La battaglia del Garigliano
- Autore: Marco Di Branco
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: il Mulino
- Anno di pubblicazione: 2019
Alleati in guerra in Italia contro gli occupanti del Sud, mille e più anni prima della seconda guerra mondiale. Nel X secolo, sotto l’egida del papa, una lega di principi e di nobili meridionali, rafforzata da milizie di feudatari centrosettentrionali, accerchiò assediò e sgominò le schiere saracene che razziavano il basso Lazio. Un episodio poco trattato dagli storici, che l’archeologo e docente di storia medievale e dell’Islam Marco Di Branco ha sviluppato nel saggio per il Mulino 915. La battaglia del Garigliano cristiani e musulmani nell’Italia medievale, pubblicato nella primavera 2019 (288 pagine 22 euro).
L’autore parte da un presupposto, che di fatto rappresenta una rilettura della storia italiana tra l’età carolingia e il Mille, un periodo sul quale i programmi scolastici non insistono, probabilmente perché non l’ha fatto nemmeno (o non abbastanza) la storiografia ufficiale. Nessuno ci ha raccontato finora del tentativo musulmano di conquistare territorialmente quantomeno metà della penisola. Le coste del Mezzogiorno e le isole sono tuttora punteggiate dai resti delle torre di avvistamento contro i saraceni, ma nella storia dell’alto e basso medioevo non si è mai andati al di là delle semplici scorrerie piratesche. Secondo la vulgata diffusa finora, restavano dei semplici saccheggiatori, si limitavano a fare colpi di mano sui litorali, con qualche sporadica penetrazione all’interno, ma con l’unico intento di predare.
Tutto sbagliato, tutto da rivedere, avverte Di Branco, docente tra Roma-La Sapienza e Beirut. A suo giudizio, dal IX secolo si registra un autentico tentativo di occupazione del territorio affacciato sul Tirreno meridionale. Gli aghlabiti cercavano di sfruttare a questo scopo le divisioni nel nostro Paese.
Non si pensi però a un’invasione in grande stile, a una specie di sbarco in Normandia saraceno e nemmeno ad una conquista territoriale “tradizionale”. Gli arabi restavano fedeli al loro modo di combattere a folate: incursioni, colpi di mano, sorprese. Non mantenevano guarnigioni fisse, non presidiavano in forze, ma controllavano ugualmente le zone di loro interesse, usando all’occorrenza le scimitarre, ma facendo leva soprattutto sulle rivalità che mettevano gli italici gli uni contro gli altri.
Nei confronti degli islamici approdati nel Meridione, i “nostri” mantenevano un atteggiamento quanto mai disuguale: qualcuno si guardava bene dall’entrare in attrito con quella gente bellicosa, altri preferivano la strada disonorevole ma comoda della remissività o della resa, altri ancora stringevano alleanze con i mori, che tra un patto e un attacco improvviso riuscirono a conquistare Taranto (nell’840), a fondare l’Emirato di Bari (817-871), a saccheggiare le basiliche romane di San Pietro e San Paolo, esterne alla cerchia delle mura capitoline dalle quali erano stati bloccati (nell’846). Tanto spinse il Vaticano a cercare una soluzione e questa non poteva passare che dalla riunificazione dei nobili davanti a un pericolo comune, con una grande alleanza cristiana. Papa Giovanni X promosse un’autentica lega italiana per scacciare i Saraceni, che dal Lazio meridionale minacciavano la Città Eterna. Aderirono i principi del Mezzogiorno d’Italia, giunsero truppe pontificie dalla Toscana. Risposero all’appello anche il marchese del Friuli e il duca di Spoleto. L’imperatore d’Oriente inviò colonne da Puglia e Calabria.
Fonti moderne parlano di una battaglia del Garigliano, mentre i testi Arabi non fanno alcun cenno a un evento tale ed esagerava certamente il Gregorovius nel vedere i quella lega il segno di un risveglio dello spirito unitario nazionale. In realtà, mancò un combattimento campale a ridosso del fiume. Semmai gli scontri avvennero intorno all’altura dove i resti delle forze saracene erano stati costretti a ritirarsi, un mons Gariglianus non meglio identificato, nei pressi di Gaeta.
Quanto alle fonti antiche, Di Branco si sofferma su quattro testi di storiografia medievale ricchi di informazioni, sebbene siano di redazione successiva allo scontro tra cristiani e musulmani e fin troppo fantasiose. Si tratta dell’Antapodosis di Liutprando, cronachista e poi vescovo di Cremona, del Chronicon del monaco Benedetto del Soratte, della Chronica del monastero di Cassino e del Chronicon Vulturnese.
Il più antico è il lavoro di Liutprando, scritto con spiccata avversione nei confronti di Berengario, tanto che il titolo latino significa letteralmente “ritorsione”. Il chierico lombardo scrive che l’emiro aghlabita sarebbe giunto in Italia con un esercito sconfinato, su invito dell’imperatore bizantino. Si trattava a suo dire di una prova di fede alla quale Dio sottoponeva i cristiani in Italia.
Gli arabi misero a ferro e fuoco il territorio. Patì Benevento, soffrì Roma, finché un giovane saraceno, che aveva subito un torto dai suoi, si propose come guida di un gruppo di combattenti che dovevano tendere agguati e impensierire i mori. Le notizie dei successi riportati con queste azioni di guerriglia misero coraggio ai romani, sostiene Liutprando e spinsero tanti a confluire contro i musulmani in buon numero.
I cristiani costrinsero il nemico chiudersi sopra il monte, ma non dettero tregua e li uccisero tutti. Pochissimi scamparono alla morte.
915. La battaglia del Garigliano. Cristiani e musulmani nell'Italia medievale
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