La banda degli uomini
- Autore: Flavio Villani
- Genere: Gialli, Noir, Thriller
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Neri Pozza
- Anno di pubblicazione: 2021
Flavio Villani è nato a Milano nel 1962. Dopo la laurea in Medicina e la specializzazione in Neurologia, ha completato la propria formazione negli Stati Uniti.
I suoi interessi letterari lo hanno portato a dedicarsi alla scrittura: dopo il romanzo d’esordio, L’ordine di Babele (Laurana Editore), ha pubblicato per la casa editrice Neri Pozza Il nome del padre e Nel peggiore dei modi — entrambi con protagonista il commissario Cavallo e ambientati a Milano, anche se in momenti storici diversi.
Il nuovo romanzo, La banda degli uomini (Neri Pozza, 2021), rappresenta nello stesso tempo una conferma e una scoperta: conferma del talento dell’autore per il giallo, ma dai contorni più ampi e indefiniti, e scoperta di alcuni elementi poco conosciuti inseriti nella trama, come il furto della Susanna al bagno, un dipinto del 1850 di Francesco Hayez, e un luogo alla periferia di Milano che ora non esiste più, il Miralago, il lago dei milanesi.
Tommaso, Masino, vive a Milano, in via Porpora al 36, con il padre Carlo, la madre Delia e i quattro fratelli minori. Nonostante sia deriso da tutti a causa di una costituzione gracile e lontana dall’immaginario fascista, qualcosa in lui lo ha spinto a ignorare gli insulti paterni, le crudeltà dei compagni e la paura di guardarsi allo specchio: gli ottimi risultati scolastici hanno fatto sì che il rispetto sostituisse la derisione. E mentre i fratelli, più sani e più forti di lui, si uniscono a bande di ragazzini e ruzzolano per i campi della periferia, lui legge libri, sorretto dalla prospettiva di aiutare la famiglia, anche se non sa ancora bene come ci riuscirà:
“Lo capì nell’inverno tra il ’37 e il ’38, quando suo padre iniziò a tossire, e non si faceva altro che parlare di guerra, e di come Mussolini, il padre degli italiani, avrebbe evitato, con un gioco di prestigio, l’inevitabile”.
Il padre, Carlo Parini fu Tommaso, noto come Carlin, lo stradino, si definisce socialista, ma viene evitato dagli stessi socialisti perché parla troppo. I pochi centesimi che si ritrova in tasca li consuma in tutto ciò che può deglutire fino a stordirlo.
Sua moglie Delia, incapace di contraddirlo, agli occhi dei figli è una sottomessa senza speranza, ma è una donna vinta solo all’apparenza. Per loro sogna una vita migliore, lontani dal padre e dalla strada, sobri, felici e con un lavoro sicuro. Con il rammendo, che svolge segretamente di notte, ha accumulato un discreto gruzzolo, utilizzato per i libri di Tommaso: si è accorta con quale facilità il ragazzo apprende ogni materia.
Verso la fine di dicembre, un vento quasi tiepido ha ripulito l’atmosfera e riscaldato l’aria. Nonostante la malattia che gli è stata diagnosticata, il Carlin ha iniziato a passeggiare: uscite solitarie che lo fanno arrivare sempre più lontano.
La sera che sarà l’ultima della sua vita, è tornato a casa con il viso sfigurato e i vestiti strappati. Con un filo di voce spiega che è caduto, ma la sua morte è stata, come verrà confermato dall’autopsia, la conseguenza di un violento pestaggio.
Per Ascanio Tempesta, il maresciallo della polizia criminale inviato per una prima valutazione dell’accaduto, non vale la pena perdere tempo per una feccia simile: un noto ubriacone già segnalato per schiamazzi notturni e più volte sollevato da terra e riaccompagnato a casa da agenti di pattuglia.
Non è dello stesso avviso il giudice istruttore Delfino Allegri, celibe per principio e amante delle ricche libagioni. Uno che cerca di archiviare il più possibile, ma anche un “bastian contrario” che, in questo caso, decide che l’autopsia, seguita da indagini formali, sia quanto mai opportuna.
In attesa che l’inchiesta porti a un qualche risultato e nonostante la madre chieda loro di dimenticare tutto, Tommaso e il fratello Arturo decidono di scoprire che cosa è successo veramente, cominciando a tenere d’occhio i frequentatori di un bar su via Padova, il Littorio, e per farlo…
“Dobbiamo essere una banda, disse Arturo, una banda di uomini”.
A questo punto, la storia di questa “banda” si intreccia con quella di altri personaggi, tutti legati, in qualche modo, a un quadro.
Achille Ravenna, il titolare dell’officina dove lavorano alcuni ragazzi considerati ladri di strada, è un uomo sulla settantina, vedovo e senza figli: un brav’uomo che ai grandi fa scuola di meccanica e ai più affidabili insegna a guidare.
Arturo e l’inseparabile amico Gesuét dovranno trovarsi con la Balilla di Achille proprio vicino al Littorio, “per un lavoro” di cui non sanno nulla.
