L’uomo di Milesia
- Autore: Stig Dagerman
Tre regni. Ghetto, allucinazione, salvezza apparente. Tre quartieri, Sirley, Milesia e Tropico che avviano altrettanti itinerari in una città inquieta e notturna, dove alle solitarie ossessioni munchiane si alternano scene di affollamento espressionista alla Otto Dix o alla George Grosz.
Del resto, il gioco di scrittura e pittura nutre di misteriosa ambiguità l’intera trama, sviluppando un’atmosfera che non sa decidersi tra il fantastico e il lugubre, ma che anzi pare essere a proprio agio nel restare bloccata entro l’opposizione di questi due elementi. Ed è impossibile, per il contenuto e i toni che svolgono il viaggio de L’uomo di Milesia, non pensare a certi spunti paradossali della narrativa di Gogol’, qui, in particolare, sembrando più che mai vivo il modello del Ritratto, appartenente al ciclo dei Racconti di Pietroburgo.
Su questa incongruenza di fondo che fa saltare continuamente i nessi logici secondo cui si articola la realtà, i vibranti chiaroscuri della penna di Dagerman affiorano come ombre sulla neve, creazioni che insinuano un pensiero, suggeriscono una presenza o solo fantasmi, salvo disperderli non appena si cerca un punto di messa a fuoco.
Le stesse strade di collegamento tra un quartiere e l’altro, tra la miseria nera e disperata di Sirley e l’aura soffusa e immobile che circonda l’opulento Tropico, non rispondono a un’idea precisa di spazio e tempo. Si direbbe che pure Ralph Singerton, il protagonista, sia un uomo in viaggio in nessun luogo preciso e in un tempo che appare sospeso, un individuo scosso senza tregua dal brivido della vertigine, fino a sprofondare in se stesso.
In questo breve racconto, scritto da Dagerman nel 1947, si giunge a scoprire l’irreparabile come se niente fosse, o meglio, senza accorgersi che nulla è realmente accaduto da lasciar presagire l’agghiacciante epilogo. Si sente, di tanto in tanto, scricchiolare il ghiaccio sotto i piedi, si notano espressioni stravolte sulle facce incrociate dal protagonista, e ci si imbatte in nonsense linguistici, richiami iniziali a quel mondo parallelo che si apre nel rovescio della personalità.
Il lettore segue Singerton nel dedalo assurdo della sua città interiore, innominata per tutto il tempo della narrazione, perché, si sa, lo spazio del sé difende la sua natura sfuggente; i pochi luoghi cui si associa un nome e le architetture qua e là evocate galleggiano malsicuri in uno scenario che dà l’impressione di fluire via da un momento all’altro.
Ma c’è infine un ulteriore livello d’interpretazione che fa de L’uomo di Milesia un’affascinante miniatura di intrecci letterari, nel quale il modello antico rivive in una dimensione allegorica e psicologica nella tradizione nordica, che ne recluta volentieri il fraseggio archetipico, come Dagerman qui dimostra con incredibile disinvoltura.
Milesia è un non-luogo che s’incontra sul limitare della cultura greca antica, verso la fine dell’ellenismo, attraverso cui il mondo latino imparò a conoscere la Grecia. Tra i generi letterari più diffusi in queste due culture sconfinanti vi era proprio il filone delle Milesiaká, le fabulae Milesiae, novelle di argomento licenzioso, coltivate per primo da Aristide di Mileto e, a quanto di dice, passate a Roma nelle mani dello storico Sisenna.
Le Milesiae costituivano una fonte pressoché inesauribile di trame e situazioni che spesso contribuivano a rimpolpare, finendo per caratterizzarlo, lo scheletro del romanzo greco e latino, un contenitore che nel mondo antico è molto duttile e completamente sciolto dalla definizione moderna. La latinità si è ispirata non poco a questi materiali che sono dunque entrati in maniera massiccia nella sua letteratura; così è dai mimi alle satire, dal Satyricon di Petronio alle Metamorfosi apuleiane.
Stig Dagerman, essendo di queste opere ammirato lettore, ha percepito come particolarmente congeniali alla propria arte l’elemento favoloso e la realistica tragicità che lì si ravvisa e che, nel caso di un episodio a sfondo erotico, come molti ve ne sono in cicli simili, fa svoltare la narrazione in senso marcatamente grottesco. Riportati con straordinaria maestria tali aspetti al proprio contesto culturale e premendo sui tasti di un’ironia nera, Dagerman avvia necessariamente i centri di calore della sua scrittura al gelo del dramma. Si tratta di un esaurimento lucido e premeditato della propulsione interna alla propria creatività, fatta morire contro un muro di angosce, tirato su in tutta fretta da una notte all’altra.
Marco Alessandrini, traduttore e curatore del volumetto di Via del Vento edizioni, dà conto di tutto ciò in una chiara e sintetica nota al testo, dove c’è spazio per la formazione e la tecnica dello scrittore Stig Dagerman ma anche e soprattutto per l’approfondimento di quell’atmosfera da sogno di un perseguitato che pervade tutta la sua opera.
Con la presente pubblicazione, Via del Vento scrive una nuova intensa e raffinatissima pagina nella storia dell’editoria.
- Autore: Stig Dagerman
- Titolo: L’uomo di Milesia
- Curatore: Marco Alessandrini
- Editore: Via del Vento
- Anno: giugno 2011
- Pag. 96
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