Il 19 dicembre 1883 nasceva ad Agliè, in provincia di Torino, il poeta Guido Gozzano autore di punta del Novecento italiano, la cui poetica è stata spesso associata alla corrente crepuscolare per la sua tendenza intimistica concentrata sulla narrazione del quotidiano.
Forse le rime per bimbi di Guido Gozzano sono meno note rispetto alle sue opere più famose come I colloqui. Le Dolci rime. Opere di Guido Gozzano furono pubblicate nel 1937, dopo la prematura morte del poeta, strappato alla vita a soli trentadue anni dalla tubercolosi.
Tra le poesie dedicate all’infanzia figura La Notte Santa, una commovente reinterpretazione in versi della Natività. In queste strofe, scandite in rima, Gozzano racconta ai bambini la storia nascosta dietro il presepe: ovvero il difficile percorso compiuto da Giuseppe e Maria e i momenti, anche drammatici, che precedettero la nascita di Gesù bambino.
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La Notte Santa viene insegnata dalle maestre alle scuole elementari: i bambini la recitano a memoria come una filastrocca, vi imbastiscono elaborate recite natalizie, spesso ignorando che sia stata scritta da uno dei maggiori poeti italiani del Novecento. Dai grandi poeti ci aspettiamo parole complesse, metafore, espressioni immaginifiche e stratificate, quindi ci sorprendono quando parlano il linguaggio chiaro, elementare e paziente che si riserva all’infanzia.
La Natività raccontata da Guido Gozzano è uno degli scenari più belli della letteratura: una storia in rima che si imprime nella memoria e non se ne va mai via, ma anche una narrazione del sacro estremamente umana.
La Notte Santa è dolce come una favola della buonanotte, consolatoria come una preghiera, scandita da un canto nostalgico che sembra custodito nel cuore della notte di Natale: “è nato! è nato! Alleluja!”. In realtà non si tratta, come vedremo, di un semplice poemetto per bambini ma di un testo complesso che, se riletto da adulti, assume un significato ancora più profondo.
Scopriamo testo, analisi e commento de La Notte Santa di Guido Gozzano.
La Notte Santa di Guido Gozzano: testo
- Consolati, Maria, del tuo pellegrinare!
Siam giunti. Ecco Betlemme ornata di trofei.
Presso quell’osteria potremo riposare,
ché troppo stanco sono e troppo stanca sei.Il campanile scocca
lentamente le sei.- Avete un po’ di posto, o voi del Caval Grigio?
Un po’ di posto per me e per Giuseppe?
- Signori, ce ne duole: è notte di prodigio;
son troppi i forestieri; le stanze ho piene zeppeIl campanile scocca
lentamente le sette.- Oste del Moro, avete un rifugio per noi?
Mia moglie più non regge ed io son così rotto!
- Tutto l’albergo ho pieno, soppalchi e ballatoi:
Tentate al Cervo Bianco, quell’osteria più sotto.Il campanile scocca
lentamente le otto.- O voi del Cervo Bianco, un sottoscala almeno
avete per dormire? Non ci mandate altrove!
- S’attende la cometa. Tutto l’albergo ho pieno
d’astronomi e di dotti, qui giunti d’ogni dove.Il campanile scocca
lentamente le nove.- Ostessa dei Tre Merli, pietà d’una sorella!
Pensate in quale stato e quanta strada feci!
- Ma fin sui tetti ho gente: attendono la stella.
Son negromanti, magi persiani, egizi, greci...Il campanile scocca
lentamente le dieci.- Oste di Cesarea... - Un vecchio falegname?
Albergarlo? Sua moglie? Albergarli per niente?
L’albergo è tutto pieno di cavalieri e dame
non amo la miscela dell’alta e bassa gente.Il campanile scocca
le undici lentamente.La neve! - ecco una stalla! - Avrà posto per due?
- Che freddo! - Siamo a sosta - Ma quanta neve, quanta!
Un po’ ci scalderanno quell’asino e quel bue...
Maria già trascolora, divinamente affranta...Il campanile scocca
La Mezzanotte Santa.È nato!
Alleluja! Alleluja!È nato il Sovrano Bambino.
La notte, che già fu sì buia,
risplende d’un astro divino.
Orsù, cornamuse, più gaje
suonate; squillate, campane!
Venite, pastori e massaie,
o genti vicine e lontane!Non sete, non molli tappeti,
ma, come nei libri hanno detto
da quattro mill’anni i Profeti,
un poco di paglia ha per letto.
Per quattro mill’anni s’attese
quest’ora su tutte le ore.
È nato! È nato il Signore!
È nato nel nostro paese!
Risplende d’un astro divino
La notte che già fu sì buia.
È nato il Sovrano Bambino.È nato!
Alleluja! Alleluja!
La Notte Santa di Guido Gozzano: analisi e commento
Prima di analizzare la poesia è innanzitutto necessario contestualizzarla. Il mito del Gozzano poeta per i bimbi fu creato da sua madre, Diodata Mautino, che ne curò alcune raccolte postume tra cui Dolci rime. Le opere di Guido Gozzano. Nella prefazione del volume, Diodata scriveva che il libro era dedicato ai bambini: “A voi cari bimbi”.
