L’ultimo segreto di Dante di Giulio Leoni

Con L’ultimo segreto di Dante (Nord, 2021) Giulio Leoni rende ancora una volta omaggio al Sommo Poeta coinvolgendo il lettore nella nuova indagine condotta da Dante Alighieri, padre della letteratura italiana, il quale, in veste di investigatore, si troverà a confrontarsi con le insidie e le ombre che possono celarsi dietro ogni sforzo compiuto per raggiungere una comprensione e una conoscenza profonde.

Merito di Giulio Leoni è stato sicuramente quello di proporre la figura di Dante Alighieri in chiave poliziesca, permettendogli di calarsi nei panni di un "detective" costantemente alla ricerca della Verità; verità — forse più di una — che si tinge ogni volta di note oscure, che oscilla fra innumerevoli chiaroscuri, che sopravvive all’interno di uno sfondo storico riprodotto fedelmente.

Un’avventura investigativa che avvalendosi dell’universale e suggestiva metafora del
viaggio viene condotta su due piani spazio-temporali differenti: Pisa nel 1313 e Berlino/Lucera nel 1936; due piani destinati inevitabilmente a incrociarsi e a influenzarsi a vicenda in un complesso ordito storico-letterario ricco di personaggi misteriosi e di dinamiche pregne di suspense e colpi di scena.

Ciò che colpisce maggiormente in questa nuova indagine appartenente a una saga che da diversi anni incontra un rinnovato interesse e apprezzamento da parte del pubblico di lettori, è senza dubbio il tratteggio del Dante uomo, del personaggio reale in sé, colto nel suo animo più profondo, cosicché il lettore non può non essere catturato dall’intimo vortice di quesiti filosofici e di personali vanità, fragilità, paure e dubbi che investono la figura di Dante...

Lasciando volutamente in sospeso gli avvenimenti che costituiscono il tessuto vero e proprio della trama e coinvolgono ciascun personaggio, l’invito alla lettura di questa interessante narrazione diventa inevitabilmente esplicito, affinché il lettore non solo li scopra da sé, pagina dopo pagina, ma possa principalmente goderne accostandosi meglio al Sommo Poeta per (ri)scoprirlo in una veste più intima e sicuramente affascinante.

“Quella di mormorare tra sé pensando, e spesso di accompagnare il pensiero con dei moti del capo e delle mani, era un’abitudine che lo accompagnava dalla prima infanzia, con cui in principio aveva forse voluto lenire la solitudine per una madre perduta troppo presto, e poi quella di non trovare negli altri uno specchio sufficientemente terso in cui riversare le proprie immagini, finendo per fare specchio a se stesso. E ancora adesso...”