Si tratta, come scopriranno, di un colpo commissionato da un certo Giovanni e da Ermanno Finazzi — console della milizia, un grado difficile da raggiungere, ma non per uno come lui capace di fiutare, nel fascismo, opportunità nuove e irripetibili — a Osvaldo Franceschetti, ex ardito del Piave, ex squadrista della Disperata, che col Finazzi aveva militato per qualche mese nel 1922.
Caduto in disgrazia a causa di un’incomprensione con un superiore, Osvaldo è disposto a tutto pur di ritornare l’uomo ammirato e rispettato di sempre.
Al Littorio deve incontrare due camerati dall’aspetto inquietante che lo aiuteranno nel furto di un quadro custodito in un villino immerso nella calma borghese di viale Lombardia, a due passi da via Porpora:
“Susanna al bagno, Francesco Hayez, 1850. Collezione privata. Una donna vista di spalle, nuda, solo un lenzuolo bianco a drappeggiarle le anche. Un’istantanea proibita, quasi pornografica, l’attimo rubato alla piena intimità della donna ritratta dopo il bagno. L’ovale perfetto del viso era rivolto per tre quarti a un invisibile osservatore, scoperto nell’attimo di spiarla; il corpo era rilassato, non sembrava pronto allo scatto per coprirsi in qualche modo o nascondersi a quell’occhio lascivo. […] E Susanna, per nulla intimorita, ricambiava quello sguardo con la piena consapevolezza che il godimento, per essere completo, ha bisogno del peccato”.
Un "lavoro fine" e piuttosto semplice, che però avrà esiti imprevedibili quanto drammatici.
Come spiegato nella nota finale, Flavio Villani ha scoperto il furto del dipinto di Francesco Hayez, Susanna al bagno — la casta Susanna — in un trafiletto quasi invisibile su una pagina del Corriere della Sera del 4 agosto 1938.
Ma se è stato facile scoprire che attualmente il quadro è in prestito alla National Gallery di Londra da una non meglio precisata collezione privata, tutto il resto è mistero.
Con La banda degli uomini l’autore riesce a colmare quelle che potremmo considerare le lacune di questa vicenda, attraverso una mescolanza di mistero, storia, ricostruzione reale e invenzione, visto che un testimone di quegli anni potrebbe riconoscere in alcuni personaggi figure realmente esistite.
Il romanzo, diviso in quattro parti — Un padre; Il Littorio; La casta Susanna; Neve —, è caratterizzato da una prosa estremamente calibrata ed elegante.
La trama, che si muove fra criminalità, sistema sociale e politico, è il racconto della vita sognata e della vita vissuta dei protagonisti, in un’altalena di vagheggiamenti e frustrazioni, fra miseria e desiderio di riscatto.
Villani è l’acuto esploratore di una società che assume i contorni della retorica ufficiale, della violenza, dell’ipocrisia e del doppio gioco, e che è caratterizzata da un sentimento di incertezza e di disagio esistenziale, scaturito anche dalle condizioni storiche del periodo fascista.
Il narratore si concentra, via via, sui vari personaggi, ripercorrendone percezioni, idee, visioni del mondo, “imprese” e progetti, così da tratteggiarne la fisionomia e delinearne l’identità.
Da sottolineare l’importanza del rapporto fra personaggi e paesaggio.
La città di Milano, a tratti irriconoscibile per il lettore moderno, se non per i nomi delle vie, diventa spesso il riscontro dello stato d’animo dei protagonisti.
L’autore dimostra l’indubbia capacità di rappresentare questa sorta di dialogo, e di cogliere, in spazi di confine, a volte alienanti e in cui sono evidenti i cambiamenti che la città sta subendo, sottili atmosfere psicologiche:
“Intorno c’erano ancora grandi spianate di terra incolta che non attendevano altro che qualcuno iniziasse a scavare. E presto sarebbe successo. La città cambiava e saliva di piano in piano sotto gli occhi dei suoi attoniti abitanti a una velocità che Tommaso non poteva neppure immaginare”.
Una Milano che non c’è più, ma che questo romanzo ci restituisce viva e com’era davvero:
“Con i vetri appannati dai respiri dei passeggeri, Milano passò loro accanto silenziosa e come sfocata; a tratti non riuscivano neppure a riconoscerne le vie, i palazzi austeri sporchi di fuliggine, i marciapiedi, i bagolari spogli dei parchi. Sembrava tutto così immenso, un altro mondo, differente da quello ristretto che conoscevano, il piccolo, nero mondo nel quale la loro vita si stava consumando troppo velocemente”.
Per concludere, ritorniamo idealmente alla prima pagina, che non ha una funzione semplicemente introduttiva ma, rappresentando — come scopriremo — la fine della vicenda, anticipa quelli che saranno i suoi sviluppi effettivi.
Il lettore non sa ancora chi siano i personaggi chiamati in causa e quale ruolo rivestiranno nella trama, ma entra subito in contatto diretto con loro.
La sensazione che rimane, però, una volta terminato il libro, è di una “non chiusura” o meglio di una circolarità che lascia aperti numerosi interrogativi.
Ma come lo stesso autore ci ricorda:
“Non venire a capo di nulla, in fondo, è il destino che la vita ci ha riservato”.
La banda degli uomini
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