Nelle righe introduttive al libro la madre di Gozzano lo porgeva ai bambini come un dono prezioso in ricordo del suo figlio diletto:
Prendetela dalle mani tremule di una mamma che fu un tempo felice […] e orgogliosa di possedere un bimbo dai riccioli d’oro che molto amava le farfalle, i fiori e soprattutto i bimbi e la poesia che a voi dedicava. Per suo ricordo io colsi e riunii questi pochi versi, certa che dal Cielo egli vi sorride e vi benedice.
Le poesie raccolte nelle Dolci rime furono effettivamente scritte da Gozzano tra il 1907 e il 1913 e destinate ad alcune realtà editoriali dell’epoca come Il Corriere dei Piccoli e Adolescenza. Il poeta tuttavia nello scriverle probabilmente non si rivolse a un pubblico designato di “piccoli lettori”, ma a un destinatario particolare: sé stesso bambino. Guido Gozzano nelle Dolci rime raccontava la favola perduta dell’infanzia a sé stesso rammentando anche le consuetudini religiose che scandirono le sue ore infantili. Il Natale viene quindi subito associato allo scenario cromatico del Presepe e dei suoi simboli. Ma Gozzano non si limita a congelare la Natività nelle belle statuine, decide di dare loro vita rappresentando quel mondo mitopoietico racchiuso nella narrazione biblica.
Ne La Notte Santa Guido Gozzano dunque parla ai lettori con il linguaggio impalpabile della nostalgia, il rimpianto per il bambino che fu.
Nell’intenzione originaria la poesia non doveva infatti essere un componimento destinato all’infanzia, ma lo svolgimento di un tema evangelico e persino drammatico quale fu il viaggio accidentato di Giuseppe e Maria per le strade di Betlemme. La Natività nei versi di Gozzano viene raccontata nel suo aspetto meno romantico: il poeta non dipinge l’idilliaco scenario del bue e dell’asinello mostrandoci un roseo Gesù bambino già nato, ma descrive Maria che “impallidisce” e “trascolora” giunta allo stremo delle forze.
Per scrivere il componimento Gozzano si ispirò alla lauda drammatica di Jacopone da Todi: Canto de la Natività di Iesù Cristo appartenente al ciclo delle Laudi.
Nelle sue sette quartine il poeta reinterpreta il testo jacoponiano articolandolo in un vivace poemetto a rime alterne.
Maria già strascolora, divinamente affranta.
L’espressività di questo verso e l’uso del termine “trascolora” ricordano il realismo tragico dello Stabat Mater di Jacopone da Todi. Maria nella narrazione gozzaniana sembra già prefigurare la Madonna piangente che trascolora ai piedi della croce. Questa Maria “divinamente affranta” riflette già da la Donna de’ Paradiso cantata da Jacopone mentre piange il suo “figlio bianco e vermiglio”. Maria è un personaggio dolente sin da quando patisce le doglie del parto; in questo senso Guido Gozzano contribuisce nel donarci l’immagine meno idealizzata e più realistica della Madonna intesa nel suo ruolo di madre. Il calvario patito da Maria nell’attesa di giungere alla salvezza della Capanna sembra, in un certo senso, anticipare e riflettere quello patito da Gesù sulla via della croce. La figura di Cristo viene a incarnarsi perfettamente in quella del Redentore venuto dal cielo in terra per riscattare gli umili e gli offesi. Solo nel finale della poesia la sua figura farà ingresso nella Storia e si vedranno quegli stessi uomini che hanno offeso, ripudiato, negato aiuto e sostegno a sua madre festeggiare la nascita del “bambino divino”.
Per quanto riguarda la metrica la poesia di Gozzano segue lo schema antico della lauda anche nella ripresa del distico “il campanile scocca lentamente” che chiude ogni strofa segnando il trascorrere delle ore. Nel finale, proprio come nella lauda jacoponiana, il coro intona l’inno sacro dell’Alleluja.
La Notte Santa di Guido Gozzano dunque, in origine, non era una composizione destinata ai bambini ma la reinterpretazione di un testo dall’alto valore letterario e una rilettura evangelica. Oggi possiamo leggere il poemetto di Gozzano come un tentativo di umanizzare il divino. La rima finale della lirica unisce “affranta” con “Santa” determinando un legame inscindibile tra il dolore dell’umano e la luce del divino.
Umanizzando i personaggi biblici, Guido Gozzano riesce ad affermarne con maggior vigore lo status di santità. Maria e Giuseppe ne La Notte Santa non sono più le ingenue e statiche statuine del Presepio, ma un uomo e una donna che hanno patito delle prove, hanno subito il rifiuto e i soprusi, prima di potersi avvalere del diritto inderogabile di santità. Gozzano punta il riflettore non sul “bambino divino” simbolo del Natale, ma sull’umanità dei suoi genitori: proprio per questo motivo La Notte Santa può essere riletta - da adulti - con una consapevolezza diversa, come se stessimo assistendo alla rappresentazione più vera e umana del Presepe, alla quotidianità di una Natività che si ripete ogni giorno persino sui barconi dei migranti, nei Paesi funestati dalle guerre e dalle calamità, in ogni dove vi sia una “capanna” costruita con la forza dell’amore.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: La Notte Santa: la Natività umana nella poesia di Guido Gozzano
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