La concessione del telefono
- Autore: Andrea Camilleri
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Sellerio
Vigàta, giugno 1891. In Sicilia, a trent’anni dal compimento dell’unità nazionale, il bilancio non può dirsi senza ombre: funzionari governativi di altre regioni ignorano le dinamiche ambientali in cui operano e onesti cittadini pagano lo scotto di una richiesta d’aiuto alla mafia.
Genuardi Filippo indirizza una lettera al prefetto di Montelusa per avere notizie sulle modalità per attivare una linea telefonica ad uso privato. Dopo quattro mesi, il capo di gabinetto, per l’interessamento d’un boss mafioso, gli fornisce dei chiarimenti; nel contempo, lo informa sul reale cognome del prefetto: Marascianno anziché Parascianno. E’ da questa storpiatura, inconsapevolmente fatta dal Genuardi, che nasce il risentimento dell’autorità governativa: Parascianno nel vernacolo napoletano significa “membro d’animalesche proporzioni”: come a dire grandissima testa di c…!
Muove da qui il corso degli eventi che nel romanzo La concessione del telefono (Palermo, Sellerio 1998) si compiono dal movimento dei Fasci siciliani all’avvento del governo Giolitti. Già la citazione in epigrafe di un passo di Pirandello, tratto dal romanzo "I vecchi e i giovani", ne annuncia lo scopo: mostrare come la degenerazione delle condizioni sociali dell’Isola si sia realizzata con metodi governativi di gestione esercitati in collusione con la mafia. Innovativo e sicuramente non tradizionale è l’impianto narrativo per l’assenza d’una trama esplicita e di passaggi temporali, fatta eccezione della datazione riportata sulla documentazione. Lo compongono lettere burocratiche e private, note e circolari, articoli di giornali e carte processuali; inoltre brevi e succose scene dialogate a due voci caratterizzano l’ambientazione. Del resto, i capitoletti sono stati catalogati da Camilleri in “cose scritte” (il “documento” in lingua) e in “cose dette” (la “conversazione” in cui convivono lingua e dialetto). E’ il motivo pirandelliano dello “scambio” ad animare lo scorrere di un’indagine incredibile il cui effetto è quello di moltiplicare, in un crescendo di malintesi ed equivoci, le avversità architettate a danno del Genuardi, tra l’altro erroneamente considerato anarchico e socialista. Soltanto il delegato di pubblica sicurezza insiste sulla sua innocenza, mentre i carabinieri si accaniscono contro di lui. Egli così subisce persecuzioni da due fronti: dai poteri dello Stato, perché, nel clima di rivolta del movimento operaio e contadino, si vuole un responsabile a tutti i costi; dalla mafia, pronta a sfruttare ogni occasione pur di realizzare i propri affari illeciti. Quale la fine del Genuardi?
Nell’epilogo torna il motivo dello scangio: un caso di delitto d’onore per adulterio viene volutamente trasformato in delitto politico. Si manifesta ora in tutta chiarezza la trama oscura dell’occultamento della verità e vengono alla luce le strategie privilegiate dal sistema: il premio ai funzionari incapaci; il castigo a quelli che si adoperano a cercare la verità. Nelle battute finali tra il Delegato e il Questore l’amarezza segue all’astuta politica degli inganni, la sfiducia sposa lo scetticismo. In parte si stempera nella solidarietà tra gli sconfitti.
“Delegato, la vuole sapere una cosa divertente?”.
“Ci sono ancora cose divertenti in questo paese?”.
“Mi telefonavano dalla Questura. Hanno appena saputo che il Prefetto Marascianno, tornato in servizio, è stato trasferito a Palermo con mansioni di coordinatore dell’operato di tutti i Prefetti dell’isola. Non ride?”.
“No, signor Questore. La saluto”.
“Che fa? Mi porge la mano? Venga qua, Spinoso. Abbracciamoci”.
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