La Cripta dei Cappuccini
- Autore: Joseph Roth
- Categoria: Narrativa Straniera
La Cripta dei Cappuccini è l’ultimo romanzo che lo scrittore Joseph Roth scrisse ormai esule a Parigi nel 1938, l’anno prima di morire. È il romanzo che più lo rappresenta, in cui descrive da testimone e brillante narratore la decadenza dell’impero austroungarico che aveva a cuore la civiltà ebraica, la sua, e tutto ciò che ne seguì, la prima guerra mondiale e il buio sul mondo che avanzava con Hitler. Un tema caro a Roth, grande cantore della finis Austriae, che si avvale nella narrazione delle sue esperienze personali avendo vissuto sulla propria pelle la condizione di quell’epoca di primo Novecento: è stato infatti sottufficiale dell’esercito asburgico, combattente, prigioniero in Siberia, reduce ed esule in Francia quando l’Austria venne annessa alla Germania nazista.
Nato in una modesta famiglia ebraica, il giovane Roth nel 1913 arriva a Vienna per studiare all’Università. Inizia a lavorare come giornalista pubblicando i suoi primi articoli e alcune delle sue poesie. Allo scoppio della guerra si arruola e farà parte dell’ufficio stampa dell’esercito. Alla fine del conflitto continuerà il suo lavoro di giornalista e di corrispondente culturale. L’ascesa di Hitler nel 1933 lo obbligherà ad emigrare e si trasferirà in Francia dove pubblicherà le sue opere, mentre in Germania i suoi libri verranno bruciati.
La Cripta dei Cappuccini, nella Chiesa di S. Maria degli Angeli a Vienna, accoglie le tombe degli imperatori e delle imperatrici d’Austria e degli altri membri della famiglia imperiale. Nel romanzo diviene il simbolo di un’epoca di fasti e magnificenze nelle arti e nella cultura e che era riuscita, inoltre, a far convivere popoli di diverse nazionalità e di diverse religioni. Siamo nel 1913 e il personaggio principale del romanzo è Francesco Ferdinando, giovane e brillante erede della casata dei Trotta, la stessa a cui apparteneva l’eroe della battaglia di Solferino, che aveva salvato la vita all’Imperatore Francesco Giuseppe. Il giovane ventenne trascorre le sue giornate con i suoi amici aristocratici in giro nei vari caffè viennesi, fra disinteresse e divertimento. Una vita agiata e frivola che terminerà di lì a poco quando verrà diffuso il proclama che porterà allo scoppio della Prima Guerra Mondiale. Il giovane Francesco decide di arruolarsi, ma prima di partire sposerà Elisabeth, la bella diciannovenne di cui è innamorato da tempo.
“In prossimità della morte i miei sentimenti diventavano più onesti, quasi più puri, proprio come talvolta, di fronte ad una grave malattia, idee e verità si fanno all’improvviso limpide, tanto che, nonostante la paura, nonostante l’assillante presentimento del dolore che ci prende alla gola, si prova una sorta di orgogliosa soddisfazione per il fatto di conoscere, finalmente, la felicità, che si è conosciuta attraverso il dolore, e un senso di gioia perché il prezzo della conoscenza lo si sa in anticipo. Si è molto felici nella malattia. Io allora non ero meno felice considerando la grande malattia che si annunciava nel mondo: la guerra mondiale… Ma non c’era tempo da perdere. Il tormento maggiore di quei giorni era il fatto che non avevamo più tempo: non c’era il tempo di godere lo spazio esiguo che ancora la vita ci lasciava e nemmeno il tempo di aspettare la morte.“
Durante la guerra saranno solo due i pensieri che avrà in mente: il pensiero della morte e di Elisabeth. Alla vigilia di Natale, alla fine del conflitto dopo quattro anni di lontananza dalla moglie e dalla madre, Francesco torna a Vienna. L’Impero non esiste più e tutto è mutato intorno al lui: gli amici, Elisabeth e anche lui. Si considererà un vivo per errore, uno dei tanti.
“Ero di nuovo a casa. Tutti noi avevamo perso rango e posizione e nome, casa e denaro e valori: passato, presente e futuro. Ogni mattina quando aprivamo gli occhi, ogni notte quando ci mettevamo a dormire imprecavamo alla morte che invano ci aveva attirato alla sua festa grandiosa. E ognuno di noi invidiava i caduti. Riposavano sotto terra e la primavera ventura dalle loro ossa sarebbero nate le violette. Noi invece eravamo tornati a casa disperatamente sterili, coi lombi fiaccati, una generazione votata alla morte, che la morte aveva sdegnato … pensai al vecchio sogno di mio padre e a lui sepolto nel cimitero di Hietzing e l’imperatore Francesco Giuseppe … Passai dalla Cripta dei Cappuccini. Una sentinella sorvegliava. Ma che cosa doveva ancora sorvegliare? I sarcofaghi, la memoria, la storia?“
La Cripta dei Cappuccini è un romanzo nostalgico della vita e del credo di un uomo che vede svanire la sua patria e i suoi ideali. L’Impero rappresentava qualcosa di più nobile di una semplice patria e in un difficile dopoguerra, il protagonista è costretto a fare il bilancio della sua vita così discordante come fu la stessa vita dell’autore: ebreo e infine cattolico, socialista e poi monarchico. È il romanzo di uno dei più grandi scrittori della letteratura mitteleuropea, che non solo rappresenta un affresco struggente della fine di un’epoca, ma è anche il racconto di una sconfitta e dell’impossibilità di adeguarsi ad un nuovo modello di mondo.
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