto (Nestor, Menelaos e la moglie Helene, la sua stessa Painelopia, il fiume Karamenderos-Scamandro) si capisce sempre più che siamo in una dimensione omerica, in una metastoria dell’Iliade e dell’Odissea. I nomi sono quelli, modificati dall’aggiunta di qualche vocale e consonante, perché derivano dalle scritture antiche, dalle tavolette ittite e micenee.
Questo, infatti, vuole essere uno dei libri mancanti della grande saga omerica e riprendere le vicende dei teucri, i nobili figli di Priamo, i fratelli di Ettore.
In effetti, abbiamo saputo poco della sorte di tanti principi troiani. Al giovane Fabio Sorrentino, appassionato di gesta eroiche, non andava giù che il più affascinante racconto del passato si sviluppasse nella sola direzione dei greci. La sua fantasia è stata risvegliata da un articolo del New York Times nel quale si sosteneva che Wilusa è il nome asiatico di Ilio, Troia. La lettura ha alimentato un pensiero fisso che in breve è diventato l’incipit di una trama.
La saga ha cominciato a prendere corpo una volta trovato il personaggio giusto. È stato Eleno, potente indovino e abile guerriero, fratello di Cassandra, di Ettore e Paride, principe di Troia e tra i pochi figli di Priamo sopravvissuto alla caduta della città.
“Questo volume non è che una prima parte degli avvenimenti riguardanti la sua immaginaria epopea”.
Per l’ambientazione e le scelte stilistiche, Fabio Sorrentino ha mixato l’eco dei versi omerici con i frammenti storici relativi alle scoperte archeologiche sulle civiltà ittita, egizia e micenea. Ove possibile, ha preferito usare i nomi di luoghi e persone rilevati nelle tavolette ittite o micenee: Priamo è Prijamadu, Achille Achireu, Ettore Ecotoro, Cassandra Kashimmandra, Apollo Apaliunas.
Resta comunque pur sempre un romanzo, narrativa che, di per sé, non ha una finalità di tipo divulgativo.
Nelle intenzioni dell’autore, come si legge nell’avvertenza iniziale, “L’ultima battaglia” costituisce il primo volume di una trilogia e quindi presenta un finale aperto. La vicenda narrata non si conclude alla fine dell’opera: gran parte dei personaggi saranno ripresi nei libri successivi, insieme agli sviluppi delle loro vicende. Per questo, laddove alcuni passaggi debbano suscitare dubbi e interrogativi, basterà attendere con ansia il seguito della storia e concedere
“a chi scrive di condurre fino all’epilogo di questo avventuroso cammino”.
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