La casa sopra i portici
- Autore: Carlo Verdone
- Genere: Storie vere
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Bompiani
Per Verdone la memoria è una casa e la casa è un enorme corpo vivente e affascinante che custodisce la storia e i valori dell’autore e della sua famiglia.
I libri che amo rileggere mi accompagnano con una loro musica inconfondibile. Così pure “La casa sopra i portici”, l’autobiografia del regista e attore Carlo Verdone, mi ha trasmesso una sonorità tenera e struggente come un canto, una preghiera che sale lenta e commossa dritta in cielo.
Verdone in queste pagine ha saputo abbandonarsi al flusso dei ricordi che intrecciano una narrazione felicemente sospesa tra il sorriso e la malinconia; che sono, a ben riflettere, le fonti di ispirazione della sua Musa umoristica che ne ha accompagnato fin dagli esordi nello spettacolo e nel cinema il cammino.
La memoria per Verdone è una casa romana in stile umbertino, elegante e poetica, che ha custodito, con il suo “enorme corpo vivente e affascinante”, paterno e materno insieme, per lunghi decenni la vita e gli affetti familiari. Oggi Carlo può ancora osservare la casa in cui nacque e visse la sua infanzia e giovinezza insieme al padre Mario, alla madre ( “il cuore” della famiglia) e ai suoi due fratelli, ma da un angolo di visuale diverso, dall’attuale abitazione sul Gianicolo. Uno sguardo che con pudore e amore di lontano nella distanza diventa luogo di una memoria vitale e nutritiva. Ogni spazio, di questa casa in Lungotevere dei Vallati 2 è una pagina del libro dei ricordi, che uno dopo l’altro, sfogliati con tocco lieve e carezzevole, escono dalla cornice del semplice dato memoriale per incarnarsi in un pensiero, un’idea, una domanda che illumina il senso di una storia, con le sue esperienze, belle o drammatiche, da custodire e tramandare.
Il campanello di casa con la famosa testina di leone a cui per anni bussarono, con modi diversi, artisti e celebrità (indimenticabili i ritratti di Fellini e Alberto Sordi) che venivano a far visita al grande storico del cinema e delle avanguardie Mario Verdone. Il lungo corridoio che nei giorni di Carnevale dell’infanzia ospitò gli spettacoli di marionette con cui la madre trasmise al piccolo Carlo la prima folgorazione per la recitazione e il talento dell’immedesimazione. E ancora: il tavolo della cucina, luogo conviviale della famiglia Verdone e congeniale a un “giovane con i capelli leggermente lunghi, ignaro del futuro che lo attendeva”, per ideare i suoi primi fortunati sketch. La stanza delle donne di servizio, apportatrici umili e preziose di affabulazioni e ispirazioni per il futuro artista; il salotto dei primi convegni amorosi, delle feste e delle amicizie che durano una vita. Il terrazzo spazioso, sapido di umori e odori capaci di consustanziare tutta un’esistenza, da cui osservare in solitudine lo spettacolo del mondo. E poi la banale poesia degli oggetti: il giradischi, la carta da lettere, le penne e gli inchiostri che riemergono dai cassetti con il sapore del tempo perduto. Un sapore ottocentesco, proustiano, demodé e affascinante, che continua a parlarci del valore anacronistico e oggi quanto mai raro della rettitudine, della dignità. Perché i ricordi servono soprattutto a questo: a pensare e a scoprire nel fondo di noi e della nostra memoria i valori autentici, ciò per cui essenzialmente vale la pena di vivere, e di fare.
E a rileggere, semmai, quella cartina indecifrabile che è il nostro presente confuso alla luce di fatti e vicende che hanno lasciato in noi un’immagine profonda, una nostalgia, un insegnamento e più di tutto, forse, una paternità:
Lui chinò il capo signorilmente, mi sorrise e con voce amabile mi rispose: “ Auguri per tutto figlio mio”.
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