La battuta di caccia
- Autore: Isabel Colegate
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: BEAT
- Anno di pubblicazione: 2015
“La battuta di caccia” (BEAT, 2015, titolo originale The Shooting Party, introduzione di Julian Fellowes, traduzione di Marco e Dida Paggi) di Isabel Colegate è il romanzo che l’autrice, una delle più note scrittrici britanniche, nata nel 1931, figlia di Sir Arthur e Winifred Mary Colegate, ha pubblicato nel 1980, insignito del Premio WH Smith Literary Award, e dal quale nel 1985 è stato tratto un celebre film diretto da Alan Bridges e interpretato, tra gli altri, da James Mason e John Gielgud.
La storia raccontata nel romanzo
“avvenne in autunno, alla vigilia di quella che è conosciuta come la Grande Guerra”
Nelle campagne dell’Oxfordshire vi sono tratti erbosi e pianeggianti in cui scorrono fiumi lenti e tortuosi tra fitti boschi, e un’ampia fascia di terreno argilloso è attraversata dal Tamigi che per un tratto scorre parallelamente a una zona erbosa delimitando Nettleby Park. Nel 1913 la tenuta apparteneva a Sir Randolph Nettleby, baronetto e gentleman di campagna, il quale come i suoi antenati, adorava le battute di caccia. Nella tenuta si riunivano i migliori tiratori del regno, anche Sua Maestà Giorgio V, sebbene non così spesso come il defunto sovrano Edoardo VII. Il parco di Nettleby era molto vasto, circa mille acri, circondato da una fascia alberata e protetto da un muro, tranne il lato che confinava con il fiume. Nella fascia tenuta a bosco, le querce, i roveri e gli abeti misti ad alberi a foglia caduca, erano stati quasi tutti piantati cent’anni prima dal nonno di Sir Randolph, uno dei primi appassionati di battute di caccia, “uno sport che allora era ancora assai poco sofisticato”. Era il secondo giorno della battuta di caccia più importante dell’anno della durata di tre giorni, alla quale partecipavano quasi tutti i numerosi ospiti dei Nettleby, accolti con munificenza da Sir Randolph e da sua moglie Lady Minnie. Glass, il bravo guardacaccia, controllava che la situazione fosse sotto controllo mentre il cacciatore di frodo Tom Harker, entrato nel parco scavalcando il muro dalla parte della faggeta era rimasto nascosto come da sua abitudine. I battitori avanzavano attraverso il sottobosco fischiando ogni tanto e chiamandosi l’un l’altro, battendo sui tronchi con bastoni e spaventando i merli che si sparpagliavano tra i cespugli con grida di allarme. Ma le prede più ambite dai cacciatori erano i fagiani, infatti, i poveri volatili, usciti a centinaia dal folto degli alberi, erano sciamati dritti verso i fucili, i quali presero a sparare insieme. Il bottino migliore era stato quello di Lord Gilbert Hartlip, considerato uno dei migliori tiratori d’Inghilterra, ospite di Nettleby insieme a sua moglie Aline “pallida bellezza esotica e traditrice”. Per quel giorno la battuta di caccia era terminata,
“le signore camminavano su e giù davanti alle file di uccelli morti, quasi tutti ormai raccolti e disposti lungo la strada per poterli contare e ammirare”
In questo romanzo straordinario, 24 ore di organizzazione di una battuta di caccia che ha luogo in un’ampia dimora al centro di un’estesa proprietà, l’autrice sembra invitare il lettore a osservare questa razza estinta con mente scevra da qualsiasi pregiudizio. I padroni di casa e i loro ospiti, Lord e Lady Hartlip, Lord e Lady Lilburn, Lionel Stephen, Sir Reuben Hergesheimer, brillante banchiere ebreo, il conte ungherese Tibor Rakassyi, sono tutti “luminosi stereotipi edoardiani” visti dietro le loro maschere, sia i lord sportivi sia le loro annoiate consorti. Cene interminabili, balli splendenti ma sempre uguali a se stessi, ogni evento governato dalle medesime ferree regole, perché è un’epoca cerimoniosa. Accanto a questa “folla luccicante”, ecco l’altra parte del romanzo, la servitù, un piccolo esercito che si alza all’alba per andare a letto a notte fonda, il cui lavoro è indispensabile per la rappresentazione scenica. Nell’Introduzione del volume Julian Fellowes, sceneggiatore del film Gosford Park e della celebre miniserie Downton Abbey, precisa di avere un debito di riconoscenza nei confronti dell’autrice, ritenuta particolarmente brava nel guardare,
“dietro la tenda affascinante e ordinata del lusso post - edoardiano alla ricerca degli obiettivi, dei sogni e delle frustrazioni degli individui, da entrambi i lati della divisione sociale, che quel lusso vivevano o servivano”
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