Saffo di Lesbo, una figura ammantata di mistero che ormai trascolora nella leggenda. La poetessa greca, cantrice assoluta dell’amore, è divenuta quasi una creatura mitologica al pari di Omero: un’entità inafferrabile, sfuggente, dispersa e imprendibile proprio come i suoi versi, capaci di attraversare spazio e tempo parlandoci con un linguaggio immortale.
Leggenda narra che si sia gettata da una rupe per amore, secondo quanto racconta il poeta latino Ovidio nelle Heroides. Una fine misteriosa, forse non vera, ma certamente degna di colei che è stata la maestra dell’amore. L’elogio della passione amorosa è il tema ricorrente di svariate liriche della poetessa, come nel celebre sedicesimo frammento dedicato alla giovane Anattoria, meglio noto con il titolo La cosa più bella.
Scopriamo di più sulla poesia di Saffo e sul significato del sedicesimo frammento.
Saffo e la poesia d’amore
Chi era Saffo? Sulla sua vita non abbiamo informazioni certe. Sappiamo che nacque a Ereso, nell’isola greca di Lesbo, attorno al 650 a.C. Rimase orfana di padre quando era ancora bambina e, ancora giovanissima, fu data in sposa - secondo le convenzioni aristocratiche dell’epoca - a un ricco possidente terriero. Da quest’uomo Saffo ebbe una figlia, che chiamò Cleide, come sua madre. La figura di Saffo è tuttavia legata al tìaso (in greco ϑίασος), la comunità femminile da lei fondata sull’isola. Si trattava di una fondazione religiosa, legata al culto della Dea Afrodite.
Saffo fu la sacerdotessa del tìaso e, oltre che di funzioni religiose, si occupava anche dell’educazione delle giovani donne che in questa sede venivano preparate alla vita matrimoniale e coniugale. All’interno della comunità l’omosessualità aveva una funzione pedagogica, poiché si proponeva di preparare le giovani al letto dello sposo. Queste unioni erano considerate sacrali, favorite dalla divinità Afrodite e dalle Muse. Saffo fu la prima poetessa a raccontare esplicitamente nei versi un amore diverso da quello eterosessuale. I suoi versi erano destinati in primo luogo alla comunità, dunque non avevano - a differenza di quanti credono alcuni - uno scopo confessionale: venivano invece letti nei riti, cantati nelle celebrazioni, ripresi nelle lezioni. Le ragazze del tìaso, che spesso le rubavano il cuore, erano destinate ad andarsene al termine del percorso formativo in vista delle nozze. Queste separazioni erano vissute dalla poetessa alla stregua di abbandoni laceranti, come ci raccontano le sue liriche che furono le prime a narrare la “sintomatologia dell’amore”: sudori freddi, palpitazioni, tachicardia e, non da ultimo, il demone della gelosia. L’amore, nella poesia di Saffo, è tormento e vertigine, si consuma nell’incendio della passione: mai una donna l’aveva narrato così.
Nel celebre frammento sedicesimo, meglio noto come La cosa più bella, Saffo rievoca la figura della giovane Anattoria per cui prova ancora una struggente nostalgia.
Scopriamo testo, analisi e significato del frammento.
“La cosa più bella” di Saffo: testo
Un esercito di cavalieri, dicono alcuni
altri di fanti, altri di navi
sia sulla terra la cosa più bella
io dico
quel che uno amadel tutto facile è spiegarlo a chiunque:
Elena, che in bellezza di gran lunga
vinse i mortali, lasciato il consorte
…eccelsonavigò a Troia e perse ogni ricordo
della figlia e dei cari genitori,
ma Cipride la travolse
innamorata.
…Ora mi ha fatto ricordare di Anattoria
che non è qui;vorrei vederne il passo seducente,
il portamento valoroso
e lo splendore vivace del volto
più che i carri dei Lidi e i fanti armati
nella battaglia.
