La battaglia dell’Atlantico
- Autore: Enrico Cernigoi
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2019
È stato il primo ministro inglese Winston Churchill a cominciare a parlare di battaglia dell’Atlantico, per riassumere le operazioni militari nell’oceano durante la seconda guerra mondiale. Una si rivelò in particolare tutt’altro che secondaria rispetto al bilancio generale dell’intero conflitto: la campagna dei convogli, essenziale per approvvigionare la Gran Bretagna, pur sempre un’isola. A quelle missioni fortemente contrastate dalle unità subacquee germaniche è delicato un saggio dell’esperto in storia navale Enrico Cernigoi, novità nelle Edizioni Itinera Progetti di Bassano del Grappa, pubblicato a maggio 2019, col titolo appunto La battaglia dell’Atlantico. Le operazioni della Regia Marina e della Kriegsmarine e le attività di spionaggio in Sud America (272 pagine, 98 fotografie, 22 euro).
La casa editrice veneta, specializzata in pubblicistica militare e della Grande Guerra, ha già in catalogo due saggi dello studioso, laureato in storia all’Università di Trieste e ricercatore presso il Centro studi e ricerche euro-internazionali di Portsmouth, in Gran Bretagna. Da segnalare, la pubblicazione nel 2005 di Ricordati degli uomini in mare, sulle imprese dei sommergibili italiani nel 1940-43 e di Lupi grigi nel Mediterraneo (2006), sull’attività dei sommergibili tedeschi nel Mare Nostrum.
Mentre va detto che l’attenzione dell’autore si rivolge anche alla partita a scacchi ingaggiata da diplomazie e servizi segreti rivali per assicurarsi l’appoggio di grandi Paese del Sudamerica (Brasile e Argentina), si può fare riferimento alla “sentita” prefazione del contrammiraglio Giovanni Vignati per farsi un’idea del lavoro di Cernigoi.
Direttore della rivista “Marinai d’Italia” e orgoglioso “vecchio sommergibilista”, l’alto ufficiale sottolinea gli aspetti innovativi dell’approccio dell’autore all’argomento, già affrontato da numerosi storiografi.
Due i capisaldi di un lavoro che s’impegna tra l’altro in una seria verifica, non pedante ma attenta, delle origini politiche dei fatti e del rapporto causa-effetto che li ha caratterizzati.
Il primo punto di forza è senz’altro l’analisi della situazione geopolitica dell’intero Sudamerica, anche negli anni precedenti il secondo conflitto mondiale, con particolare attenzione alle trame dei servizi di spionaggio degli Stati coinvolti. Il secondo l’attenzione al contributo bellico dei sommergibili tricolori alle vicende militari di quegli anni, con particolare riferimento ai controversi affondamenti dichiarati dal “Barbarigo”, del capitano di corvetta Enzo Grossi. Un’attenzione che si estende all’ufficiale al comando ed al complesso delle inchieste, proseguite addirittura fino al 1962, al verdetto finale della Commissione Murzi.
In Atlantico operarono una trentina di battelli della Regia Marina, per dare il loro apporto al disturbo del traffico mercantile alleato in arrivo dal Nord e Sud America. sulla Garonna, a Bordeaux, dagli ultimi mesi del 1940 venne attrezzata una base francese di nostri mezzi subacquei attivi in oceano, conosciuta col nome in codice Betasom.
Come sottolinea Vignati, nel volume di Cernigoi vengono messe in evidenza le straordinarie qualità di comandanti ed equipaggi italiani, l’ardimento, la resistenza alla fatica, il coraggio e l’estremo sacrificio, l’indomabile combattività associata alla profonda umanità, che sorprese, perfino irritò, l’alleato germanico.
Va detto che tutti i nostri mezzi che tentarono di attraversare lo stretto di Gibilterra, diretti a Betasom o di ritorno, riuscirono nell’impresa. Con una larghezza minima di 14 km ed una massima di 44, l’unico accesso tra Atlantico-Mediterraneo e viceversa era caratterizzato da forti correnti marine, che ostacolavano la navigazione. Veniva strettamente sorvegliato dalla flotta britannica e il non aver subito alcuna perdita in tutti i tentativi di forzatura del blocco tra le Colonne d’Ercole offre una prova della perizia nautica.
Non mancavano però le note dolenti, che l’autore mette in luce. Giocavano a sfavore certi difetti costituzionali dei battelli, che non li rendevano capaci di pareggiare l’efficacia bellica degli agilissimi e aggressivi UBoot tedeschi. Carenze strutturali: torrette troppo grandi e più avvistabili nella navigazione in superficie; altezza eccessiva dei periscopi, che sporgevano troppo dalle onde; velocità ridotta in emersione (solo 13 nodi). Ma la lacuna probabilmente più pesante era la fatale lentezza nell’immersione su allarme: nella rapida, i nostri impiegavano quasi un minuto per scivolare sotto la superficie, il doppio di un UBoot. Significava esporsi più a lungo all’azione antisom del nemico.
I tedeschi contestavano anche l’inadeguatezza logistica, abbigliamento compreso, oltre all’età avanzata di comandanti e personale: avere famiglia fiaccava il morale aggressivo, secondo gli ascetici lupi della Kriegsmarine.
A quei difetti, i nostri sopperivano con la rara umanità, che li portava a vedere il nemico solo nell’unità avversaria. Si affondava la nave ma si garantiva, nei limiti del possibile, la sicurezza del personale di bordo superstite. Scrissero pagine meravigliose. Perfino commoventi quelle del Tazzoli del CC Fecia di Cossato.
La battaglia dell'atlantico. Le operazioni della Regia Marina, della Kriegsmarine e l'attività di spionaggio in Sud America
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