“La cosa più bella” di Saffo: analisi e commento
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In questi versi, pervenutici in frammenti, Saffo riprendeva un topòs della poesia antica, quello che significativamente dà il titolo al componimento: ovvero il tentativo di identificare quale sia la cosa più bella, in greco κάλλιστον, un tema ripreso anche dal poeta latino Orazio.
Seguendo lo schema retorico del Priamel (fondato sulla contrapposizione di elenchi d’oggetti o valori “alcuni/altri”), la poetessa costruisce il suo ragionamento filosofico procedendo per tesi e antitesi e, infine, chiudendo il suo pensiero in maniera circolare.
Per alcuni la cosa più bella, quella che dà senso e significato alla vita, è la guerra, osserva Saffo in linea con i propri tempi fatti d’arme e guerrieri. A questa visione lei tuttavia si oppone fermamente affermando:
io dico
quel che uno ama
Per supportare la sua poesia gnomica (γνώμη) caricandola di significato morale porta l’esempio del mito della bella Elena di Troia, la sposa di Menelao che abbandonò il marito e la figlia per amore di Paride. Elena fu condotta a Troia, mentre nel mondo infuriava una guerra in suo nome, e nella città straniera, travolta dall’amore, si dimenticò la famiglia (i genitori Tindaro e Leda) e i suoi doveri di madre e sposa.
Il pensiero della bella Elena riporta alla memoria di Saffo la giovane Anattoria, la sua prediletta, che da tempo ha abbandonato il tìaso perché data in sposa. La poetessa rievocandone lo splendore afferma che vorrebbe rivederla, perché per lei è la ragazza “la cosa più bella”, capace di competere con i carri e i fanti armati e le cose materiali tanto amate dagli uomini. Il ragionamento di Saffo passa dal generale al particolare chiudendo un cerchio: “la cosa più bella è quel che uno ama” osserva nella prima strofa, per poi concludere, dopo una riflessione carica di nostalgia, con la visione di Anattoria; dunque è lei, la giovane perduta, la cosa più bella.
Non è chiaro a chi fosse destinato questo componimento: forse alle allieve del tìaso, che spesso Saffo ammaestrava attraverso le sue poesie dal significato morale ed educativo. I sentimenti erano infatti ritenuti parte dell’educazione, soprattutto quella femminile.
La poetessa voleva di certo trasmettere un messaggio profondo riguardo a quali fossero i veri valori della vita: non la guerra, celebrata dagli uomini, ma l’amore che tutto travolge. Spesso nelle sue poesie Saffo si poneva in una posizione critica nei confronti del patriarcato e della stessa istituzione matrimoniale, l’esempio riportato di Elena di Troia - di certo non una donna considerata emblema di virtù - ci illumina sul suo pensiero. Saffo cita un’adultera, una donna che ha tradito il marito e la famiglia e la porta come esempio d’amore; o, se non altro, sembra perdonarla, redimerla dalle sue colpe affermando che è stata la passione, la cosa più bella sulla terra, a spingerla a tali azioni.
Alcuni critici pensano che la poesia fosse destinata proprio alla giovane Anattoria, andata in sposa in Lidia. Saffo ne rievocava il ricordo e la immaginava come una novella Elena di Troia, anelandone il ritorno in nome dell’amore.
I frammenti di Saffo riescono ancora a comunicarci uno struggimento vivo, non importa che siano passati secoli dalla loro composizione. Il riferimento ad Anattoria appare solo nel finale, ma ci lascia un’impressione indelebile: capiamo che era lei, la sua immagine, ciò che spinse la poetessa alla scrittura. La poesia ce ne restituisce la nostalgia e, nonostante il passaggio delle epoche e delle culture, non abbiamo alcun dubbio che quello cantato da Saffo fosse vero amore, avvertiamo ancora attraverso le parole la forza incandescente di un sentimento capace di trafiggerci come un dardo.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “La cosa più bella è quel che uno ama”: la poesia d’amore di Saffo
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